La guida ai 200 fattori di ranking su Google

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Nei nostri articoli parliamo di frequente dei fattori di posizionamento utilizzati da Google, elemento fondamentale per chiunque approcci alle attività SEO o, semplicemente, intenda operare online e ottenere visibilità organica. È dunque arrivato il momento di realizzare una vera e propria guida ai 200 fattori di ranking su Google, vale a dire ai duecento e oltre (presunti) segnali, parametri, indicatori che il gigantesco algoritmo di Google prende in considerazione per realizzare le sue SERP e offrire le pagine di risultati a ogni query effettuata dagli utenti, e che dunque rappresentano gli elementi cruciali per chi fa SEO su Google. Andremo ad analizzare la lista completa dei segnali di ranking, distinguendo quelli ufficiali, quelli ipotizzati, quelli chiacchierati e così via, che interessano ogni aspetto del sito web e delle sue pagine.

Fattori SEO, guida a Google e all’algoritmo

Prima di lanciarci nell’elencare questi fattori di ranking affrontiamo un altro tema delicato, ovvero il funzionamento dell’algoritmo di Google, che resta in definitiva il giudice finale che determina il successo (o l’insuccesso) di un sito web e di una strategia SEO. Un sistema che, in larga parte, resta misterioso anche per il vasto numero di persone e professionisti che lo usano ogni giorno, e che spesso ha fatto sorgere teorie anche vagamente complottistiche.
Il ranking su Google

Ranking significato e spiegazione di Google

Per scoprire qualche dettaglio ufficiale in più, prendiamo in prestito le parole di una voce autorevole più di ogni altre, ovvero l’intervento del CEO di Mountain View, Sundar Pichai, durante l’audizione al Congresso degli Stati Uniti di fine 2018, in cui era interrogato sulla sua azienda, sulla privacy e su tutta una serie di altre domande, tra cui quella ormai famosissima del “perché cercando idiot su Google compaiono le immagini di Trump”.

Quanti sono i fattori di ranking utilizzati da Google per la SEO

Pichai ha spiegato che attualmente Google fornisce risposte di modo che, ogni qual volta un utente digita una keyword, il sistema risponde richiamando una “copia scansionata e memorizzata di miliardi di pagine web nel nostro indice” (crawled and stored copies of billions of web pages in our index); in pochi istanti prende la parola chiave, la mette in relazione con le pagine indicizzate e crea una classifica basata su oltre 200 segnali che determinano il posizionamento di un sito. Tra questi segnali (o fattori), il CEO ha citato “rilevanza, freschezza, popolarità, il modo in cui le altre persone lo usano”.

SEO Ranking Google, l’algoritmo è una macchina complessa che evolve ogni giorno

Sundar Pichai ha anche aggiunto che, per assicurarsi che il processo funzioni, Google “in qualsiasi momento prova a classificare e trovare i migliori risultati per quella query” e poi li valuta anche attraverso i quality raters esterni, che a loro volta agiscono seguendo linee guida oggettive, senza che i Googlers o qualsiasi altra persona intervenga in alcun risultato particolare di ricerca. Solo nel 2017, afferma ancora il CEO di Google, sono state fornite risposte a oltre 3 trilioni di ricerche, e “ogni giorno il 15 per cento delle spiagge che Google vede, non le abbiamo mai viste prima”, ovvero sono query inedite cui comunque l’algoritmo tenta di rispondere al meglio, anche grazie alle sue continue evoluzioni a livello interpretativo, che sempre più frequentemente sfruttano sistemi avanzati di Intelligenza Artificiale, reti neurali e Machine Learning applicati appunto a Search.

Secondo statistiche più recenti (Internet Live Stats, 2023), Google processa ogni singolo secondo quasi 100mila ricerche, e quindi oltre 8 miliardi e mezzo di ricerche al giorno e oltre 3,1 trilioni su base annua.
Le leggi del posizionamento su Google

I 200 fattori di ranking utilizzati da Google: le nove aree principali

Insomma, Pichai ha fatto ricorso all’espressione ormai stranota in ambito di search marketing – 200 fattori di ranking viene ripetuto continuamente, anche senza effettiva cognizione di causa sul numero di questi segnali – e ha menzionato tre o quattro segnali che quindi diventano “ufficiali”, aggiungendosi agli altri sicuri e provati di cui hanno parlato a più riprese le voci pubbliche di Google.

Eppure, come dicevamo, nella lista completa dei fattori di ranking rientrano tantissime voci e parametri che sono in realtà più controverse, che in alcuni casi potrebbero essere soltanto speculazioni da SEO Nerd (per utilizzare una terminologia cara a Backlinko, che negli anni passati realizzò una infografica su questo argomento che utilizzeremo come base per questa nostra “guida SEO Google“, aggiornata alla luce delle nuove evoluzioni) e altri ancora sui quali manca una cognizione precisa.

Abbiamo deciso però di elencarli tutti qui di seguito, raggruppati in nove categorie principali correlate ad aree specifiche di interesse e di intervento e indicati con un numero crescente che però non ha relazione con il peso specifico per il ranking.

 

  1. Fattori legati al Dominio (Domain Factors).
  2. Fattori a livello di Pagina (Page-Level Factors).
  3. Fattori a livello di Sito (Site-Level Factors).
  4. Fattori di Backlink (Backlink Factors).
  5. Interazione degli Utenti (User Interaction).
  6. Regole speciali dell’algoritmo di Google (Special Google Algorithm Rules).
  7. Segnali del brand (Brand Signals)
  8. Fattori di webspam on-site (On-Site Webspam Factors).
  9. Fattori di webspam off-site (Off-Site Webspam Factors).

I fattori di posizionamento del Dominio

I segnali di Google sul dominioCominciamo con l’elenco dei ranking factors del dominio, che sembrano avere una valenza relativa sul posizionamento effettivo del sito e delle sue pagine.

  1. Anzianità. Google utilizza le informazioni sull’età del dominio (da quanto tempo è attivo online), ma non sembra essere uno dei fattori principali per il ranking.
  2. Keyword presente nel Top Level Domain. Anche in questo caso, il peso di questo fattore è calato, ma può influire come segnale di rilevanza rispetto a una keyword o un argomento specifico.
  3. Keyword usata come prima parola del dominio. La posizione della parola chiave nel nome del dominio potrebbe avere effetti maggiori sul posizionamento, rispetto ai competitor che non hanno tale keyword nel dominio o che la usano in posizioni differenti, ma in realtà il suo peso è minimo se non completamente nullo.
  4. Keyword nel sottodominio. Alcuni analisti SEO individuano come fattore di ranking anche l’utilizzo di parole chiave nel sotto dominio, ma vale quanto scritto in precedenza: effetto minimo se non pari a zero.
  5. Metriche di analisi del dominio.Lo aveva detto tra le righe il Search Advocate John Mueller: impiega metriche di dominio per classificare i siti, che influiscono inizialmente anche sui nuovi contenuti e sulle nuove pagine del sito (soprattutto se ha già incontrato il gradimento di Big G).
  6. EMD, corrispondenza esatta della keyword. Questo è un altro fattore che ha progressivamente perso forza nel corso del tempo: l’exact match domain (la corrispondenza precisa tra il nome del dominio e la keyword per cui si intendeva competere e si voleva posizionare) non dovrebbe rappresentare un possibile elemento di vantaggio rispetto agli avversari, anche se questa tecnica persiste ancora.
  7. Informazioni di chi registra il dominio. Google potrebbe valutare positivamente la scelta di lasciare pubblici i dati della persona che registra il sito; al contrario, la non disponibilità a fornire tali dati potrebbe essere interpretata come elemento sospettoso.
  8. Penalizzazione del registrante. La memoria dell’algoritmo si estende anche alle altre proprietà di un registrante: se è stato penalizzato per spam, è probabile che anche gli altri siti finiscano sotto un’osservazione più meticolosa.
  9. Country Code nel dominio. Lo spiegava Gary Illyes: scegliere un dominio di primo livello con un’estensione che riporta il country code specifico per il territorio geografico di appartenenza (o quello in cui si porta avanti il business) potrebbe generare un effetto positivo, perché indica che “tale dominio è più pertinente per le persone di quel determinato Paese” e può dunque “ricevere traffico più mirato” da parte di Google (anche se tale scelta potrebbe limitare la capacità del sito di posizionarsi a livello globale).
  10. Durata della registrazione. Un vecchia patent di Google (risalente al 2005!) citava come segnale di credibilità per l’algoritmo la durata della registrazione del dominio: più lontana la scadenza, più Google attribuisce una previsione di legittimità e sicurezza a quel sito (sulla base del concetto che siti doorway o illegittimi spesso nascono e scompaiono nel giro di pochi mesi).
  11. Cronologia del dominio.La storia passata di un sito (ad esempio, se nel tempo è stato registrato da più persone, se ha avuto vari drop o se ha subito una penalizzazione nel corso di questi passaggi) influisce sul suo posizionamento, perché potrebbe spingere Google a resettare completamente i collegamenti che puntano al dominio o a penalizzare il nuovo (ultimo) proprietario.

I fattori di ranking della pagina

Come gestire una pagina webMolto più lunga la lista dei fattori di posizionamento su Google che sono legati alle caratteristiche delle pagine di un sito e a quelle del loro contenuto, che rientrano nell’ampia attività di ottimizzazione SEO on-page: già da tempo sappiamo che qualità resta la parola chiave, l’obiettivo cui tendere per aumentare le chance di classificare meglio gli articoli, e dal 2022 si è aggiunto anche l’aggettivo utile; come chiarisce questo elenco, però, sono numerosi e rilevanti anche i riferimenti tecnici a cui un webmaster, consulente SEO, un copywriter o chiunque gestisca questa attività online non può non badare. La linea di fondo, però, resta la necessità di comprendere e intercettare il search intent dell’utente, fornendo un contenuto che possa rispondere in modo esaustivo ed esauriente al bisogno che l’ha portato a usare Google in prima istanza. A ciò si aggiunge anche il rispetto della user experience e la necessità di servire pagine in modo veloce ed efficiente, come richiesto anche dal fattore (ufficiale!) della Page Experience.

  1. E-E-A-T. Il framework EEAT di Google valuta esperienza, competenza, autorevolezza e affidabilità del creatore del contenuto (e del sito intero): potrebbe non essere un fattore di ranking in sé e per sé, ma di sicuro Google sta prestando sempre più attenzione alle pagine che dimostrano tali fattori, che in qualche modo entrano quindi nel calcolo e nelle valutazioni algoritmiche.
  2. Keyword nel Title Tag. Altro elemento che ha perso importanza con gli ultimi aggiornamenti dell’algoritmo, il title tag resta comunque un segnale per l’ottimizzazione della pagina, seppur “sottile”, perché permette a Googlebot e ai lettori di farsi un’idea preventiva di ciò che li attende in pagina.
  3. Keyword all’inizio del Title Tag. Utilizzare la parola chiave come primo termine dei tag title potrebbe portare benefici al posizionamento rispetto a titoli dove la key compare verso la fine.
  4. Keyword nella Meta Description. Sappiamo che Google non utilizza direttamente il tag meta description come fattore di posizionamento SEO, ma al tempo stesso è stata ribadita e confermata l’influenza che le descrizioni sintetiche possono avere sul CTR, il valore percentuale di clic, che a sua volta potrebbe essere un segnale di classificazione (o, quanto meno, un indicatore di miglior rilevanza e pertinenza del contenuto alla query digitata dall’utente).
  5. Keyword nell’H1. Anche se spesso coincidono, c’è differenza tra title tag e H1: il primo è un elemento esterno all’area di navigazione della pagina (ovvero, è l’informazione che identifica ogni pagina Web e documento HTML), il titolo H1 è un “secondo titolo”, un elemento di formattazione del testo di quello specifico contenuto. Come detto in precedenza, Google considera il tag H1 come segnale secondario di rilevanza.
  6. Keyword density. È stato uno dei fattori più abusati dai SEO in passato, con il citato ricorso al keyword stuffing e alla ripetizione massiccia della parola chiave in ogni paragrafo dell’articolo: oggi la keyword density, vale a dire la percentuale di presenza della keyword obiettivo rispetto al totale delle parole del testo, ha perso valore, ma resta comunque un potenziale elemento di competizione per il ranking, almeno come indicazione di massima sul modo adeguato di usare le keyword nel contenuto.
  7. Keyword prominence. La prominenza della parola chiave è un potenziale elemento correlato al ranking: ciò significa che ha una rilevanza specifica l’utilizzo di una keyword nelle zone sensibili della pagina. In particolare, si ritiene che la pagina sia ottimizzata se tale parole chiave compare nelle prime 100 parole utilizzate, o se viene usata all’inizio di title, tag heading e meta description.
  8. Keyword nei tag heading. Inserire correttamente la keyword nei tag heading HTML tipo H2, H3 e così via può essere un (debole) segnale di rilevanza per i motori di ricerca, perché Google utilizza questi tag per interpretare la struttura della pagina.
  9. Utilizzo di Keyword LSI nel contenuto. Con l’espressione LSI si fa riferimento alla “indicizzazione semantica latente“, un metodo tecnico matematico che consente di identificare le relazioni esistenti all’interno di un documento. In ottica SEO, le keyword LSI sono le parole chiave legate semanticamente alla principale che aiutano i motori di ricerca a determinare il contesto specifico dell’argomento (anche in casi di una parola che ha più significati), e rappresenta anche un possibile fattore di qualità del contenuto. Non si tratta semplicemente di sinonimi e di variazioni grammaticali della keyword, ma di altre parole chiave che aggiungono rilevanza al topic della pagina. In realtà, Google ha più volte chiarito che le LSI non aiutano il ranking, a maggior ragione con le evoluzioni tecnologiche degli algoritmi, ormai capaci di desumere il contesto in modo più preciso.
  10. Utilizzo di Keyword LSI in tag Title e Description. Come nel caso precedente, l’utilizzo di parole chiave correlate nei meta tag della pagina possono probabilmente rappresentare un segnale di pertinenza per Google e aiutare la distinzione in casi di parole con potenziali significati multipli.
  11. Autorevolezza del dominio. L’autorità e il trust di un dominio (uno dei parametri inclusi nella Zoom Authority) influiscono sul posizionamento di una pagina rispetto a un’altra, a parità di (altre) condizioni, perché questo fattore ha un peso per Google (che utilizza metriche sia a livello di sito che di pagina per valutare l’autorevolezza e ogni pagina beneficia di alcune proprietà del dominio generale.
  12. PageRank della pagina. Non c’è una correlazione diretta, ma le pagine che hanno un PageRank più alto e più link generalmente hanno posizionamenti migliori di quelle senza link o con link di scarsa qualità.
  13. Quantità di keyword posizionate. Se una pagina si posiziona per più parole chiave, Google interpreta questo fattore come segnale interno di qualità.
  14. Lunghezza del contenuto. Google non dà alcun tipo di valore al word count, anche se in genere si ritiene che l’algoritmo prediliga contenuti ricchi di parole rispetto a quelli che risultano più brevi e superficiali (era uno dei nostri consigli per gli strumenti di scrittura SEO), perché i primi possono fornire maggiori informazioni e risposte per gli utenti. Lo studio e l’analisi dei testi dei competitor meglio posizionati, però, può evidenziare una correlazione tra lunghezza del contenuto e posizione in SERP, che si lega però al livello di informazioni necessarie per soddisfare l’intenzione di ricerca. L’uso di più parole potrebbe anche aumentare la probabilità di intercettare i termini corretti che Google si aspetta di trovare in riferimento all’argomento.
  15. Duplicazione dei contenuti. Molto semplicemente, la presenza di contenuti duplicati all’interno dello stesso sito è ritenuto un fattore che influisce negativamente sul posizionamento sul motore di ricerca.
  16. Meta description duplicate. Ogni tipo di duplicazione di contenuto può generare una penalizzazione o uno scarso rendimento della pagina e del sito: anche le meta description duplicate vanno evitate, dunque, concentrandosi alla creazione di testi originali e univoci. Per controllare se il sito presenta tale errore si possono usare la Google Search Console o gli strumenti di analisi di SEOZoom.
  17. Presenza di errori HTML. Prestare scarsa attenzione al codice e gestire un sito con molti errori HTML può essere un segnale negativo per Google, mentre al contrario una pagina ben codificata e pulita è un elemento di affidabilità e qualità.
  18. Dimensione degli URL. La lunghezza eccessiva degli URL può danneggiare la visibilità di una pagina sul motore di ricerca, e alcuni studi segnalano che URL corti sono avvantaggiati rispetto a quelli di dimensioni superiori.
  19. Percorso degli URL e vicinanza alla home. Le pagine che hanno URL più vicini alla home page tendono a posizionarsi meglio rispetto a pagine sepolte in profondità e difficili da raggiungere nell’architettura di un sito, quindi sarebbe meglio privilegiare percorsi accorciati. Spesso si fa riferimento a questo aspetto con il nome di click depth, che definisce appunto la profondità, il numero di clic necessari per passare dalla home page alla pagina di destinazione.
  20. Uso di Tag. Anche i tag, che sono un segnale di rilevanza specifico di WordPress, sono stati a lungo considerati un elemento utile per migliorare la SEO, perché mettono in relazione tra loro i contenuti, ma in realtà non hanno effetti positivi in questi termini.
  21. Keyword nell’URL. Ha un peso minimo, ma inserire la parola chiave nella stringa dell’URL genera comunque un elemento valutato da Google, anche perché l’URL è il primo segnale si mostra a Google.
  22. Formato dell’URL. Similarmente, la struttura e la composizione dell’URL possono rappresentare un’indicazione del topic di riferimento della pagina e quindi essere un elemento positivo per il posizionamento.
  23. Priorità della pagina nella Sitemap. Una potenziale influenza sul ranking può derivare anche dall’assegnazione di priorità a una pagina data attraverso il file sitemap.xml.
  24. Categorie delle pagine. Le categorie sono i pilastri dell’architettura di un sito e sono un segnale di pertinenza per il ranking delle pagine: una pagina in topic con la categoria può ottenere prestazioni migliori di una archiviata in una categoria non correlata.
  25. Comprensibilità del testo. Il motore di ricerca dedica attenzione anche alla comprensibilità del contenuto, utilizzando metriche che stimano il livello di lettura delle pagine Web e che dovrebbero suggerire di scrivere in modo semplice e chiaro, privilegiando costruzioni sintattiche meno complesse.
  26. Uso di un indice – Table of Contents.Una pagina in cui è presente un indice degli argomenti trattati (la table of contents) può servire a Google ad analizzare e interpretare meglio il contenuto della pagina, e a volte viene mostrata anche nei sitelink delle SERP.
  27. Testo con elenchi puntati e liste. Google valuta anche la leggibilità di una pagina: usare elenchi puntati o numerati o liste, che suddividono il testo e mettono in risalto gli argomenti, potrebbe rendere più semplice e migliore la fruizione per i lettori, incontrando il gradimento anche del motore di ricerca.
  28. Attenzione alla grammatica. Scrivere bene non è solo un elemento distintivo della capacità di un copywriter SEO, ma anche un potenziale segnale di fiducia che il sito trasmette a Google: pubblicare articoli e pagine con contenuti corretti dal punto di vista grammaticale, ortografico e sintattico è un valore aggiunto di qualità anche per il ranking, sebbene non manchino casi particolari che rivelano ben altre tendenze.
  29. Contenuto utile. Se qualità è un aggettivo che spesso aggiungiamo alla parola contenuto nel corso della nostra attività SEO, anche l’utilità di una pagina e delle informazioni rivolte al lettore può essere un fattore preso in considerazione da Google per il ranking. Il rilascio internazionale di Helpful Content System, nel 2022, ha ufficializzato questo aspetto e quindi l’utilità è effettivamente un fattore di ranking a livello di pagina.
  30. Originalità del contenuto. Altro elemento facile da intuire: in generale, si invita a pubblicare solo contenuti originali e sui quali si detengono diritti (la syndication, in inglese). Quando un testo contiene porzioni copiate o duplicate da una pagina già indicizzata sui motori di ricerca potrebbe posizionarsi male o addirittura non essere indicizzata affatto a sua volta. Google ha un apposito sistema che esamina l’originalità e fa emergere ad esempio notizie originali prima di altri contenuti che si limitano a citare queste notizie. 
  31. Pagine con approfondimenti sul tema. La profondità della copertura del topic (depth of topic coverage) ha una rilevanza per il ranking dell’articolo: le pagine che coprono e approfondiscono ogni angolo di un tema, che offrono informazioni utili e circostanziate, hanno maggiori probabilità di posizionarsi rispetto a quelle che invece coprono solo parzialmente l’argomento.
  32. Profondità del contenuto. Se il contenuto fornisce un valore unico, che mostra la profondità del ragionamento, può essere considerato un “cornerstone”, una pietra angolare della qualità per la pagina che può aiutare il posizionamento nel lungo periodo. Anche perché Google ha spesso rivelato di penalizzare i siti che non apportano nulla di nuovo o utile ai lettori, in particolare i siti thin affiliate.
  33. Qualità della recensione prodotto. Introduzione piuttosto recente (in Italia è attivo da febbraio 2023), il Product Reviews System è un algoritmo che si concentra su una tipologia molto particolare di query e contenuti, le “recensioni di prodotto”, e serve a garantire che gli utenti interessati a ricerche di tipo commerciale trovino tra i risultati forniti dal motore di ricerca solo (o prevalentemente) contenuti con recensioni prodotto che includano ricerche approfondite e originali, anziché testi scarni che semplicemente riassumono una serie di prodotti.
  34. Età della pagina. Una pagina vecchia ma costantemente aggiornata e con contributi rinfrescati può posizionarsi meglio di una nuova.
  35. Contenuti recenti. Anche la data di pubblicazione di un contenuto e i successivi aggiornamenti (la freschezza) possono essere elementi che influenzano il posizionamento, soprattutto per argomenti che sono sensibili al fattore tempo.
  36. Portata degli aggiornamenti. Un intervento di modifica sostanziale di un contenuto, l’aggiunta o la rimozione di intere sezioni, è un fattore di freschezza più significativo rispetto alla correzione di un refuso o all’aggiunta di poche parole: anche la portata (magnitudo) degli aggiornamenti ha quindi un peso sul ranking.
  37. Frequenza degli aggiornamenti. La freschezza fa riferimento anche alla frequenza con la quale la pagina è stata aggiornata nel tempo.
  38. Frequenza della parola nel testo. Gli esperti SEO sostengono che Google utilizzi un sistema sofisticato di TF-IDF (una funzione che calcola l’importanza di un termine rispetto a un documento) per misurare quante volte una certa parola appaia in una pagina: più alta la percentuale di ripetizione, più probabile che la pagina riguardi quella parola. Anche SEOZoom ha uno strumento che calcola questo valore, anche se il nostro consiglio è di usare i dati come traccia indicativa per la gestione delle keyword, e non come riferimento assoluto dell’ottimizzazione del contenuto
  39. Match con l’entità. Nell’accezione del motore di ricerca, le entità (entity) sono un elenco di elementi associati al Knowledge Graph di Google, che formano i nodi del grafo e che descrivono persone, luoghi e cose del mondo reale, consentendo di rendere più approfondita la ricerca dell’utente. Quando il contenuto di una pagina corrisponde esattamente alla entità cercata dall’utente, la pagina può beneficiare di un miglioramento del ranking per quella parola chiave.
  40. Parametri di Google Hummingbird. Con l’aggiornamento dell’algoritmo chiamato Hummingbird (ormai nel lontano 2013), Google ha rivoluzionato il proprio modo di valutare le pagine, andando oltre le parole chiave presenti in un testo e spingendosi a comprendere meglio l’argomento di una pagina web e a interpretare sempre più efficacemente il search intent.
  41. Rel = Canonical. Come spiega Google, l’utilizzo corretto del tag Rel = Canonical consente di consolidare gli URL duplicati e di evitare penalizzazioni, perché indica al crawler quale URL usare per la scansione in caso di pagina accessibile da più URL o presenza di diverse pagine con contenuti simili o duplicati.
  42. Contenuti multimediali. L’utilizzo di media come immagini, video e altri elementi multimediali può essere un segnale di qualità del contenuto, perché offrono un valore aggiunto per l’utente.
  43. Ottimizzazione delle immagini. Spesso ingiustamente trascurate nell’ambito delle operazioni SEO, le immagini sono invece una parte fondamentale della pagina e inviano ai motori di ricerca segnali di rilevanza attraverso campi come nome del file, alt text, titolo, descrizione e didascalia, e quindi la ottimizzazione delle immagini per la SEO è un’attività cruciale e ben precisa, che può portare benefici concreti.
  44. Contenuti supplementari utili. Sin dal documento con le linee guida rivolte ai raters, Google considera i contenuti supplementari utili come un indicatore di qualità della pagina e, per estensione, del ranking, perché contribuiscono a rendere positiva l’esperienza dell’utente. Gli esempi di contenuti che offrono servizi ulteriori agli utenti comprendono convertitori di valuta, calcolatori degli interessi di prestito o ricette interattive (con collegamenti a ricette simili, recensioni o informazioni nutrizionali).
  45. Ottimizzazione mobile. Avere un sito e delle pagine ottimizzati correttamente per i dispositivi mobili non è solo un potenziale plus in termini di ranking, quanto piuttosto lo standard minimo per competere oggi, alla luce del consolidato sorpasso del traffico web mobile rispetto a quello desktop. Pertanto, avere un sito mobile-friendly e rispettare tutti i parametri legati alla soddisfazione dell’esperienza utente può essere utile per le classifiche di Google, mentre al contrario siti web che non prestano cura a questi aspetti non solo rischiano scarsa visibilità, ma possono anche essere ignorati dagli utenti.
  46. Velocità di caricamento HTML. Anche la velocità è un fattore di ranking, sempre per il crescente peso della navigazione mobile, e in generale un basso tempo di caricamento delle pagine significa migliorare l’esperienza dell’utente e i tassi di conversione.
  47. Google Page Experience. Dal giugno 2021 Google ha lanciato ufficialmente la Page Experience, un complesso di segnali composto da una serie di elementi tecnici che esaminano le prestazioni delle pagine dei siti rispetto all’esperienza fornita agli utenti. Di questo insieme sistema fanno parte i Core Web Vitals, la mobile friendliness, l’utilizzo di protocollo HTTPS, l’assenza di annunci interstitial intrusivi.
  48. Velocità di caricamento su Chrome. Era una vecchia speculazione dei SEO, che ritenevano che, nell’ottica di velocizzare i tempi di caricamento di una pagina e gestire meglio l’esperienza dell’utente, Google utilizzasse anche i dati forniti dal Chrome User Experience Report, ovvero i dati degli utenti reali che navigano un sito attraverso il browser Chrome, per misurare e valutare la velocità di caricamento di una pagina. Oggi sappiamo che ci sono dei parametri ben specifici che Google esamina e valuta per verificare le prestazioni delle pagine e il modo in cui soddisfano gli utenti.
  49. Uso di AMP. Per anni, nonostante le smentite di Google, la tecnologia AMP (Accelerated Mobile Pages) è stata considerata un potenziale fattore di ranking o, quanto meno, un elemento che potesse influenzare indirettamente il posizionamento (attraverso il CTR) e generare un vantaggio per le campagne, perché velocizza il caricamento degli annunci e, in generale, delle pagine. Oggi questo sistema è completamente superato nei fatti dalle nuove tecnologie, ben più efficienti ed efficaci.
  50. UX da mobile. Come già segnalato in occasione del lancio del mobile first index, Google tiene in crescente considerazione anche l’user experience garantita a chi naviga il sito in modalità mobile, che deve essere semplice, veloce e stabile anche quando la copertura di rete dati e la connessione non sono ideali.
  51. Layout della pagina User Friendly. L’usabilità viene premiata anche rispetto al layout della pagina, che dovrebbe rendere immediatamente visibile il contenuto principale.
  52. Nascondere contenuti nella versione mobile. Secondo Google, la scelta di nascondere determinati contenuti per la navigazione mobile potrebbe non essere nociva in termini di ranking. Tuttavia, i contenuti critici e principali devono sempre essere visibili.
  53. Contenuti nascosti in tab. Se si sceglie di nascondere alcuni dei contenuti in un tab della pagina e di renderli accessibili solo dietro clic dell’utente, Google potrebbe non indicizzare tali contenuti.
  54. Link in uscita. Non solo collegamenti in ingresso: utilizzare in maniera efficace i link in uscita (soprattutto verso siti autorevoli e credibili o di approfondimento a notizie e informazioni) può contribuire a inviare segnali di affidabilità e fiducia a Google, che interpreta questi elementi come fossero le fonti citate in un documento accademico.
  55. Argomento del link in uscita. Da molto tempo Google utilizza l’algoritmo Hilltop, un sistema che valuta l’autorevolezza di un sito o di una pagina web su un determinato argomento; tale metodo è impiegato anche per valutare il contenuto delle pagine verso cui puntano i link in uscita, e pertanto la pertinenza del riferimento è quanto mai importante anche per la contestualizzazione.
  56. Numero di link in uscita. Il ranking di una pagina potrebbe essere danneggiato dalla presenza di troppi link follow in uscita (outbound link), che influiscono negativamente sul PageRank. Esagerare non è mai un bene, per Google: avere troppi link in uscita da una pagina viene interpretato come un segnale di spam o di scarsa qualità del contenuto, perché i rimandi esterni in eccesso e senza proporzione possono peggiorare l’usabilità, far passare in secondo piano l’argomento trattato e distogliere l’attenzione dei lettori dal tema.
  57. Utilizzo di fonti e risorse esterne. Altro caso controverso: nelle linee guida sulla qualità, Google sottolinea che l’utilizzo di citazioni, riferimenti e risorse esterne come fonti (soprattutto se certificate e autorevoli) può essere considerato un elemento positivo per l’affidabilità del sito, ma non è stato confermato l’eventuale impatto sul ranking.
  58. Numero di link interni verso la pagina. L’utilizzo di una buona struttura di link interni è un importante segnale di organizzazione del sito e rappresenta anche un metodo per segnalare a Google la rilevanza della pagina verso la quale puntano numerosi link interni (in modo proporzionale, più link riceve, più la pagina assume valore).
  59. Qualità dei link interni. Non solo quantità, Google prende in considerazione anche la qualità dei link interni, ovvero delle pagine da cui partono i collegamenti. Perciò, un link ricevuto da una pagina autorevole del dominio ha un effetto maggiore rispetto a quello inviato da una pagina con un rank inferiore o nullo.
  60. Anchor text dei link interni. Il testo di ancoraggio utilizzato nei link interni può essere un segnale di ranking, sebbene di portata inferiore agli anchor text che introducono un link da un sito esterno.
  61. Presenza di link rotti. La presenza di un numero eccessivo di link rotti (broken link) su una pagina può essere interpretato come segno di negligenza o di sito abbandonato, influenzando negativamente il ranking.
  62. Link di affiliazione. In linea di massima, la presenza di link di affiliazione non ha effetti negativi sul ranking, ma se sono troppo numerosi l’algoritmo di Google potrebbe de-classificare il sito, ritenendolo come “affiliato senza valore aggiunto“.
  63. Ruolo degli editor. Si fa riferimento a una vecchio brevetto Google, risalente al 2000 ma ancora valido (e con data di scadenza appena prolungata fino al 2021), in cui si dice tra l’altro che le opinioni di supporto da parte di editor umani potrebbero influenzare il posizionamento su Google Search, ma non è mai stato confermato l’effettivo utilizzo di questo sistema.
  64. Parked domain. Un parked domain, in italiano dominio parcheggiato, è in genere un dominio di secondo livello messo online ma non utilizzato, sulla cui home page compare solo un messaggio di cortesia (del tipo “under construction”) o messaggi pubblicitari (soprattutto se si tratta di un dominio scaduto acquistato, che in passato riceveva molti backlink e che genera ancora traffico organico). Dal 2011, Google penalizza la visibilità in SERP di questi domini parcheggiati, diminuendone progressivamente l’autorevolezza.

I fattori di ranking del sito

Posizionare un sitoLa struttura del sito, la cura di ogni suo aspetto, la gestione ottimale delle risorse e dei contenuti sono altri importanti fattori di ranking per Google, che valuta in maniera specifica una serie di parametri focalizzati su elementi legati ancora al lato on-page più orientato agli aspetti tecnici.

  1. Usabilità del sito. Sembra esserci un rapporto direttamente proporzionale tra usabilità di un sito e le sue prestazioni in Google Search. Più nello specifico, un sito difficile da usare e da navigare può essere penalizzato in termini di ranking (anche perché i suoi valori di permanenza sul sito, pagine visualizzate e frequenza di rimbalzo sono peggiori) rispetto a quelli di un sito dall’interfaccia semplice e intuitiva per i visitatori.
  2. Architettura del sito. Una struttura ben organizzata, pulita e ben codificata, con architettura tematica dei contenuti, aiuta la scansione e l’indicizzazione da parte di Google e può portare benefici al ranking.
  3. Presenza di sitemap. Predisporre una sitemap HTML, che aiuta e semplifica l’indicizzazione delle pagine da parte di Googlebot, potrebbe migliorare il posizionamento.
  4. Navigazione Breadcrumb. Utilizzare un menu di navigazione Breadcrumb (a “briciole di pane”, letteralmente) può migliorare l’usabilità del sito, permettendo a utenti e motori di ricerca di navigare meglio tra le pagine e le categorie e di comprenderne facilmente l’architettura e i percorsi. È stato chiarito che Google Search utilizza le marcature di tipo breadcrumb nel corpo di una pagina Web per catalogare le informazioni ricevute dalla pagina.
  5. Aggiornamenti al sito. Sembra che a Google non piaccia la staticità, e pertanto gli aggiornamenti e gli interventi di modifica al sito, non solo sul versante dei contenuti, potrebbe essere un segnale di freschezza.
  6. TrustRank. Nel 2005 Google ha acquistato il brevetto del TrustRank, una tecnica di analisi che serve a stabilire l’affidabilità di una pagina o il suo livello di spam attraverso l’analisi di vari elementi, tra cui la veridicità delle informazioni pubblicate sul sito.
  7. Pagina Contatti. Inserire una pagina con i riferimenti e i contatti della proprietà o dei gestori è considerato uno dei principali fattori di ranking della local SEO, la SEO localizzata, perché consente agli utenti di conoscere informazioni come nome, indirizzo e numero di telefono di un’entità vicina. Potrebbe essere utile verificare che le informazioni di contatto segnalate in pagina corrispondano alle informazioni whois.
  8. Vicinanza geografica all’utente. Soprattutto per le SERP con intento “local”, Google può tenere conto della posizione geografica del ricercatore nel determinare quali risultati mostrargli come rilevanti, preferendo appunto pagine di brand o attività a lui più vicini. Sebbene non sia possibile modificare la sede di un’attività commerciale, i brand possono controllare che tutte le informazioni presenti su sito e altri profili (comprese le citazioni sulla posizione) siano aggiornate e accurate.
  9. Uptime del sito. Il tempo di funzionamento(traduzione letterale di uptime) di un sito indica l’intervallo durante il quale lo stesso è stato ininterrottamente acceso e correttamente funzionante:un sito in salute, con un uptime alto, ha migliori opportunità di ranking, perché Google individua come fattori potenzialmente critici episodi come frequenti disservizi e problemi col server, che potrebbero addirittura causare un deindexing, una de-indicizzazione delle pagine.
  10. Localizzazione del server. La posizione geografica del server può influenzare il ranking, in modo particolare per le ricerche geo-localizzate e la SEO local.
  11. HTTPS e certificato SSL. Ormai non è più un segreto che l’utilizzo di un certificato SSL per il protocollo di sicurezza HTTPS sia utilizzato come lieve fattore di ranking da Google.
  12. Pagine Privacy e Termini del servizio. Secondo Google, inserire in maniera adeguata la pagina con le condizioni e i termini del servizio e quella della privacy permette di incrementare l’affidabilità del sito sia verso gli utenti che verso i motori di ricerca.
  13. Video YouTube. I video caricati su YouTube (non a caso, di proprietà Google) sembrano avere una corsia preferenziale nelle SERP del motore di ricerca rispetto ai video caricati su altre piattaforme: YouTube è dunque il sito da preferire per l’upload di un video, e un buon account YouTube può essere anche un segnale SEO di rilievo.
  14. Utilizzo di Google Analytics e Google Search Console. È sicuramente un falso mito, ma per “dovere di cronaca” citiamo che alcune teorie SEO invitano a valutare l’utilizzo degli strumenti Google Analytics e Google Search Console come potenziale fattore di ranking, sia perché migliorano l’indicizzazione delle pagine del sito, sia perché offrono a Google informazioni maggiori e più dettagliate (come ad esempio bounce rate o traffico organico che deriva da backlink e così via).
  15. Recensioni degli utenti. Le recensioni e i feedback degli utenti, soprattutto se sono pubblicate su siti ritenuti affidabili come Yelp.com, possono rappresentare un potenziale elemento valutato dall’algoritmo Google per il ranking.

I fattori di posizionamento di Backlink

I collegamenti portano rankingNonostante gli aggiornamenti degli algoritmi, le evoluzioni e i cambiamenti, i link restano ancora la risorsa fondamentale attraverso cui Google può fare il suo lavoro, scansionando il Web alla ricerca dei risultati migliori da offrire agli utenti che eseguono una query. Più volte negli ultimi tempi è stata ribadita l’importanza dei link in ingresso (chiamati anche backlink o inbound links) per il posizionamento sui motori di ricerca, e anche la link building resta un elemento fondamentale per una strategia SEO di successo: attraverso i collegamenti ricevuti da siti attendibili, Googlebot capisce che un sito è ritenuto degno di fiducia da altri proprietari/gestori di siti, e questo avrà un effetto di potenziamento sulle pagine linkate e su tutto il sito, che potrebbe ottenere risultati migliori nel ranking in SERP.

  1. Autorevolezza del dominio. Un link ricevuto da un sito che piace a Google e che ha un alto livello di autorevolezza (come quello indicato dalla nostra Zoom Authority) rappresenta un importante segnale di stima per i crawler del motore di ricerca, che può avere un impatto maggiore sul ranking.
  2. Autorevolezza della pagina. In modo similare, anche l’autorevolezza della singola pagina (come quella indicata ad esempio dalla nostra Page Zoom Authority) che invia un link è un importante fattore di ranking: lo dice Google stesso nelle sue linee guida, spiegando che un link è come un voto da una pagina all’altra e “i voti delle pagine già ritenute importanti hanno un peso maggiore e contribuiscono a rendere le altre pagine importanti“.
  3. Numero di domini che linkano. La quantità conta: anche se in maniera differente (e impatto minore) rispetto al passato, l’algoritmo di Google continua a valutare come fattore di ranking il numero di domini di riferimento che inviano backlink a un sito.
  4. Numero di pagine che linkano. Anche la somma totale delle pagine degli altri che inviano backlink a un sito ha una rilevanza per Google.
  5. Età del dominio linkante. Un link ricevuto da un sito attivo da molti anni potrebbe essere reputato più autorevole rispetto a un collegamento fornito da un dominio più recente.
  6. Età del link. Un backlink funzionante e attivo da tempo potrebbe trasmettere maggior rilevanza di uno nuovo e appena pubblicato, a parità di altri fattori.
  7. Profilo backlink naturale. Un sito che vanta un profilo backlink naturale (dove cioè non si percepisce un intervento manipolativo e forzato) potrebbe avere risultati migliori e più duraturi nel tempo rispetto a un concorrente che ha spudoratamente utilizzato strategie black hat per ottenere link.
  8. Anchor text dei backlink. Come sappiamo, gli anchor text o testo di ancoraggio servono a Google per definire il topic principale della pagina linkata, e perciò la presenza di keyword nell’anchor text può essere utile per il sito linkato. Secondo alcuni SEO, rispetto al passato questo elemento ha perso un po’ della sua rilevanza, ma ciò nonostante resta un importante fattore di ranking, mentre l’abuso e la sovra-ottimizzazione degli anchor text (soprattutto se di tipo manipolativo in settori YMYL) può essere un segnale di webspam e portare a penalizzazioni.
  9. Title del link. L’attributo title del link (ovvero il messaggio che compare al passaggio del mouse) potrebbe rappresentare un lieve fattore di ranking per Google.
  10. Keyword nel title. Google sembra premiare i link provenienti da pagine che contengono nel title la parola chiave del sito linkato.
  11. Posizione del link nel contenuto. La parte scritta del contenuto (il body-copy o, più semplicemente, il testo) è importante anche per la gestione dei backlink: si ritiene che la posizione in cui il link è inserito nel contenuto possa influire sul ranking. In particolare, se il link è posizionato nella parte più alta del testo sarà letto prima, e quindi i crawler di Google potrebbero valutarlo meglio rispetto a un link posizionato in basso nel testo.
  12. Posizione del link in pagina. Un link presente nel contenuto centrale della pagina ha un peso maggiore di quelli inseriti nella sidebar, nel footer o in altre posizioni.
  13. Link alla Homepage. Gli outbound links che rimandano a una homepage svolgono un ruolo speciale nella valutazione di un sito.
  14. Link nofollow. A partire dal 2020, attributo nofollow è cambiato da direttiva in consiglio: ciò significa che Google può decidere di trasmettere autorevolezza alla pagina che riceve un siffatto link, anche se generalmente vale la regola che Google non segue i backlink così impostati. Anche in questo secondo caso, comunque, ottenere dei link di questa natura potrebbe essere un elemento importante per la costruzione di un profilo backlink naturale (o percepito come tale dai motori di ricerca).
  15. Link contestualizzati. I link contestualizzati in maniera appropriata nel contenuto di una pagina sono considerati più rilevanti e utili di quelli decontestualizzati.
  16. Link nel Tag Alt delle immagini. Inserire un Tag Alt nelle immagini con link a una risorsa può essere un elemento positivo per il ranking, perché interpretato come anchor text dai motori di ricerca.
  17. Link pubblicitari. I link in ads dovrebbero essere impostati in nofollow, ma è altamente probabile che l’algoritmo di Google sia capace di identificare e filtrare i link pubblicitari lasciati in dofollow.
  18. Link sponsorizzati e termini simili. Un link contenuto in un articolo segnalato come “link sponsorizzato” o con termini simili, che denotano un accordo di qualsiasi tipo dietro il collegamento, vanno indicati con l’attributo sponsored e potrebbero perdere valore in termini di forza per il ranking.
  19. Link da siti con con IP di C-Class diversi. La quantità e la varietà di domini con indirizzi IP unici di Classe C che inviano backlink a un sito può essere un segnale di valore: innanzitutto, mostra che tali backlink arrivano da fonti e siti esterni alla propria attività, e poi che le informazioni fornite sono considerate utili, varie e accessibili. Al contrario, ricevere molti link da domini con indirizzi IP di classe C identici può essere interpretato come presenza di una PBN e portare penalizzazioni.
  20. Eccesso di redirect 301. Il reindirizzamento 301 di un link è una pratica lecita e valida, ma non bisogna eccedere con questa tecnica, perché potrebbe creare effetti negativi come le catene di redirect che rendono complicato il crawling dei bot.
  21. Utilizzo di Schema.org. Le pagine che supportano microformati e utilizzano i markup di Schema.org potrebbero posizionarsi meglio rispetto a quelle che ne sono privi. È una speculazione e non è chiaro se si basi sull’analisi di correlazione diretta o se questo elemento dipenda dal fatto che le pagine con microformati hanno un tasso SERP CTR maggiore.
  22. TrustRank del sito linkante. L’affidabilità che per Google ha il sito che linka determina la quantità di TrustRank che viene trasmessa con il backlink.
  23. Quantità di link esterni in pagina. Una pagina che invia troppi link in uscita trasmette meno PageRank di una pagina che utilizza in maniera accorta gli outbound links: questo perché il PageRank offerto da una pagina non è infinito e si divide in ciascun collegamento.
  24. Conteggio delle parole. Un link inviato da una pagina con contenuti da mille parole ha generalmente un valore maggiore rispetto a un collegamento inserito in un articolo di 25 parole. Altra speculazione SEO che si basa sull’ipotetico valore del word count.
  25. Qualità del contenuto. Google prende in considerazione anche la qualità del contenuto in cui è inserito il link in uscita: i collegamenti presenti in articoli scritti male o spinnati valgono meno di quelli presenti in contenuti di qualità.
  26. Sitewide link. I link sitewide, ovvero quelli che sono contenuti in parti replicate del sito come il footer o la sidebar, non dovrebbero pregiudicare negativamente il ranking, ma sono comunque “compressi” e valutati come un unico link da Google.
  27. Velocità dei link positiva. I siti che hanno una buona velocità di link (link velocity, intesa come capacità a ottenere più link in ingresso di quelli persi) possono classificarsi meglio in SERP perché tale tasso segnala che un sito incrementa la sua popolarità.
  28. Velocità dei link negativa. All’esatto opposto, un sito che ha una link velocity negativa (e quindi un saldo negativo tra link ottenuti e persi) rischia di avere influenza negativa sul ranking perché indice di calo di popolarità.
  29. Varietà delle fonti. Ottenere backlink solo da una fonte (ad esempio commenti su forum o su blog) e in quantità innaturale può essere un segnale di spam per Google, mentre al contrario ricevere link da siti e fonti differenti e varie, per natura, tipologia e settori di attività, è indice di un profilo backlink naturale.
  30. Link da siti reali. Google potrebbe avere dei sistemi per distinguere i backlink forniti da siti reali e indipendenti da quelli che invece arrivano da fake blog o blog network (chiamati anche splogs): data la facilità di creare questi ultimi, l’algoritmo del motore di ricerca potrebbe usare sistemi come valutazione del brand e segnali di interazioni con gli utenti per classificare i siti, dando maggior valore ai backlink da siti reali.
  31. Link da siti con estensioni localizzate. Ricevere backlink da siti che hanno estensioni TLD localizzate e specifiche (ad esempio, .it, .co, .uk) potrebbe aiutare un sito a migliorare il posizionamento in quel determinato Paese.
  32. Link da siti istituzionali. Fino a qualche anno fa, ricevere backlink da siti istituzionali (con estensione dei domini .edu o .gov, ad esempio), era ritenuto un fattore di ranking fondamentale: oggi non è più così, ma un link in ingresso da domini autorevoli e riconosciuti come tali anche da Google è comunque un segnale di affidabilità per il sito.
  33. Link da Authority Sites. Ricevere un link da quelli che Google considera “authority site” (siti autorevoli e riconosciuto) trasmette un juice maggiore di quelli ottenuti da siti piccoli e poco conosciuti.
  34. Link tra le fonti di Wikipedia. Pur essendo link nofollow, in molti ritengono che un backlink da Wikipedia rappresenti una iniezione di fiducia e di autorità per un sito agli occhi dei motori di ricerca.
  35. Link da competitor. Ottenere link da un sito che compete sulla stessa SERP e sulle stesse keyword è un prezioso segnale di affidabilità per posizionarsi su Google.
  36. Link da dominio pertinente. Ricevere un backlink da un sito pertinente per temi (che si occupa degli stessi argomenti o di tematiche affini) e che appartiene alla stessa nicchia rappresenta un significativo fattore di ranking e ha più valore di un link ricevuto da un sito completamente non correlato.
  37. Link da pagine pertinenti. Allo stesso modo, anche ricevere un link da una pagina correlata e in topic con l’argomento passa maggior valore.
  38. Link da siti “attesi”. Secondo alcune speculazioni dei SEO, Google potrebbe non fidarsi completamente di un sito che non riceve link da siti attesi e noti nel suo settore di appartenenza.
  39. Guest post. L’utilizzo della strategia dei guest post (ospitare su un sito un contenuto scritto da un esperto, linkando al suo sito) probabilmente non ha più il peso che aveva in precedenza in termini di posizionamento, ma rappresenta comunque un elemento che può aiutare il ranking di un sito. In generale, è sconsigliabile utilizzarla come unico metodo di link building, anche perché trasmette poca link juice e, se fatta su larga scala, può causare problemi o penalizzazioni al sito.
  40. Link nocivi. I link possono avere anche effetti nocivi sul posizionamento, in modo particolare se arrivano da Bad Neighborhoods (letteralmente, cattivi vicini), ovvero siti di bassa qualità, scadenti, poco raccomandabili, già penalizzati e identificabili facilmente come spammer. Se un sito riceve un backlink da tali fonti pericolose, potrebbe essere utile procedere a un disavow link su Google.
  41. Link da risorse top. Sempre secondo l’algoritmo Hilltop, avere link da pagine considerate risorse top su un determinato topic genera un “trattamento speciale” al sito.
  42. Termini vicini. Le co-occorrenze (ovvero, le parole che sono semanticamente vicine a quelle contenute nell’anchor text e che appaiono nelle frasi collegate al link) possono aiutare Google a contestualizzare il collegamento e servono anche agli utenti a capire lo scopo di ogni link, così da decidere con maggior cognizione se seguirlo o meno.
  43. Link reciproci. Come già accennato, Google scoraggia gli scambi di link reciproci tra due siti apertamente finalizzati ad aumentare il PageRank in modo innaturale.
  44. Link da contenuti generati dagli utenti. L’algoritmo di Google è in grado di distinguere gli UGC (user generated content, i contenuti realizzati dagli utenti) e i contenuti pubblicati dai veri proprietari del sito. L’esempio più comune è quello dei siti ospitati su WordPress che hanno aperte le sezioni di commento ai post o quello dei forum. Per disconoscere un link inserito da un utente su cui non c’è controllo bisogna utilizzare l’attributo rel=UGC, che segnala a Google la natura precisa del collegamento, che potrebbe quindi perdere valore in termini di forza per il ranking.
  45. Link in 301. Correggere la destinazione di un link in ingresso e utilizzare correttamente un reindirizzamento 301 verso una nuova risorsa potrebbe non dare risultati differenti per il ranking rispetto ai link diretti.
  46. Link da forum. Google valuta poco positivamente i link da forum perché in passato sono stati frequentemente usati per spam o strategie black hat.

I fattori di ranking legati all’interazione degli utenti

User experience e interazioni per GoogleOrmai tutti sappiamo che Google utilizza dei sistemi di Intelligenza Artificiale per gestire il ranking e la classificazione delle pagine nelle SERP: questa è una delle funzioni del RankBrain, la tecnologia di machine learning capace di ordinare “miliardi di pagine note e individuare le più rilevanti per ogni query di ricerca”. Ma l’algoritmo prende in considerazione anche altri parametri basati sulla user experience e sull’interazione degli utenti con il sito e con la singola pagina, cercando di capire e valutare il comportamento delle persone quando atterrano sui risultati delle query su Google.

  1. RankBrain. Come accennato, il RankBrain è un fattore di ranking che aiuta Google a comprendere e interpretare meglio la query in base proprio alle interazioni degli utenti, così da classificare le pagine più pertinenti per la richiesta espressa dall’utente. Inoltre, serve anche a prevedere su cosa potrebbe cliccare un utente quando esegue una query inedita.
  2. CTR organico per keyword. Il CTR (click through rate) è uno dei fattori di Google più discussi, come abbiamo raccontato anche dal nostro blog; secondo alcuni SEO, le pagine che collezionano più clic potrebbero dare una spinta al posizionamento in SERP di una specifica keyword.
  3. CTR organico del sito. Nonostante le dichiarazioni di Google, si pensa che il CTR organico di un sito per tutte le keyword per le quali è posizionato possa essere uno dei segnali principali dell’interazione degli utenti.
  4. Bounce Rate. In base ad alcune teorie SEO, l’algoritmo di Google premierebbe le pagine con un basso bounce rate, ovvero una bassa frequenza di rimbalzo (la percentuale di volte che un utente visita solo la pagina del sito in cui è atterrato senza proseguire la navigazione e la permanenza). Questo perché le pagine con un’elevata frequenza di rimbalzo potrebbero non essere il miglior risultato per quella keyword o la risposta desiderata al search intent dell’utente.
  5. Pogo Sticking. Il pogo sticking è una tipologia specifica di rimbalzo, particolarmente negativa: si tratta del comportamento di un utente che atterra su un sito posizionato in SERP ma abbandona la pagina e torna alla pagina dei risultati di Google per consultare gli altri risultati della SERP perché non soddisfatto. Viene considerato un segnale di traffico di scarsa qualità e potrebbe causare perdite di posizionamento per quelle keyword.
  6. Dwell Time. Il tempo di sosta o dwell time potrebbe essere un segnale SEO da valutare: l’espressione si riferisce alla durata della sosta di un utente su una pagina web a cui è stato indirizzato da una SERP di Google prima di tornare alla stessa pagina dei risultati. Un alto tempo di permanenza (grazie ai contenuti offerti e anche ai collegamenti interni di approfondimento) significa che l’utente ritiene di qualità e di interesse la pagina, e così anche l’algoritmo guarderà positivamente al sito.
  7. Traffico diretto. Ci potrebbe essere una correlazione tra traffico diretto acquisito dai siti e valutazione del motore di ricerca, soprattutto se i visitatori utilizzato Google Chrome; è stato infatti chiarito che l’algoritmo Google utilizza dati del browser per determinare il numero e la frequenza delle persone che visitano il sito.
  8. Traffico di ritorno. Un sito viene ritenuto valido e di qualità se è in grado di attirare traffico di ritorno, ovvero se incentiva gli utenti a tornare sulle sue pagine in altre sessioni.
  9. Preferiti su Chrome. L’algoritmo di Google colleziona diversi dati attraverso il browser Chrome e potrebbe utilizzare come fattore di ranking anche l’inserimento delle pagine nei segnalibri personali (i preferiti).
  10. Numero di commenti. Nell’ottica di valutare l’interazione degli utenti col sito e la qualità dei contenuti, il numero di commenti può essere un importante fattore per il posizionamento.

Regole speciali dell’algoritmo di Google e SERP feature

L'algoritmo di GoogleNel corso degli anni, i SEO hanno analizzato anche alcuni comportamenti speciali e specifici dell’algoritmo del motore di ricerca, producendo la seguente lista di fattori di ranking Google legati appunto a regole valide per il sistema di Mountain View e non strettamente relative a elementi di SEO tecnica o di produzione di contenuti. In molti casi, l’effetto è l’attivazione di una specifica SERP feature, che offre una posizione di visibilità notevole per la pagina (che solo a volte, però, si traduce effettivamente in clic e aumento di traffico).

  1. La freschezza della query. La query merita freschezza, secondo gli analisti: per alcune ricerche, Google potrebbe privilegiare le pagine e i contenuti nuovi rispetto a quelli più datati. È ciò che valuta il cosiddetto algoritmo QDF, che analizza appunto il livello di freschezza dei risultati in SERP.
  2. Featured snippet. Come sappiamo, i featured snippet o risultati zero sono contenuti messi in evidenza da Google prima della classica SERP e selezionati sulla base di una combinazione di elementi tra cui lunghezza, formattazione, autorevolezza della pagina e utilizzo di protocollo HTTPS.
  3. SERP mista. Per query ambigue o per intent multipli, Google potrebbe preferire una soluzione intermedia, proponendo una SERP mista in cui sono presenti pagine che rispondono ai diversi significati dei termini.
  4. Safe Search. I siti che pubblicano articoli con “curse words” (parolacce o parole sconsigliate, per così dire) o con contenuti per adulti non compaiono tra i risultati degli utenti che attivano la modalità Safe Search.
  5. Reclami copyright. Google penalizza le pagine che sono state oggetto di reclami sul copyright di contenuti o risorse.
  6. Diversità dei domini. Per alcune SERP, Google potrebbe privilegiare la presenza di domini differenti in nome della rilevanza anziché mostrare solo risultati da domini unici. Questo comportamento è gestito dal “diversity system” che cerca di fare in modo che nessun sito tenda ad avere una presenza dominante nei primi risultati.
  7. Targeting geografico. Google potrebbe dare priorità ai siti che hanno un indirizzo IP locale e una estensione del dominio specifica per l’area geografica di riferimento.
  8. Immagini. Alcune query determinano la comparsa di un’anteprima delle immagini di Google.
  9. Ricerche locali. I risultati localizzati e le schede di Profilo dell’Attività hanno spesso la priorità in SERP che il motore di ricerca valuta come “locali” (o per cui ritiene che la risposta più adatta sia un’indicazione localizzata).
  10. Ricerche transazionali. Le SERP di Google si trasformano in base all’intent degli utenti: in particolare, quelle transazionali offrono la possibilità di acquistare direttamente il prodotto, o presentano feature che conducono verso l’acquisto di servizi, come nel caso dei voli aerei o prenotazioni di hotel.
  11. Box per shopping. Le ricerche transazionali generano anche un carousel di Google Shopping con la presentazione di una serie di prodotti acquistabili da vari eCommerce.
  12. Box Notizie Principali. Alcune query (prettamente informazionali) sono dei trigger per la comparsa di un box con le Notizie principali che fornisce un trattamento preferenziale agli aggiornamenti recenti su tematiche di cronaca o argomenti “trend topic”.
  13. Ricerche navigazionali. Le query relative a un dominio o a un brand specifico generano risultati multipli di quello stesso sito.
  14. Potenza del brand. Il nome e la potenza del brand sono privilegiati nel ranking su Google, soprattutto per le query specifiche e di tipo navigational.
  15. Easter Egg. Google nasconde decine di easter egg, piccole chicche sorprendenti che si attivano quando si esegue una determinata query.
  16. Cronologia delle navigazioni. Questo è un fattore che influenza la visualizzazione personale delle SERP quando navighiamo dallo stesso dispositivo o collegati a un account Google: i siti che visitiamo più spesso potrebbero posizionarsi meglio nelle nuove query perché l’algoritmo potrebmemorizza delle preferenze dell’utente.
  17. Cronologia delle ricerche. Google traccia le query fatte dall’utente come misura di personalizzazione per ottimizzare i risultati successivi, offrendo quindi risposte più mirate a quello che prevede sia il search intent della persona.
  18. Contenuti YMYL. Google ha regole più forti e standard di qualità più elevati per la valutazione dei contenuti YMYL (your money, your life), ovvero per i siti e le pagine che si occupano di temi che possono avere un impatto sulla vita delle persone, come finanza o salute.
  19. Algoritmo PayDay Loan. È un algoritmo che dovrebbe ripulire la SERP di query a rischio spam, come quelle legate ai piccoli prestiti (payday loan, in americano), contenuti pornografici e così via.

Segnali del brand

Anche il brand va posizionatoUn’altra sezione di fattori da tenere in considerazione è quella che fa riferimento specifico ai brand, intesi sia come “entità” che come marchio specifico:  dagli anchor text dei link alla presenza sui social, Google sembra guardare con un occhio di riguardo a questi segnali.

  1. Ancor text branded. Uno dei principali fattori di questa categoria è l’utilizzo di un anchor text branded, che resta un segnale tanto semplice quanto forte (ma attenzione ad abusare di questa informazione e sovra-ottimizzare le campagne di link building).
  2. Ricerche branded. Gli utenti cercano di frequente i brand: se quindi le persone cercano su Google un marchio specifico, il motore di ricerca identifica il sito come un “vero brand” e potrebbe valutarlo meglio.
  3. Ricerche di tipo brand + keyword. In aggiunta al caso precedente, anche le branded keyword – ricerche in cui compaiono il nome di un brand e altre keyword – aumentano la visibilità del sito per gli algoritmi di Google (anche per query in cui quelle parole chiave sono poi slegate dal brand).
  4. Pagina Facebook. Se un brand ha una pagina Facebook che riceve molti like e interazioni potrebbe avere benefici anche per il posizionamento.
  5. Profilo Twitter. In modo simile, anche i profili Twitter branded con molti follower segnalano a Google di essere di fronte a un brand popolare.
  6. Pagina ufficiale LinkedIn. Una pagina ufficiale della compagnia su LinkedIn aiuta a rendere il brand più visibile.
  7. Social media account verificati. Google riesce a determinare se un account sui social media sia reale o fake: il numero e il tipo di interazioni con i follower, ad esempio, sono un elemento importante per la valutazione e il peso di questo segnale.
  8. Menzioni Brand nelle Notizie Principali. Quando si lanciano query sui brand davvero grandi, Google risponde sempre con un box di Notizie principali che informa sulle ultime attività; in alcuni casi, in particolare, Google prende feed direttamente dal sito ufficiale (che compare come primo risultato).
  9. Menzioni Brand senza link. Spesso i brand ricevono menzioni anche senza backlink e, secondo i SEO, Google interpreta comunque questi riferimenti come un fattore di ranking.
  10. Sede fisica dell’attività. Le aziende vere hanno uffici: partendo da questo assioma, si ritiene possibile che Google cerchi informazioni sulle sedi e sulla localizzazione dell’attività per valutare se un sito è o meno un grande brand.

Fattori di spam on-site

Gli errori di spam nel rankingGli ultimi due punti di questa lunghissima guida sono dedicati a un elemento molto delicato, ovvero la penalizzazione che un sito può subire a causa di comportamenti ritenuti scorretti da parte dell’algoritmo di Google: proviamo dunque a vedere innanzitutto quali sono le possibili penalizzazioni on-site e i relativi fattori considerati di spam, spesso rientrati in quelle che sono classicamente chiamate tattiche black-hat SEO. E, di conseguenza, impariamo quali sono le cose che infastidiscono spider e crawler che passano sul nostro sito, così da evitare di far arrabbiare Google e di ricevere penalizzazioni a pagine, keyword o sito intero.

  1. Penalizzazioni Panda. Sin dai tempi del Panda Update, Google punisce i siti con contenuti di bassa qualità (soprattutto le vecchie content farm) posizionandoli peggio, soprattutto dopo aver ricevuto la penalizzazione.
  2. Sovra-ottimizzazione del sito. Può apparire strano e paradossale, ma anche un eccesso di ottimizzazione sul sito può provocare penalizzazioni. Nell’elenco di cose da non fare rientrano il keyword stuffing, l’header tag stuffing, uso sproporzionato di enfasi del testo (ovvero di grassetti, corsivi e altri segnali del genere).
  3. Spam nella Meta Description. Utilizzare strategie di spam e keyword stuffing nella meta description (ad esempio, calcando la mano con l’utilizzo di keyword per provare a forzare l’algoritmo) può provocare una penalità.
  4. Focus sui profitti e non sui lettori. A partire dal 2017 e dalle conseguenze dell’algoritmo Fred, Google ha penalizzato i siti con contenuti di bassa qualità che puntavano a massimizzare i propri profitti con il posizionamento anziché concentrarsi sull’aiutare i lettori rispondendo al loro intent di ricerca.
  5. Siti di affiliazione senza valore aggiunto. Google dedica particolare attenzione all’analisi dei siti che partecipano a programmi di affiliazione, al punto da penalizzare in SERP “i siti che presentano perlopiù contenuti provenienti dalle reti affiliate” e che non “hanno abbastanza contenuti di valore aggiunto che li distinguano da altri siti nel Web”.
  6. Uso eccessivo di nofollow in uscita. Mettere in nofollow tutti i link in uscita dal sito potrebbe segnalare a Google un tentativo di “manipolazione” dell’algoritmo e di una creazione artificiosa del PageRank.
  7. Indirizzo IP riconosciuto come spam. Se l’indirizzo IP di un server viene marchiato come spam potrebbe contagiare e penalizzare tutti i siti allocati su quel server.
  8. Link verso Bad Neighborhoods. I link verso “cattivi vicini” possono essere nocivi anche in uscita: un collegamento esterno verso alcuni siti, soprattutto se attivi in settori YMYL e ritenuti spammy da Google, rischiano di compromettere la search visibility.
  9. Link di affiliazione nascosti. Tentare di nascondere i link di affiliazione, usando ad esempio tecniche di cloaking, è una possibile causa di penalizzazioni.
  10. Pagine doorway. Google non apprezza i tentativi di ingannare l’algoritmo o gli utenti, e anche le pagine doorway sono segnalate come potenziale fattore di penalizzazione, perché reindirizzano gli utenti su pagine o siti differenti da quelli promessi nei risultati di ricerca.
  11. Cloaking (o redirect subdoli). I reindirizzamenti subdoli (sneaky redirects, si definiscono) sono una strategia da evitare assolutamente: se Google se ne accorge scatta non una semplice penalizzazione, ma addirittura una de-indicizzazione del sito. Bisogna dunque evitare la tecnica del cloaking, la “pratica di presentare agli utenti umani contenuti o URL diversi da quelli presentati ai motori di ricerca”, fortemente sconsigliata dalle linee guida di Google.
  12. Pubblicità e popup invadenti. Come abbiamo detto più volte, Google tiene in grande considerazione l’esperienza di navigazione dell’utente: elementi come popup e pubblicità invadenti possono complicare e rendere negativa la fruizione delle pagine, e quindi sono valutate come segnale di bassa qualità del sito.
  13. Pubblicità interstitial. Google può penalizzare anche le pubblicità interstitial che coprono completamente la visuale del sito che le ospita e il display dell’utente, bloccandone l’accesso diretto al contenuto desiderato. Questo elemento è stato inglobato nella più ampia Page Experience, come già indicato.
  14. Pubblicità above the fold. Un altro segnale di spam potrebbe essere la presenza di troppe pubblicità above the fold, che appesantisce la fruizione del sito per l’utente e compromettono la valutazione del “page layout algorithm” di Google.
  15. Contenuti autogenerati. L’algoritmo di Google è capace di identificare e penalizzare i contenuti auto-generati o scritti in formati apparentemente corretti ma, in pratica, privi di significato (si usa il termine “Gibberish” o, in italiano, Grammelot): quando incappa in siti e pagine del genere fa scattare una de-indicizzazione.

Fattori di spam e penalizzazioni off-site

Lo spam negativi per il rankingConclusa la parte riferita agli errori che si possono commettere nella gestione di un sito proprio, ora tocca all’analisi dei fattori di penalizzazione e indici di spam che Google individua nelle strategie off-site. Anche in questo caso, si tratta di comportamenti che forzano la mano per tentare di aggirare le linee guida del motore di ricerca e intercettare un miglior posizionamento, e che invece rischiano di tradursi in una penalizzazione sotto forma di azione manuale o, nei casi peggiori, in una espulsione dall’indice di Google.

  1. Sito hackerato. Subire un attacco hacker potrebbe comportare una deindicizzazione del proprio sito: si tratta di un caso raro (è capitato a dicembre 2018 a Search Engine Land) e succede quando l’hackeraggio è molto pesante e altera tutte le pagine, a partire dalla home, inserendo contenuti interamente spam.
  2. Picchi non naturali di link. Google riesce a identificare se il ritmo di ricezione backlink è naturale o meno: quando individua afflussi anomali, svaluta il sito.
  3. Afflusso innaturale di backlink. Di conseguenza, più nello specifico, un improvviso e innaturale afflusso di backlink verso un sito fa scattare l’allarme in Google che si tratti di link falsi.
  4. Penalizzazioni Penguin. Ultimamente, le penalizzazioni di Google Penguin sembrano colpire le singole pagine e filtrare i link cattivi anziché interessare l’intero sito; in ogni molto, chi subisce tale penalità perde visibilità nelle ricerche.
  5. Profilo backlink di scarsa qualità. Google potrebbe interpretare come tentativo di manipolare il ranking la presenza di un profilo backlink di scarsa qualità, con collegamenti ricevuti soprattutto da fonti usati per tecniche SEO black hat.
  6. Backlink da siti off topic. Un’alta percentuale di backlink provenienti da siti non in topic e non tematicamente correlati potrebbe generare una penalizzazione manuale.
  7. Messaggi di avviso su link non naturali. Google invia segnalazioni dalla Search Console quando riscontra link non naturali, che in genere (ma non sempre) anticipano un crollo nel ranking.
  8. Link da directory di bassa qualità. Nella Guida di Search Console, Google segnala tra i collegamenti non naturali anche i baclink di siti di directory o segnalibri di bassa qualità.
  9. Link in article directory e comunicati stampa. Google individua tra gli schemi di link (e quindi penalizza) anche i collegamenti contenuti in siti di directory e comunicati stampa distribuiti su altri siti, soprattutto se gli anchor text sono ottimizzati.
  10. Link nei widget. Pericolosi e sconsigliati anche i backlink incorporati in widget distribuiti su vari siti, soprattutto se contengono tante parole chiave, sono nascosti o di bassa qualità.
  11. Backlink con stesso IP Class C. Ricevere una quantità innaturale di backlink da siti che condividono lo stesso server IP potrebbe convincere Google della presenza di una PBN contenitore di link.
  12. Anchor text pericolosi. Esistono degli anchor text che sono a forte rischio spam o hackeraggio (soprattutto keyword relative a farmaci), e che in ogni modo possono colpire il ranking di un sito.
  13. Azioni manuali. Quando è presente un’azione manuale associata al sito, una parte o l’intero sito non verrà mostrato nei risultati di ricerca di Google: l’elenco di tali azioni comprende una dozzina di interventi, come spam generato dagli utenti, cloaking, immagini compromesse, comandi di reindirizzamento non ammessi sui dispositivi mobili e così via.
  14. Vendita di link. Se Google pizzica un sito che vende link potrebbe penalizzare la sia visibilità nelle ricerche.
  15. Effetto sandbox. Secondo alcuni analisti SEO, Google metterebbe in una sandbox (la sabbionaia con cui si intrattengono i bambini al parco) i domini più nuovi che competono per parole chiavi più concorrenziali, in particolare quelli che ottengono rapidamente backlink. Una sorta di limitazione del Pagerank delle pagine e di verifica della validità dei siti e dei backlink da parte di Google, per evitare azioni manipolative delle SERP.
  16. Google Dance. A volte le SERP ballano anche per specifica volontà di Google: col nome Google Dance si fa riferimento a un fenomeno specifico, ovvero agli sbalzi improvvisi e di breve durata delle pagine dei risultati i cui criteri sono mescolati da Google per verificare l’eventuale presenza di domini che utilizzano strategie black hat e testare l’effettiva autorevolezza.
  17. Disavow Link. Come sappiamo, Google ha studiato il Disavow Link Tool per consentire di rimuovere manualmente collegamenti che provengono da fonti sconosciute e ritenute minacciose, che potrebbero generare SEO negativa.
  18. Richiesta di revisione. Per risollevarsi da una penalità si può sottoporre una richiesta di revisione a Google: se accettata, il sito può recuperare la visibilità precedentemente persa.

I principali fattori di ranking per Google, alla base dei sistemi algoritmici attivi

Nell’ufficializzare quali sono i sistemi di ranking effettivamente attivi (a fine 2022), Google ha anche sintetizzato quali sono i principali (tra gli innumerevoli) fattori che questi algoritmi prendono in considerazione, seppur di peso e importanza differenti anche in base al tipo di ricerca. Ad esempio, la data di pubblicazione dei contenuti ha un ruolo più incisivo nel rispondere a query relative ad argomenti di attualità piuttosto che a query riguardanti le definizioni del dizionario.

Sappiamo quindi che esistono cinque grandi categorie di fattori principali che determinano i risultati di una query:

  • Significato. Ovvero l’intento della ricerca, che Google cerca di intercettare attraverso modelli linguistici che comprendono in che modo le poche parole inserite nella casella di ricerca corrispondano ai contenuti più utili a disposizione.
  • Pertinenza. I sistemi analizzano successivamente i contenuti per valutare se contengono informazioni pertinenti alla ricerca (ad esempio, se includono le stesse keyword della query nella pagina, nelle intestazioni o nel corpo del testo), usando dati aggregati e anonimi sulle interazioni per verificare che la pagina presenti altri contenuti pertinenti oltre alle sole parole chiave.
  • Qualità. I sistemi di Google danno poi priorità ai contenuti che sembrano più utili, identificando gli indicatori che aiutano a individuare i contenuti che mettono in risalto esperienza, competenza, autorevolezza e affidabilità, vale a dire i parametri di E-E-A-T.
  • Usabilità. Nell’analisi dell’usabilità, i contenuti ritenuti più accessibili dagli utenti potrebbero anche avere le prestazioni migliori, con valutazioni su aspetti quali facilità di visualizzazione da dispositivi mobile o rapidità di caricamento.
  • Contesto. Informazioni quali la posizione, la cronologia delle ricerche precedenti e le impostazioni della Ricerca consentono a Google di garantire che i risultati mostrati a un utente corrispondano a ciò che è più utile e pertinente per lui in quel momento.

L’analisi dei segnali, tra ufficiali, confermati, falsi miti e speculazioni

Queste cinque categorie racchiudono quindi il grosso di tutto quello che abbiamo scritto finora e sgomberano un po’ il campo dalle varie speculazioni e dai “si dice”, che nella community internazionale non mancano e non si fermano mai.
Proprio per focalizzare meglio i punti, possiamo far riferimento al lavoro di Brad Smith, che ha analizzato e condensato “tutti i fattori di ranking di Google noti, confermati, vociferati e solo mitici”.

  • Fattori confermati e ufficiali

Si tratta di componenti che Google ha ammesso di utilizzare ai fini di ranking, seppur con pesi e specificità differenti.

  1. Contenuto (qualità e utilità)
  2. Core Web Vitals
  3. Backlink
  4. E-E-A-T
  5. HTTPS
  6. Mobile-friendliness
  7. Velocità della pagina
  8. RankBrain
  9. Vicinanza fisica all’utente che fa la ricerca
  10. Rilevanza, distanza e preminenza (determinano la popolarità e la vicinanza geografica di un’azienda insieme alla sua rilevanza per la ricerca specifica)
  11. Anchor text (per comprendere meglio il contenuto atteso nella pagina di destinazione)
  12. Prominenza delle parole chiave
  13. Title tag
  14. URL
  15. Cronologia del dominio
  • Fattori di ranking non confermati ma sospetti

Questi segnali non sono stati mai confermati da Google, ma gli esperti sospettano possano avere un impatto sulla SEO e sul ranking.

  1. Alt text
  2. Breadcrumb
  3. Click depth o profondità di clic
  4. Citazioni local
  5. Co-citazioni e co-occorrenze
  6. Lingua (per i siti operanti su mercati internazionali)
  7. Link interni
  8. Schema
  9. Cronologia delle ricerche dell’utente
  • Fattori di ranking chiacchierati, ma improbabili

I seguenti sono segnali su cui si è speculato a lungo e sono quindi chiacchierati: anche se finora non sono stati apertamente negati da Google, ci sono buone ragioni per ritenere quanto meno improbabile il loro utilizzo.

  1. Redirect 301
  2. Canonical
  3. Link in uscita
  • Fattori di ranking smentiti e non ufficiali .

Se quelli precedenti erano segnali “nel limbo”, qui siamo di fronte a elementi ufficialmente dichiarati inutili per i fini ranking su Google: sono quindi fattori di cui non dobbiamo preoccuparci eccessivamente, almeno in ottica visibilità sul motore di ricerca.

  1. Frequenza di rimbalzo
  2. Presenza di pagine 404 e soft 404 (non influiscono sul posizionamento degli altri URL, ma possono comunque fornire un’esperienza utente scadente)
  3. Google Display Ads (non danneggiano il posizionamento, ma possono ridurre la velocità di caricamento del sito e quindi influenzare negativamente la UX)
  4. AMP
  5. Better Business Bureau (un vecchio <em>mito</em> sosteneva che le recensioni del Better Business Bureau – BBB ​​potessero non solo influire sulle decisioni di acquisto dei consumatori, ma anche le classifiche SEO)
  6. Percentuale di clic – CTR
  7. Code to Text ratio (rapporto tra volume del codice rispetto alla quantità di testo in pagina)
  8. Meta descriptions
  9. Azioni manuali (sono una penalità, non un segnale di ranking)
  10. Lunghezza del contenuto
  11. Età del dominio
  12. Nome del dominio (corrispondenza con la keyword)
  13. Priorità al primo link
  14. Attualità dei contenuti
  15. Tipi di link (correlati alle estensioni come .edu, .gov eccetera)
  16. Keyword density
  • Fattori di ranking incerti.

L’ultimo gruppo di segnali comprende una serie di elementi “in sospeso”, che hanno alcune prove a supporto del loro utilizzo effettivo ai fini ranking ma ancora nessuna conferma o smentita ufficiale.

  1. Autorship o ruolo dell’autore del contenuto (la firma di un autore specifico potrebbe influire sul modo in cui Google classifica la pagina, anche alla luce di EEAT)
  2. Liste HTML (elenchi puntati o numerati potrebbero o meno avere effetto sul ranking, ma spesso aiutano a conquistare visibilità perché compaiono nei featured snippet)
  3. MUM (MUM Multitask Unified Model è stato implementato nel 2021 per aiutare gli algoritmi a comprendere meglio il linguaggio, in modo che Google possa rispondere in modo più efficace a query di ricerca complesse)
  4. Formattazione del testo (l’utilizzo di elementi HTML, come grassetto o corsivo, per formattare il testo può aiutare sia i lettori che gli strumenti di scansione di Google a trovare rapidamente parti importanti dei contenuti)

I fattori di ranking su Yandex e i leak del codice sorgente

A prima vista, leggere che Google utilizza 200 e oltre fattori di ranking per valutare le pagine può sembrare un valore “esagerato”, ma in realtà gli elementi presi in considerazione dai motori di ricerca per creare le loro classifiche sono ancora più numerosi.

Lo abbiamo scoperto concretamente alla fine di gennaio 2023, quando il russo Yandex (quarto search engine al mondo per numero di utenti), ha subito un leak che ha portato alla pubblicazione sui social di (grossa) parte dei suoi codici sorgente interni, compresi appunto i possibili segnali usati ai fini del ranking.

Come rivelato dagli esperti che si sono lanciati nello studio di questa immensa mole di dati, si contano oltre 1900 fattori di ranking (per la precisione, 1922), anche se poi 999 di questi sono etichettati come TG_DEPRECATED, 242 come TG_UNUSED, 149 come TG_UNIMPLEMENTED e 115 come TG_REMOVED – in pratica, quelli attivi sono circa 417, comunque molti di più dei circa 200 che ipotizziamo per Google.

Le differenze e i punti in comune tra Yandex e Google

È abbastanza scontato dire che Yandex non è Google – secondo un’analisi di massima, le due SERP sarebbero simili al 70% in termini di risultati elencati in prima pagina per le stesse query, senza considerare funzionalità aggiuntive – ma il funzionamento di base dei motori di ricerca è paragonabile.

Ne consegue che lo studio dei fattori di ranking svelati di Yandex è un’operazione che può fornire comunque degli insights interessanti a chi fa SEO su Google, nella consapevolezza che le informazioni non sono necessariamente direttamente applicabili anche al motore di ricerca più famoso e usato al mondo.

Come rivelato da alcuni articoli, i segnali di posizionamento più importanti per Yandex si raggruppano in quattro aree:

  • Link: Yandex utilizza un algoritmo simile al PageRank do Google che valutare la qualità dei link, tenendo conto di elementi quali i testi e l’età.
  • Segnali degli utenti: laddove Google ha sempre negato di usare questi criteri (troppo volatili, manipolabili e poco affidabili), il codice sorgente di Yandex mostra chiaramente che i segnali degli utenti sono un fattore di ranking e che quindi valori come il CTR, il tempo di permanenza sul sito, la frequenza di rimbalzo e il numero di visitatori che ritornano nelle SERP hanno impatto sul posizionamento.
  • Rilevanza: Yandex utilizza principalmente BM25 e altri elementi, come il fatto che la keyword sia contenuta nell’URL.
  • Fiducia e qualità: Anche Yandex applica requisiti di qualità più elevati per argomenti sensibili come la salute e i contenuti finanziari – ad esempio, esistono 7 diversi fattori di ranking per i soli argomenti medici.

Inoltre, Yandex generalmente classifica i contenuti pubblicati su Wikipedia.org meglio degli altri, prevede un effetto negativo sui ranking per gli errori del server (codici di stato 400/500) e valuta positivamente la crittografia HTTPS e la velocità dei siti.

Probabilmente, ribadiamo, queste regole leakate sono obsolete e quasi sicuramente differenti da quelle in uso su Google, ma ad ogni modo può essere interessante sapere o avere un’idea generale di come funziona un motore di ricerca, anche senza imporsi poi di applicare alla lettera tutte le indicazioni per sperare di ottenere un miglioramento della visibilità organica!

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