Bounce Rate: cos’è e come si calcola la frequenza di rimbalzo

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Non è solo una questione di numeri, ma un viaggio nell’esperienza utente per raccogliere dati e insights utili per migliorare la relazione e l’interazione tra il nostro sito e chi lo visita. Il bounce rate o frequenza di rimbalzo è una metrica che può “togliere il sonno” a chi gestisce un sito web, anche perché non esiste un valore assoluto a cui far riferimento. Per questo motivo, riscontrare un bounce rate alto non necessariamente significa che il sito non funziona, anche se tendenzialmente un tasso molto elevato potrebbe dipendere da alcuni errori e problemi anche a livello di SEO on page. Approfondiamo dunque questo topic e per capire meglio cos’è il bounce rate, cosa misura e perché è importante tenere sotto controllo queste metriche per rendere il sito più accogliente e coinvolgente.

Che cos’è il bounce rate

Bounce rate o frequenza di rimbalzo è una percentuale che indica quanti visitatori hanno lasciato il sito dopo aver visualizzato una sola pagina, senza interagire con essa.

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L’espressione bounce rate si traduce letteralmente con tasso di rimbalzo e definisce la percentuale di visitatori che lasciano il sito Web dopo aver visualizzato solo una pagina, rimbalzando e tornando dietro verso la pagina dei risultati di ricerca o sul sito Web da cui partiva un link in uscita. Ciò significa che la loro sessione è durata meno di 10 secondi, non ha attivato un evento di conversione e non ha incluso una seconda visualizzazione di pagina o schermata.

È una metrica importante per analizzare il traffico del sito e avere una prima idea del comportamento degli utenti rispetto ai contenuti proposti, perché ci offre uno spaccato immediato dell’engagement e dell’interesse suscitato dal nostro contenuto o dalla struttura del sito stesso. Rappresenta, in ambito digitale, ciò che avviene in un negozio se un cliente entra, dà un’occhiata rapida ed esce senza interagire con il personale o senza toccare alcun prodotto.

Cosa significa la frequenza di rimbalzo per un sito web

La frequenza di rimbalzo misura, quindi, l’efficacia con cui il nostro sito cattura l’attenzione dei visitatori.

È un termometro della prima impressione che lasciamo, della rilevanza del nostro contenuto rispetto alle aspettative generate magari da un titolo o da una meta description.

Ma non solo: riflette anche l’usabilità del sito, la velocità di caricamento delle pagine, la chiarezza della navigazione. In breve, il bounce rate è un indicatore complesso che ci parla di come il nostro sito comunica e si relaziona con chi atterra su di esso.

Le cause del bounce rate: perché le persone rimbalzano sul sito

Le persone possono “rimbalzare” da un sito per una varietà di motivi, alcuni dei quali possono essere legati alla qualità e alla rilevanza del sito stesso, mentre altri possono essere completamente al di fuori del controllo del proprietario del sito.

Tra i motivi più comuni per cui si verifica un rimbalzo citiamo:

  1. Contenuto non rilevante o non soddisfacente. Se un utente arriva su una pagina e non trova le informazioni che si aspettava o se il contenuto non è convincente, è probabile che lasci il sito senza interagire ulteriormente.
  2. User Experience (UX) scadente. Una navigazione complicata, un design confuso, font difficili da leggere, o un layout non intuitivo possono frustrare gli utenti e spingerli ad abbandonare il sito.
  3. Tempi di caricamento lenti. In un’era digitale in cui la velocità è tutto, le pagine lente che impiegano troppo tempo a caricarsi spesso perdono utenti impazienti che non vogliono aspettare.
  4. Problemi tecnici. Errori di caricamento, crash del sito, o qualsiasi altro problema tecnico possono interrompere l’esperienza dell’utente e causare un rimbalzo.
  5. Call-to-action (CTA) mancanti o inefficaci. Senza una chiara indicazione di cosa fare dopo, gli utenti potrebbero non sapere come procedere o potrebbero non sentirsi motivati a fare ulteriori azioni sul sito.
  6. Pubblicità eccessiva o invadente. Troppi annunci o pop-up possono sopraffare o irritare gli utenti, portandoli a lasciare il sito.
  7. Contenuto obsoleto o non aggiornato. Se il contenuto non è attuale o non è mantenuto aggiornato, può perdere rilevanza e valore agli occhi degli utenti.
  8. Mancanza di fiducia o credibilità. Elementi come recensioni negative, design obsoleto o la mancanza di una connessione sicura in HTTPS possono far dubitare gli utenti della legittimità o dell’affidabilità del sito.
  9. Targeting errato. Se il traffico al sito non è ben mirato, le persone che arrivano potrebbero non far parte del pubblico desiderato e quindi non essere interessate al contenuto offerto.
  10. Errore di digitazione o click accidentale. Gli utenti possono arrivare su una pagina per errore e quindi lasciarla immediatamente.
  11. Intenzioni dell’utente. A volte, gli utenti cercano solo informazioni rapide o conferme e non hanno intenzione di navigare ulteriormente sul sito.
  12. Contenuto sufficiente sulla pagina di ingresso. Paradossalmente, se un utente trova esattamente ciò che cerca sulla prima pagina e non ha bisogno di ulteriori informazioni, potrebbe lasciare il sito dopo aver ottenuto ciò che desiderava, risultando in un rimbalzo.

Differenza tra bounce rate, exit rate e pogo sticking

È forse opportuno a questo punto definire in maniera precisa quali sono le differenze tra tasso di rimbalzo, tasso di uscita e pogo sticking, metriche che a prima vista possono sembrare simili, ma che in realtà forniscono informazioni diverse sul comportamento degli utenti all’interno di un sito web.

Come detto, il bounce rate è la percentuale di visite durante le quali l’utente ha lasciato il sito dalla stessa pagina di ingresso senza interagire con essa (ad esempio, senza cliccare su link, senza compilare un modulo, ecc.). Un “rimbalzo” si verifica quando un utente arriva su una pagina e poi se ne va senza aver visitato altre pagine del sito.

L’exit rate, invece, misura quante volte una specifica pagina è stata l’ultima in una sessione di navigazione, indipendentemente dal numero di pagine visitate durante quella sessione. In altre parole, mentre il bounce rate considera solo le sessioni di una pagina, l’exit rate tiene conto di tutte le sessioni, fornendo la percentuale di tutte le visualizzazioni di una pagina che hanno portato a una uscita dal sito.

Per esemplificare, se un utente visita tre pagine in sequenza sul sito – Pagina A, Pagina B e Pagina C – e poi lascia il sito dalla Pagina C, la Pagina C avrà registrato un’uscita, ma non un rimbalzo. Se un altro utente visita solo la Pagina A e poi se ne va, quella sarà sia un’uscita che un rimbalzo per la Pagina A.

Il pogo sticking, invece, è un termine che si riferisce a un comportamento specifico degli utenti nei motori di ricerca, che si verifica quando un utente fa clic su un risultato di ricerca, poi rapidamente “rimbalza” indietro alla pagina dei risultati e clicca su un altro risultato. Questo può indicare che l’utente non ha trovato ciò che cercava nella prima pagina e sta continuando la sua ricerca.

Mentre il bounce rate è una metrica misurata all’interno del nostro sito web, il pogo-sticking è un comportamento osservato e valutato principalmente dai motori di ricerca per valutare la qualità e la pertinenza dei risultati di ricerca. Non è insomma una metrica che possiamo trovare in strumenti come Google Analytics, ma un concetto da comprendere e valutare in ottica SEO.

Formula del bounce rate: come calcolare la frequenza di rimbalzo

In termini quantitativi e matematici, come chiarisce l’immagine sotto, la frequenza di rimbalzo rappresenta il rapporto tra le sessioni di una sola pagina (il numero totale di utenti che visualizza una sola pagina) e il totale delle sessioni (il numero totale di entries sulle pagine del sito).

Che cos'è il bounce rate

La formula per calcolare il bounce rate è piuttosto diretta. Il tasso di rimbalzo si ottiene dividendo il numero totale di visite di una sola pagina (ovvero le sessioni in cui l’utente ha lasciato il sito dalla pagina di ingresso senza interagire con la pagina) per il numero totale di sessioni o visite al sito. Il risultato si moltiplica per 100 per ottenere una percentuale.

La formula è la seguente:

Bounce Rate = (Numero totale di visite di una sola pagina / Numero totale di visite) / 100

Ad esempio, se un sito web riceve 1000 visite in un mese e 500 di queste sono visite in cui l’utente ha lasciato il sito senza interagire con la pagina di ingresso, il bounce rate sarà:

Bounce Rate = (500 / 1000) / 100 = 50%

C’è anche una variante semplificata e corretta per calcolare il bounce rate. In questo caso, prendiamo in considerazioni il numero di sessioni non coinvolgenti (unengaged sessions), e quindi il totale di visite durante le quali l’utente ha lasciato il sito dalla pagina di ingresso senza alcuna interazioni, come clic su link, compilazione di moduli, scroll della pagina e così via.

In tal senso, la formula della frequenza di rimbalzo diventa:

Bounce rate = Numero di sessioni non coinvolgenti / Numero totale di sessioni / 100

Il bounce rate viene quindi calcolato dividendo il numero di sessioni non coinvolgenti per il numero totale di sessioni e moltiplicando il risultato per 100 per ottenere una percentuale. Ad esempio, se in un mese ci sono state 1.000 sessioni sul tuo sito e 300 di queste sono state sessioni non coinvolgenti, il bounce rate sarà del 30%. Pertanto, su 100 visitatori, 3 hanno lasciato il sito dopo aver visto solo la prima pagina a cui sono arrivati.

In questa ottica, il bounce rate diventa l’esatto inverso del tasso di coinvolgimento.

Gli strumenti per misurare il tasso di rimbalzo

Misurare il bounce rate è fondamentale per ottimizzare le performance del nostro sito, perché l’analisi dei dati ci aiuta a identificare problemi di contenuto, di design o tecnici che potrebbero essere ostacoli invisibili tra noi e il nostro pubblico. L’ottimizzazione del tasso di rimbalzo può quindi essere un passo essenziale per migliorare l’esperienza utente e, di conseguenza, la nostra autorità e reputazione online.

In nostro supporto arrivano vari strumenti per calcolare e misurare il bounce rate, a partire da Google Analytics, che fornisce dati dettagliati sul comportamento degli utenti, permettendo di vedere la frequenza di rimbalzo per l’intero sito così come per singole pagine, in modo da identificare quali pagine specifiche hanno problemi di coinvolgimento. Inoltre, Google Analytics consente di segmentare il bounce rate per fonte di traffico, località geografica, dispositivo (desktop, mobile, tablet) e molte altre variabili, offrendo così una visione approfondita di come diversi segmenti di pubblico interagiscono con il sito.

Altri tool utili sono Hotjar e Crazy Egg che, oltre i numeri tradizionali, forniscono heatmap, registrazioni delle sessioni e sondaggi agli utenti, funzionalità che possono aiutarci a comprendere il “perché” dietro un alto bounce rate, offrendo una visione più qualitativa del comportamento degli utenti.

Per utilizzare questi strumenti al meglio, è importante impostare correttamente i tracking code sul sito web e definire chiaramente gli obiettivi e le conversioni. Questo permette di distinguere tra un bounce rate che può essere naturale per certi tipi di contenuto (come gli articoli di un blog) e quello che indica problemi da risolvere (come in un sito e-commerce dove un alto bounce rate può significare perdita di vendite).

Non dobbiamo poi trascurare il nostro SEOZoom: anche se non visualizziamo direttamente il bounce rate, possiamo comprendere le performance del sito attraverso altri dati che possono influenzare il tasso, come la presenza di parole chiave, la visibilità nei motori di ricerca e la salute tecnica del sito.

I valori di bounce rate: comprendere il tasso di rimbalzo del sito

Secondo Wikipedia, “molti sistemi di statistiche fissano il bounce rate a 30 secondi“: se l’utente abbandona la pagina entro 30 secondi si può definire disinteressato ai contenuti visualizzati. Questo approccio tenta di distinguere tra utenti che hanno lasciato rapidamente la pagina perché non era ciò che cercavano e quelli che potrebbero aver letto o guardato il contenuto prima di andarsene.

Nel tempo, tale valore di riferimento è stato abbassato e di molto, e alcuni applicativi software commerciali lo fissano a 5 secondi!

In realtà, non esistono valori fissi per stabilire la frequenza di rimbalzo ottimale, anche perché il termine stesso è relativo e varia come dicevamo in base alla tipologia di sito; in linea di massima, un tasso di abbandono basso significa che gli utenti apprezzano l’organizzazione dei contenuti e l’aspetto grafico del sito, che li convincono a continuare l’esplorazione di altre pagine.

E poi, dobbiamo ricordare che la frequenza di rimbalzo non misura il tempo che un utente spende sulla pagina di un sito né l’user engagement: questo è un fattore che crea parecchia confusione, mentre in realtà è possibile che un sito proponga una pagina di qualità e molto engaging ma, al tempo stesso, abbia una elevata frequenza di rimbalzo, proprio perché questa metrica non calcola la durata delle sessioni sul sito.

Quindi, per precisare: il rimbalzo avviene ogni volta che un utente entra sul sito, legge una pagina e il sistema di analisi non registra altri segnali utili, perché la persona clicca sulla freccia back del browser, chiude la finestra stessa del browser, clicca su un link esterno o utilizza la barra di ricerca del browser per spostarsi verso altri siti e altri URL.

Per interpretare correttamente il bounce rate, dobbiamo allora considera i seguenti fattori:

  • Tipo di pagina. Diverse pagine hanno aspettative diverse di bounce rate. Ad esempio, una landing page con un form di iscrizione può avere un bounce rate più alto rispetto a una homepage che serve come hub per altre pagine.
  • Fonti di traffico. Il bounce rate può variare a seconda della fonte di traffico. I visitatori provenienti da email marketing potrebbero essere più coinvolti rispetto a quelli che arrivano tramite social media.
  • Obiettivi del sito. Se il sito è progettato per fornire informazioni rapide o risposte a domande specifiche, un bounce rate più alto potrebbe non essere preoccupante.
  • Comportamento dell’utente. Alcuni utenti potrebbero essere interessati solo a una rapida lettura e poi lasciare il sito, specialmente su dispositivi mobili.
  • Settore di appartenenza. Il bounce rate “normale” può variare notevolmente tra settori diversi. È utile confrontare il proprio bounce rate con quello medio della propria nicchia di mercato.

Quali sono i range della frequenza di rimbalzo

Per comprendere i valori del bounce rate è quindi più importante considerare il contesto specifico del sito e delle sue pagine. Di norma, si considerano queste fasce:

  • Bounce rate basso (0-40%). Generalmente, un bounce rate basso è desiderabile e indica che la maggior parte degli utenti interagisce con il sito oltre la pagina di ingresso. Tuttavia, un valore troppo basso, specialmente se vicino allo 0%, potrebbe anche suggerire un problema di tracciamento, come il doppio caricamento del codice di tracciamento.
  • Bounce rate medio (41-55%). Questo è considerato un intervallo accettabile per molti siti. Un bounce rate medio suggerisce che il sito sta performando bene, ma c’è sempre spazio per ottimizzazioni e miglioramenti.
  • Bounce rate alto (56-70%). Un valore più elevato può essere motivo di preoccupazione, soprattutto se il sito è progettato per incoraggiare più interazioni per sessione, come un e-commerce o un sito di servizi. In questi casi, potrebbe essere necessario analizzare e ottimizzare il contenuto, la struttura del sito o la strategia di targeting.
  • Bounce rate molto alto (oltre il 70%). Valori così elevati sono spesso un segnale di allarme, indicando che gli utenti non trovano ciò che cercano o che l’esperienza utente è carente. Tuttavia, per alcuni tipi di contenuti, come blog, news, o pagine di destinazione con un singolo obiettivo di conversione, un bounce rate più alto può essere normale.

Ad ogni modo, il bounce rate deve essere valutato in relazione agli obiettivi specifici del sito e in combinazione con altre metriche per ottenere una comprensione più completa dell’esperienza e del comportamento dell’utente.

Cosa dicono gli studi: il bounce rate medio per i siti

Pur non essendoci un dato fisso e oggettivo, la maggior parte degli studi e dei report ha comunque evidenziato che il valore medio del tasso di rimbalzo è compreso tra il 41 e il 51%.

Un’analisi recente di Databox supporta queste cifre, indicando che il bounce rate medio per tutti i settori si aggirava intorno al 44%.

I valori di bounce rate per settore - da databox

In maniera ancora più approfondita, il team di EduBirdie ha preso in esame un campione ristretto di siti per studiare la media del bounce rate e provare a stimare i valori “buoni”. Da questo studio emerge che la maggior parte dei siti web ha una frequenza di rimbalzo compresa tra il 26 e il 70 per cento, e più in dettaglio che è possibile visualizzare una sorta di sistema di classificazione della frequenza di rimbalzo:

  • 25% o inferiore: qualcosa è probabilmente rotto (sbagliata installazione di Google Analytics, ad esempio).
  • 26-40%: eccellente. È un valore indicativo di un sito ben costruito e disegnato professionalmente, che incontra le necessità degli utenti.
  • 41-55%: medio.
  • 56-70%: più alto del normale, ma potrebbe avere senso a seconda del sito web
  • 70% o superiore: valore molto alto, che potrebbe indicare problemi al sito (ma anche essere legato alla specificità delle pagine).

Grafico di RocketFuel sul bounce rate
In genere, si ritiene che un bounce rate molto alto indichi che la maggior parte dei visitatori che arrivano sul sito non sono realmente interessati al contenuto proposto (e posizionato in SERP), oppure che non hanno apprezzato il design o ancora che non hanno trovato quello che stavano cercando. Ma anche avere un bounce rate pari a 0 o sotto alla soglia del 25% può essere un problema: tali valori dipendono come detto da un errore nell’implementazione delle analitiche, oppure da una modalità di costruzione del sito che forza gli utenti a compiere almeno una azione prima di uscire (ad esempio gateway o landing page attraverso cui passare prima di giungere al sito principale), inficiando comunque l’esperienza degli utenti stessi.

In linea di massima, dunque, un valore elevato di frequenza di rimbalzo (calcolata in modo corretto) è un sintomi di problemi più profondi al sito, e in particolare di user experience non ottimale o scarso targeting delle pagine, da cui possono quindi scaturire conseguenti difficoltà SEO.

La frequenza di rimbalzo medio per categoria di sito

E così, un altro studio – eseguito da Clicktale – ha provato a fissare i livelli medi di bounce rate per categoria di sito, rivelando che per le pagine di blog la frequenza di rimbalzo si attesta generalmente tra il 70 e il 90 per cento, per i siti informativi scende al 40-60 per cento e per i siti che offrono servizi dovrebbe restare tra il 10-30 per cento. Per un e-Commerce, in particolare, il bounce rate medio è del 33,9 per cento.

Tornando alla citata guida di Analytics, è Google a chiarire che un’elevata frequenza di rimbalzo non è sempre un problema o “male”, perché dipende a seconda del sito in esame. Se il successo del sito “dipende dal fatto che gli utenti visualizzano più di una pagina, allora sì, una frequenza di rimbalzo elevata è un male”, spiegano da Mountain View, perché ad esempio se la “home page è la porta d’accesso per il resto del sito (ad es. per nuovi articoli, pagine dei prodotti, elaborazione del checkout) e un’elevata percentuale degli utenti visualizza solo la tua home page, un’elevata frequenza di rimbalzo non sarà un obiettivo a cui mirare”. Al contrario, “se hai un sito di una sola pagina come un blog o se offri altri tipi di contenuti per cui ti aspetti sessioni di una sola pagina, allora un’elevata frequenza di rimbalzo è perfettamente normale”, ci rassicurano.

Tornando al citato report di Databox, poi, le frequenze di rimbalzo più elevate sono state riscontrate nei settori verticali della consulenza, dei servizi professionali e dell’informatica. Secondo gli esperti, ciò potrebbe dipendere dalle loro offerte complesse: i visitatori possono arrivare su un sito alla ricerca di informazioni o soluzioni specifiche e, se non trovano rapidamente ciò di cui hanno bisogno, rimbalzano.

Servizi complessi possono portare a una frequenza di rimbalzo più elevata se il sito web non comunica in modo efficace la proposta di valore. Oppure, situazione esattamente inversa, i lettori potrebbero aver trovato ciò di cui avevano bisogno, deciso di contattare immediatamente l’azienda e lasciato subito dopo il sito.

Qual è una frequenza di rimbalzo ottimale

Parlare di una frequenza di rimbalzo “ottimale” o ideale è complesso perché, come detto, questo dato varia a seconda del tipo di sito e degli obiettivi specifici. Per un blog, ad esempio, un tasso del 70-80% potrebbe essere normale, mentre per un e-commerce un valore simile sarebbe allarmante.

In generale, un bounce rate tra il 26% e il 40% è considerato eccellente.

Tuttavia, più che inseguire un numero ideale, dovremmo concentrarci sul comprendere le esigenze e i comportamenti del nostro pubblico, per poi lavorare costantemente al miglioramento del sito in funzione di questi dati. Il vero obiettivo è creare un’esperienza utente tale da invogliare i visitatori a rimanere, esplorare

Bounce rate alto: capire quando il tasso di rimbalzo è davvero elevato

È evidente che un bounce rate alto può essere un campanello d’allarme. Di base, indica che un numero significativo di visitatori non trova ciò che cerca o non è stimolato a esplorare oltre la prima pagina che visita. Questo può essere dovuto a diversi fattori: forse il contenuto non è abbastanza pertinente o coinvolgente, forse il design non è intuitivo o la pagina impiega troppo tempo a caricarsi. Un alto tasso di rimbalzo ci chiama in causa e ci chiede di indagare e di intervenire per trasformare quel primo, fugace incontro con l’utente in un dialogo più profondo e duraturo.

Eppure, come dicevamo, molto dipende dal sito: le metriche prese singolarmente e non contestualizzate in un progetto e in una strategia non sono realmente utili.

Ad esempio, gli utenti di un sito che è incentrato sugli eventi vogliono spesso soltanto conoscere il giorno, l’ora, la location dell’evento di interesse: quando hanno ottenuto le informazioni (e magari nel minor tempo possibile), lasciano la pagina e il sito. Quindi, il bounce rate di quel sito sarà inevitabilmente alto, ma non rappresenta un fattore critico perché intercetta a pieno le esigenze dei suoi utenti reali.

Per un e-Commerce, invece, i clienti probabilmente si soffermeranno un po’ di più e quindi idealmente la frequenza di rimbalzo dovrebbe essere più bassa; un trend di rimbalzi in salita è un segnale che potrebbe allarmare i siti di shopping online perché indica che gli utenti lasciano il sito molto velocemente e quasi sicuramente questo si traduce in meno vendite (ma bisogna sempre analizzare le effettive conversioni per averne certezza).

Le cause più frequenti per un bounce rate alto

Ad ogni modo, anche se non influisce direttamente sul ranking e non è necessariamente problematica, la frequenza di rimbalzo è un elemento che deve essere controllato e analizzato all’interno di una strategia SEO consapevole: un valore elevato, se calcolato e contestualizzato correttamente, può infatti essere un sintomo di problemi più profondi del sito, come carenze nella user experience o un cattivo targeting degli utenti, e più in generale è una spia di debolezze nella SEO.

Per interpretare in modo corretto la metrica del bounce rate bisogna analizzare:

  • Intento e comportamento degli utenti, modalità di interazione con le pagine.
  • Tipologia di sito.
  • Tipologia e qualità di pagina web.
  • Tipologia di contenuti.
  • Tipologia di settore.
  • Qualità del traffico.
  • Tipologia di canale di marketing.
  • Tipologia di visitatore.
  • Tipologia di dispositivo usato.

Se, al netto di tutte queste valutazioni, il bounce rate è elevato e negativo, è il momento di intervenire: tra i più frequenti ci possono essere una bassa velocità di caricamento delle pagine, un design delle pagine di bassa qualità, mancata corrispondenza tra contenuto e keyword, scarsa ottimizzazione mobile e così via.

Concentrarsi solo sul bounce rate e provare a correggere il tasso non serve però a risolvere il problema di fondo. È invece importante capire perché la frequenza di rimbalzo è alta e risolvere le criticità riscontrate, perché questo lavoro di ottimizzazione ha un maggior senso (e produce maggiori risultati) per le prestazioni del sito.

  1. Lentezza nel caricamento delle pagine

Ormai sono anni che la velocità per Google è un fattore di ranking, quindi bisogna tenere in alta considerazione ogni aspetto correlato: un sito lento offre alle persone una fruizione scadente e tempi di attesa troppo lunghi per il caricamento delle pagine possono spingere i visitatori ad abbandonare il sito. Gli interventi per ottimizzare le performance e la velocità sono molteplici, e l’uso di strumenti come PageSpeed di Google possono dare indicazioni pratiche sulle aree più critiche, ad esempio l’ottimizzazione delle immagini o la limitazione degli script third-party.

  1. Anche titoli e snippet fuorvianti influenzano negativamente la frequenza di rimbalzo

Lo ribadiamo spesso: il tag title e la meta description dovrebbero riassumere in modo esaustivo e persuasivo il contenuto proposto in pagina. A volte, però, questi snippet non sono ben costruiti e ciò potrebbe fuorviare gli utenti, che cliccano sul link in SERP aspettandosi un tipo di risposta che, una volta atterrati, non trovano in realtà nella pagina.

Questo può derivare da un errore in buona fede o da un tentativo di fare clickbait di keyword, ma l’effetto è lo stesso e anche la soluzione è immediata: revisionare il contenuto della pagina e orientare di conseguenza il titolo e la meta descrizione, provando a migliorare il testo proposto per intercettare il vero search intent dei visitatori.

  1. L’impatto di errori tecnici nelle pagine

Quando la frequenza di rimbalzo è eccezionalmente alta e l’analisi del tempo speso in pagina degli utenti segnala una permanenza di pochi secondi appena, potrebbero esserci problemi tecnici come pagine vuote, errore 404 o caricamento non corretto.

Per replicare l’esperienza degli utenti bisogna visualizzare la pagina secondo le configurazioni di browser e dispositivo più usati dal proprio audience, o controllare in Google Search Console se ci sono indicazioni in merito (ad esempio, il rapporto Copertura), cercando una soluzione rapida.

  1. Occhio ai link cattivi da altri siti

A volte non siamo noi stessi responsabili del problema: come segnala Amelia Willson su SEJ, è anche possibile che un alto bounce rate possa dipendere dal traffico referral, e in particolare da un link che porta visitatori non qualificati o che hanno anchor text e contesto che possono risultare fuorvianti.

A volte questo è il risultato di un copywriting scarso, con lo scrittore o l’editor che ha linkato il sito nella parte sbagliata del testo oppure ha sbagliato il riferimento: quando ciò succede, possiamo provare a contattare il sito linkante e chiedere la correzione del link o la rimozione.

Nei casi più gravi – anche di tattiche SEO negative – esiste come soluzione drastica il disavow tool di Google: rimuovere questi link cattivi non ridurrà il bounce rate, ma segnala al motore di ricerca di non tenere conto del collegamento di quel sito per determinare la qualità e la pertinenza del nostro sito.

  1. Analisi del tipo di pagina: landing page di affiliazione o sito single-page

L’esperta SEO indica anche un altro caso specifico: chi lavora con affiliazioni o ha siti con una sola pagina potrebbe avere naturalmente un alto bounce rate, senza che però il dato sia preoccupante. Se sei un affiliato – dice Willson – “il punto centrale della tua pagina potrebbe essere quello di spostare deliberatamente le persone dal tuo sito Web al sito di vendite”, e quindi “stai facendo bene il lavoro se la tua pagina ha una frequenza di rimbalzo più alta”.

Scenario simile per un sito Web a pagina singola, “come una pagina di destinazione per il tuo ebook o un sito portfolio semplice”: è normale che siti come questi “abbiano una frequenza di rimbalzo molto elevata, poiché non c’è altro posto dove andare”.

  1. Il peso dei contenuti di bassa qualità o non ottimizzati

Gli utenti potrebbero rimbalzare dal sito perché i contenuti sono semplicemente cattivi, e quindi un lavoro per migliorare il copywriting SEO potrebbe dare frutti diretti e immediati, incrementando il tempo speso dalle persone a leggere per davvero ciò che è pubblicato sulle pagine.

  1. Quando il bounce rate è alto per cattiva UX

La presenza di annunci, pop-up, continui pulsanti di iscrizione e altre CTA invadenti potrebbe essere un fattore che porta i visitatori a lasciare il sito in maniera affrettata. Oppure, potrebbero esserci difficoltà nel percorso di navigazione creato per gli utenti, come assenza di una casella di ricerca o voci di menu non visualizzabili correttamente da mobile.

Come ridurre il bounce rate

Questo è il quadro sintetico sulla frequenza di rimbalzo, ma l’articolo di Search Engine Journal ci consiglia anche alcune best practices che possono servire per risolvere i problemi.

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Il primo intervento è sul rapporto tra contenuto e snippet di Ricerca: “Qualunque cosa tu stia pubblicizzando nelle SERP, i tuoi contenuti devono corrispondere ed essere all’altezza”. Quindi, “non chiamare la tua pagina una guida definitiva se si tratta di un post breve con tre suggerimenti, non pretendere di essere il ‘miglior prodotto’ se le recensioni degli utenti mostrano una valutazione a 3 stelle” e così via. Inoltre, è importante mantenere gli elementi rilevanti nella parte above the fold della pagina, quella mostrata prima agli utenti.

Una grande attenzione deve essere dedicata agli aspetti tecnici: il sito deve essere veloce, gli elementi non essenziali ridotti e la navigazione all’interno del sito (o di una lunga pagina di contenuti) ottimizzata, perché tutti questi elementi possono contribuire a fornire un’esperienza migliore alle persone, incentivate a restare sul sito e a non abbandonarlo immediatamente.

In generale, per ridurre il bounce rate è importante analizzare attentamente il comportamento degli utenti, identificare eventuali problemi e lavorare per migliorare l’esperienza complessiva del sito, la qualità del contenuto e l’efficacia del targeting.

Infine, c’è un modo semplice per ridurre la frequenza di rimbalzo del sito: sperimentare diversi exit intent popup, che si attivano ​​quando sembra che l’utente sia sul punto di lasciare il sito, proponendo sconti promozionali, collegamento a contenuti utili correlati a ciò che la persona stava già leggendo, la richiesta di feedback e altro ancora. In questo modo possiamo catturare l’attenzione del lettore e convincerlo a interagire col sito, evitando il suo rimbalzo “dannoso”.

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