Bounce rate: cos’è e cosa misura la frequenza di rimbalzo

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La frequenza di rimbalzo è uno dei fattori che può “togliere il sonno” a chi gestisce un sito web, sia per il fenomeno in sé che per la sua ambiguità: non esiste infatti un valore assoluto a cui far riferimento, perché il bounce rate dipende da molti fattori e anche dalla tipologia del sito. Per questo motivo, riscontrare un bounce rate elevato non necessariamente significa che il sito non funziona, anche se tendenzialmente un tasso molto alto potrebbe dipendere da alcuni errori e problemi anche a livello di SEO on page. Approfondiamo dunque questo topic e per capire meglio cos’è il bounce rate, cosa misura e perché è importante tenere sotto controllo queste metriche.

Che cos’è il bounce rate

L’espressione bounce rate indica letteralmente il tasso di rimbalzo, ovvero la percentuale di visitatori che lasciano il sito Web dopo aver visualizzato solo una pagina, rimbalzando e tornando dietro verso la pagina dei risultati di ricerca o sul sito Web da cui partiva un link in uscita.

Dal punto di vista matematico, come chiarisce l’immagine sotto la frequenza di rimbalzo rappresenta il rapporto tra le sessioni di una sola pagina (il numero totale di utenti che visualizza una sola pagina) e il totale delle sessioni (il numero totale di entries sulle pagine del sito).

Che cos'è il bounce rate
È una metrica importante per analizzare il traffico del sito e avere una prima idea del comportamento degli utenti rispetto ai contenuti proposti.

I valori di bounce rate

Secondo Wikipedia, “molti sistemi di statistiche fissano il bounce rate a 30 secondi“: se l’utente abbandona la pagina entro 30 secondi si può definire disinteressato ai contenuti visualizzati. Nel tempo, tale valore di riferimento è stato abbassato e di molto, e alcuni applicativi software commerciali lo fissano a 5 secondi!

In realtà, non esistono valori fissi per stabilire la frequenza di rimbalzo ottimale, anche perché il termine stesso è relativo e varia come dicevamo in base alla tipologia di sito; in linea di massima, un tasso di abbandono basso significa che gli utenti apprezzano l’organizzazione dei contenuti e l’aspetto grafico del sito, che li convincono a continuare l’esplorazione di altre pagine.

Come misurare la frequenza di rimbalzo

Il rimbalzo o bounce è dunque una sessione che interessa una sola pagina del sito; in Google Analytics il rimbalzo è calcolato “come una sessione che attiva una sola richiesta al server Analytics”, come ad esempio capita quando l’utente apre una pagina specifica e abbandona il sito senza eseguire altre richieste al server Analytics.

La frequenza di rimbalzo in linguaggio Google misura il “rapporto tra le sessioni di una sola pagina divise per tutte le sessioni o la percentuale di tutte le sessioni sul tuo sito nelle quali gli utenti hanno visualizzato solo una pagina e hanno attivato una sola richiesta al server Analytics”.

I chiarimenti per capire il bounce rate

Bisogna chiarire a questo punto che il bounce rate non misura il tempo che un utente spende sulla pagina di un sito né l’user engagement: questo è un fattore che crea parecchia confusione, mentre in realtà è possibile che un sito proponga una pagina di qualità e molto engaging ma, al tempo stesso, abbia una elevata frequenza di rimbalzo, proprio perché questa metrica non calcola la durata delle sessioni sul sito.

Quindi, alla definizione prima fornita potremmo aggiungere per precisare: il bounce avviene ogni volta che un utente entra sul sito, legge una pagina e il sistema di analisi non registra altri segnali utili, perché la persona clicca sulla freccia back del browser, chiude la finestra stessa del browser, clicca su un link esterno o utilizza la barra di ricerca del browser per spostarsi verso altri siti e altri URL.

Grafico di RocketFuel sul bounce rate

Il bounce rate medio per i siti e la frequenza di rimbalzo ideale

Sulla base di questi concetti, il team di EduBirdie ha preso in esame un campione ristretto di siti per studiare la media del bounce rate e provare a stimare i valori “buoni”. Da questo studio emerge che la maggior parte dei siti web ha una frequenza di rimbalzo compresa tra il 26 e il 70 per cento, e più in dettaglio che è possibile visualizzare una sorta di sistema di classificazione della frequenza di rimbalzo:

  • 25% o inferiore: qualcosa è probabilmente rotto (sbagliata installazione di Google Analytics, ad esempio).
  • 26-40%: eccellente. È un valore indicativo di un sito ben costruito e disegnato professionalmente, che incontra le necessità degli utenti.
  • 41-55%: medio.
  • 56-70%: più alto del normale, ma potrebbe avere senso a seconda del sito web
  • 70% o superiore: valore molto alto, che potrebbe indicare problemi al sito (ma anche essere legato alla specificità delle pagine).

In genere, si ritiene che un bounce rate molto alto indichi che la maggior parte dei visitatori che arrivano sul sito non sono realmente interessati al contenuto proposto (e posizionato in SERP), oppure che non hanno apprezzato il design o ancora che non hanno trovato quello che stavano cercando. Ma anche avere un bounce rate pari a 0 o sotto alla soglia del 25% può essere un problema: tali valori dipendono come detto da un errore nell’implementazione delle analitiche, oppure da una modalità di costruzione del sito che forza gli utenti a compiere almeno una azione prima di uscire (ad esempio gateway o landing page attraverso cui passare prima di giungere al sito principale), inficiando comunque l’esperienza degli utenti stessi.

In linea di massima, dunque, un valore elevato di frequenza di rimbalzo (calcolata in modo corretto) è un sintomi di problemi più profondi al sito, e in particolare di user experience non ottimale o scarso targeting delle pagine, da cui possono quindi scaturire conseguenti difficoltà SEO.

Come capire se il bounce rate di un sito è troppo alto

Ma, come dicevamo, molto dipende dal sito perché le metriche prese singolarmente e non contestualizzate in un progetto e in una strategia non sono realmente utili.

Ad esempio, gli utenti di un sito che è incentrato sugli eventi vogliono spesso soltanto conoscere il giorno, l’ora, la location dell’evento di interesse: quando hanno ottenuto le informazioni (e magari nel minor tempo possibile), lasciano la pagina e il sito. Quindi, il bounce rate di quel sito sarà inevitabilmente alto, ma non rappresenta un fattore critico perché intercetta a pieno le esigenze dei suoi utenti reali.

Per un ecommerce, invece, i clienti probabilmente si soffermeranno un po’ di più e quindi idealmente la frequenza di rimbalzo dovrebbe essere più bassa; un trend di rimbalzi in salita è un segnale che potrebbe allarmare i siti di shopping online perché indica che gli utenti lasciano il sito molto velocemente e quasi sicuramente questo si traduce in meno vendite (ma bisogna sempre analizzare le effettive conversioni per averne certezza).

La frequenza di rimbalzo medio per categoria di sito

E così, un altro studio – eseguito da Clicktale – ha provato a fissare i livelli medi di bounce rate per categoria di sito, rivelando che per le pagine di blog la frequenza di rimbalzo si attesta generalmente tra il 70 e il 90 per cento, per i siti informativi scende al 40-60 per cento e per i siti che offrono servizi dovrebbe restare tra il 10-30 per cento. Per un ecommerce, in particolare, il bounce rate medio è del 33,9 per cento.

Tornando alla citata guida di Analytics, è Google a chiarire che un’elevata frequenza di rimbalzo non è sempre un problema o “male”, perché dipende a seconda del sito in esame. Se il successo del sito “dipende dal fatto che gli utenti visualizzano più di una pagina, allora sì, una frequenza di rimbalzo elevata è un male”, spiegano da Mountain View, perché ad esempio se la “home page è la porta d’accesso per il resto del sito (ad es. per nuovi articoli, pagine dei prodotti, elaborazione del checkout) e un’elevata percentuale degli utenti visualizza solo la tua home page, un’elevata frequenza di rimbalzo non sarà un obiettivo a cui mirare”. Al contrario, “se hai un sito di una sola pagina come un blog o se offri altri tipi di contenuti per cui ti aspetti sessioni di una sola pagina, allora un’elevata frequenza di rimbalzo è perfettamente normale”, ci rassicurano.

Bounce rate elevato: le cause più frequenti

Ad ogni modo, anche se non influisce direttamente sul ranking e non è necessariamente problematica, la frequenza di rimbalzo è un elemento che deve essere controllato e analizzato all’interno di una strategia SEO consapevole: un valore elevato, se calcolato e contestualizzato correttamente, può infatti essere un sintomo di problemi più profondi del sito, come carenze nella user experience o un cattivo targeting degli utenti, e più in generale è una spia di debolezze nella SEO.

Comprendere la metrica della frequenza di rimbalzo

Per interpretare in modo corretto la metrica del bounce rate bisogna analizzare:

  • Intento e comportamento degli utenti, modalità di interazione con le pagine.
  • Tipologia di sito.
  • Tipologia e qualità di landing page.
  • Tipologia di contenuti.
  • Tipologia di settore.
  • Qualità del traffico.
  • Tipologia di canale di marketing.
  • Tipologia di visitatore.
  • Tipologia di dispositivo usato.

Se, al netto di tutte queste valutazioni, il bounce rate è elevato e negativo, è il momento di intervenire: tra i più frequenti ci possono essere una bassa velocità di caricamento delle pagine, un design delle pagine di bassa qualità, mancata corrispondenza tra contenuto e keyword, scarsa ottimizzazione mobile e così via.

Concentrarsi solo sul bounce rate e provare a correggere il tasso non serve però a risolvere il problema di fondo. È invece importante capire perché la frequenza di rimbalzo è alta e risolvere le criticità riscontrate, perché questo lavoro di ottimizzazione ha un maggior senso (e produce maggiori risultati) per le prestazioni del sito.

Le cause di bounce rate: lentezza nel caricamento delle pagine

Ormai sono anni che la velocità per Google è un fattore di ranking, quindi bisogna tenere in alta considerazione ogni aspetto correlato: un sito lento offre alle persone una fruizione scadente e tempi di attesa troppo lunghi per il caricamento delle pagine possono spingere i visitatori ad abbandonare il sito. Gli interventi per ottimizzare le performance e la velocità sono molteplici, e l’uso di strumenti come PageSpeed di Google possono dare indicazioni pratiche sulle aree più critiche, ad esempio l’ottimizzazione delle immagini o la limitazione degli script third-party.

Anche titoli e snippet fuorvianti influenzano negativamente la frequenza di rimbalzo

Lo ribadiamo spesso: il tag title e la meta description dovrebbero riassumere in modo esaustivo e persuasivo il contenuto proposto in pagina. A volte, però, questi snippet non sono ben costruiti e ciò potrebbe fuorviare gli utenti, che cliccano sul link in SERP aspettandosi un tipo di risposta che, una volta atterrati, non trovano in realtà nella pagina.

Questo può derivare da un errore in buona fede o da un tentativo di fare clickbait di keyword, ma l’effetto è lo stesso e anche la soluzione è immediata: revisionare il contenuto della pagina e orientare di conseguenza il titolo e la meta descrizione, provando a migliorare il testo proposto per intercettare il vero search intent dei visitatori.

L’impatto di errori tecnici nelle pagine

Quando la frequenza di rimbalzo è eccezionalmente alta e l’analisi del tempo speso in pagina degli utenti segnala una permanenza di pochi secondi appena, potrebbero esserci problemi tecnici come pagine vuote, errore 404 o caricamento non corretto.

Per replicare l’esperienza degli utenti bisogna visualizzare la pagina secondo le configurazioni di browser e dispositivo più usati dal proprio audience, o controllare in Google Search Console se ci sono indicazioni in merito (ad esempio, il rapporto Copertura), cercando una soluzione rapida.

Occhio ai link cattivi da altri siti

A volte non siamo noi stessi responsabili del problema: come segnala Amelia Willson su SEJ, è anche possibile che un alto bounce rate possa dipendere dal traffico referral, e in particolare da un link che porta visitatori non qualificati o che hanno anchor text e contesto che possono risultare fuorvianti.

A volte questo è il risultato di un copywriting scarso, con lo scrittore o l’editore che ha linkato il sito nella parte sbagliata del testo oppure ha sbagliato il riferimento: quando ciò succede, possiamo provare a contattare il sito linkante e chiedere la correzione del link o la rimozione.

Nei casi più gravi – anche di tattiche SEO negative – esiste come soluzione drastica il disavow tool di Google: rimuovere questi link cattivi non ridurrà il bounce rate, ma segnala al motore di ricerca di non tenere conto del collegamento di quel sito per determinare la qualità e la pertinenza del nostro sito.

Analisi del tipo di pagina: landing page di affiliazione o sito single-page

L’esperta SEO indica anche un altro caso specifico: chi lavora con affiliazioni o ha siti con una sola pagina potrebbe avere naturalmente un alto bounce rate, senza che però il dato sia preoccupante. Se sei un affiliato – dice Willson – “il punto centrale della tua pagina potrebbe essere quello di spostare deliberatamente le persone dal tuo sito Web al sito di vendite”, e quindi “stai facendo bene il lavoro se la tua pagina ha una frequenza di rimbalzo più alta”.

Scenario simile per un sito Web a pagina singola, “come una pagina di destinazione per il tuo ebook o un sito portfolio semplice”: è normale che siti come questi “abbiano una frequenza di rimbalzo molto elevata, poiché non c’è altro posto dove andare”.

Il peso dei contenuti di bassa qualità o non ottimizzati

Gli utenti potrebbero rimbalzare dal sito perché i contenuti sono semplicemente cattivi, e quindi un lavoro per migliorare il copywriting SEO potrebbe dare frutti diretti e immediati, incrementando il tempo speso dalle persone a leggere per davvero ciò che è pubblicato sulle pagine.

Quando il bounce rate è alto per cattiva UX

La presenza di annunci, pop-up, continui pulsanti di iscrizione e altre CTA invadenti potrebbe essere un fattore che porta i visitatori a lasciare il sito in maniera affrettata. Oppure, potrebbero esserci difficoltà nel percorso di navigazione creato per gli utenti, come assenza di una casella di ricerca o voci di menu non visualizzabili correttamente da mobile.

Come ridurre il bounce rate

Questo è il quadro sintetico sulla frequenza di rimbalzo, ma l’articolo di Search Engine Journal ci consiglia anche alcune best practices che possono servire per risolvere i problemi.

Il primo intervento è sul rapporto tra contenuto e snippet di Ricerca: “Qualunque cosa tu stia pubblicizzando nelle SERP, i tuoi contenuti devono corrispondere ed essere all’altezza”. Quindi, “non chiamare la tua pagina una guida definitiva se si tratta di un post breve con tre suggerimenti, non pretendere di essere il ‘miglior prodotto’ se le recensioni degli utenti mostrano una valutazione a 3 stelle” e così via. Inoltre, è importante mantenere gli elementi rilevanti nella parte above the fold della pagina, quella mostrata prima agli utenti.

Una grande attenzione deve essere dedicata agli aspetti tecnici: il sito deve essere veloce, gli elementi non essenziali ridotti e la navigazione all’interno del sito (o di una lunga pagina di contenuti) ottimizzata, perché tutti questi elementi possono contribuire a fornire un’esperienza migliore alle persone, incentivate a restare sul sito e a non abbandonarlo immediatamente.

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