Guida all’usabilità, un elemento fondamentale per un sito efficace e utile

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Mettere l’utente al centro ormai è (o almeno dovrebbe essere) diventato un mantra da seguire in ogni aspetto del digital marketing e della SEO, sia perché le persone sono gli effetti destinatati finali dei nostri contenuti (e degli sforzi di ottimizzazione), sia perché Google, almeno nelle intenzioni e nelle dichiarazioni, sta cercando di far emergere sempre più le pagine che rendano efficiente e soddisfacente l’esperienza dell’utente. In tal senso, un ruolo importante la svolge anche un aspetto pratico come l’usabilità, un elemento che riguarda l’efficacia, l’efficienza e, appunto, la soddisfazione generale che provano le persone che navigano il sito e le pagine web.

Che cos’è l’usabilità del sito web: definizioni e spiegazione

A livello generale, usabilità è un attributo di qualità che fa riferimento alla facilità di utilizzo delle interfacce utente di vario tipo; più precisamente, è un insieme di fattori ed elementi che servono a valutare l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione generale dell’utente nelle sue interazioni con prodotti o sistemi, inclusi siti Web, software, dispositivi o applicazioni.

Oggi, il concetto di usabilità – in inglese usability – è fissato anche dalla norma ISO 9241, che la definisce come “il grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso”.

Sul versante pratico, l’espressione si riferisce anche al complesso di metodi che possono migliorare la facilità d’uso di un sito durante il processo di progettazione, e in senso più ampio l’usabilità ha l’obiettivo di semplificare l’esperienza dell’utente, permettendo alle persone di trovare le informazioni necessarie, comprenderne i contenuti e non riscontrare difficoltà di utilizzo di pagine e siti.

Perché è importante l’usabilità nel Web

Anche se forse non ci facciamo caso, sul Web l’usabilità è una condizione necessaria per la sopravvivenza prima ancora che per il successo: molto banalmente, se un sito si rivela difficile da usare, se la home page non indica chiaramente cosa offre un’azienda e cosa possono fare gli utenti sul sito, se gli utenti si perdono tra le pagine, se le informazioni sono difficili da leggere, se i contenuti non rispondono alle domande chiave degli utenti, in tutti questi casi (e altri ancora) le persone se ne vanno.

Gli utenti non leggono un “manuale d’uso” del sito e non hanno tempo da dedicare allo studio e alla comprensione di un’interfaccia, anche perché ci sono molti altri siti web disponibili e quindi cercare alternative è la prima linea di difesa quando incontrano una difficoltà.

Secondo gli esperti, le più recenti best practices nel settore richiedono di spendere circa il 10% del budget di un progetto di design per l’usabilità: in media, questo sforzo aumenterà più del doppio le metriche di qualità desiderate di un sito Web, mentre per i prodotti software e fisici i miglioramenti sono in genere minori, ma comunque sostanziali.

In termini concreti, il raddoppio dell’usabilità per progetti interni significa riduzione della metà dei budget di formazione e raddoppio del numero di transazioni eseguite dai dipendenti all’ora. Per i progetti esterni, aspetto che ci interessa più da vicino, raddoppio di usabilità corrisponde a raddoppio delle vendite, al raddoppio del numero di utenti registrati o di lead dei clienti o al raddoppio di qualsiasi altro KPI (indicatore chiave di prestazione) che sia alla base di questo progetto.

La storia e l’evoluzione dell’attenzione sul tema

Nella sua accezione più ampia, possiamo intravedere i primi tentativi di focalizzarsi sull’usabilità nel taylorismo, la teoria elaborata dall’ingegnere statunitense Frederick Winslow Taylor (e presentata nella monografia L’organizzazione scientifica del lavoro, 1911) per studiare scientificamente il lavoro e migliorare l’efficienza della produzione industriale.

Proprio l’ambito industriale, insieme a quello militare, sono i settori in cui si cerca di applicare questi principi: sono noti in tal senso gli esperimenti di Frank Gilbreth e Lillian Moller Gilbreth, che riuscirono a ottimizzare le attività lavorative degli operai analizzandone anche le abitudini, riducendo le loro operazioni in fasi più piccole, ma anche più rapidi e semplici, mentre sia nella Prima che nella Seconda Guerra mondiale l’usabilità fu applicata in un contesto decisamente pratico. Ad esempio, proprio l’ottimizzazione delle attività servì da guida per insegnare ai soldati a montare e smontare le armi al buio, mentre nel 1943 Alphonse Chapanis, militare dell’esercito USA, dimostra che “l’errore del pilota” può essere ridotto attraverso l’introduzione di una consolle più intuitiva.

Uscendo dal settore bellico, poi, già nel 1936 il Palm Beach Post pubblica l’annuncio pubblicitario di un nuovo frigorifero in cui, per la prima volta, viene citata tra le caratteristiche proprio l’usabilità, mentre alla fine degli anni Quaranta John Karlin convince i Bell Labs a fondare un Dipartimento Preferenze dell’Utente (più tardi Dipartimento ingegneria dei fattori umani, di cui lo stesso Karlin sarà responsabile), che mettono a punto numerosi progetti di ricerca empirica, come l’usabilità dei sistemi di input numerici e la capacità umana di ricordare sequenze di cifre, perfezionando tra l’altro anche il sistema di composizione dei numeri, che è alla base della moderna tastiera telefonica ancora in uso oggi.

Un altro punto rilevante di questa cronistoria è il 1967, quando il poliedrico e filosofo accademico australiano di origine britannica, Micheal Scriven, compone un sistema di valutazioni nel campo della formazione dedicate all’apprendimento degli studenti, che diventerà poi la base, anche terminologica, per le diverse tipologie di valutazioni di usabilità.

Guardando più nello specifico al settore informatico, si riconoscono diverse fasi di consapevolezza e attenzione sui fattori di usabilità, che originariamente si riferivano per lo più alle applicazioni e progettazione dei software.

In realtà, e almeno fino agli anni Settanta, possiamo anzi parlare di usabilità assente o quasi: essendo usati dal progettista stesso o da un numero ristretto di utenti, solitamente con competenze e cultura molto simili a quelle del progettista, i prodotti a base informatica non dovevano porsi problemi di usabilità e c’era una sostanziale coincidenza fra lo user model e il design model.

Già a fine anni Settanta cambia qualcosa, però: proprio nel 1979 i Permanent Labs sperimentano all’IBM i “test sommativi di usabilità” e, nello stesso periodo, appare la prima pubblicazione scientifica che riporta il termine usabilità nel titolo, The Commercial Impact of Usability in Interactive Systems di John Bennett.

È dalla metà degli anni ’80 che l’usabilità comincia a svilupparsi e diventa una vera e propria scienza, che coniuga la psicologia e l’intelligenza artificiale all’informatica. Un esempio concreto di questa “trasformazione” è la nascita dei laboratori di usabilità, che testano i prodotti con utenti potenziali prima del lancio commerciale, e che rispondono a un’esigenza di tipo pratico (e legata all’aspetto economico): vista la diffusione delle tecnologie informatiche negli uffici e in contesti domestici, gli utenti non hanno più competenze comuni con i progettisti, e ciò significa che iniziano ad avvertirsi i problemi di usabilità che rendono queste esperienze d’uso infruttuose e frustranti.

L’approccio concentrato solo sulla valutazione finale non è però sufficiente a risolvere tali problemi e garantire l’efficacia del processo, perché le eventuali modifiche costano troppo o arrivano in ritardo: per questo, negli anni Novanta si sperimentano soluzioni differente e più ampie, che intervengono anche “a monte”. Merito di questa evoluzione concettuale va anche al lavoro di studiosi come Don Norman, autore del celeberrimo lavoro La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani (1987) e successivamente creatore, insieme a Jakob Nielsen, di Nielsen Norman Group, azienda di consulenza alle imprese per la realizzazione di servizi e prodotti centrati sull’uomo (dal cui blog abbiamo tratto varie informazioni usate per questo articolo).

Nasce così la progettazione a cascata, che introduce criteri di valutazione dell’usabilità in ogni fase del ciclo di sviluppo dei prodotti (ideazione, prototipizzazione, ingegnerizzazione, lancio), che evolve successivamente in una progettazione partecipata, che vede il coinvolgimento degli utenti – oltre che quello degli specialisti – nelle fasi che definiscono il processo, per raggiungere tutti insieme un prodotto finito che risponda alle esigenze concrete. In tal senso, quindi, la produzione di software, ma anche di siti e di altri prodotti informatici e digitali, smette di essere un semplice processo lineare e diventa un processo iterativo, in cui si raggiunge il risultato finale attraverso aggiustamenti successivi guidati dalla continua verifica delle esigenze e delle necessità dell’utente finale.

Vedendo rapidamente altri momenti chiave di questo percorso – ben rappresentati anche dall’infografica in basso – nel 1998 abbiamo la definizione ufficiale di usabilità secondo ISO e la pubblicazione di vari studi in merito (che iniziano anche a concentrarsi sulla navigazione Web e sulla user experience), mentre negli anni Duemila il fronte diventa ancora più esteso, si perfezionano le tecniche di misurazione dei fattori di usabilità e si iniziano a sfruttare anche i sistemi di automatizzazione e intelligenza artificiale applicati allo scopo.

La storia dell'Usabilità nel tempo

Quali sono i fattori che determinano l’usabilità del sito

Per capire l’importanza dell’usabilità e come “curarla” sul sito per garantire una buona esperienza agli utenti dobbiamo, innanzitutto, comprendere che non parliamo di una proprietà singola e unidimensionale di un prodotto, sistema o interfaccia utente, ma piuttosto di una combinazione di fattori che comprende, ad esempio:

  • Intuitività del design, vale a dire la realizzazione di un sistema di architettura e navigazione del sito che permetta all’utente una comprensione rapida e quasi senza sforzo.
  • Facilità di apprendimento, che definisce quanto è facile per gli utenti svolgere attività di base al primo approccio con l’interfaccia.
  • Efficienza d’uso, ovvero la velocità con cui un utente può portare a termine le attività dopo averne appreso le basi e aver familiarizzato con l’interfaccia.
  • Memorabilità, che si concentra sulla possibilità per gli utenti di ricordare le competenze acquisite dopo aver visitato il sito per utilizzarlo efficacemente nelle visite future e dopo un periodo di inutilizzo.
  • Frequenza e gravità degli errori, che studia appunto la frequenza con cui gli utenti commettono errori durante l’utilizzo del sistema, la gravità degli errori e il modo in cui gli utenti possono recuperare dagli errori.
  • Soddisfazione soggettiva, il grado di soddisfazione e piacere che l’utente avverte nell’utilizzare il sito.

Queste sono anche definite come le 6 componenti di qualità dell’usabilità applicate a un sito web e fanno riferimento ai principali attributi dell’usabilità definiti nel Sun Usability Lab, che tra l’altro suggeriscono di rispondere a domande su:

  • Utilità: qual è il senso stesso del sito? A cosa serve? E a chi serve? E il design è funzionale, ovvero fa ciò di cui gli utenti hanno bisogno?
  • Facilità di apprendimento: Come si comportano gli utenti nuovi di fronte al sito? Sono titubanti? Si ritrovano in aree di cui non conoscono il senso generale e a cui non sanno dire come sono arrivati? Non sanno “come” eseguire l’operazione che desiderano?
  • Prevenzione degli errori: il sito contiene errori di vario genere? Le persone compiono errori o usano spesso il tasto back (segno che hanno compiuto operazioni indesiderate o si sono trovate in pagine diverse da quelle previste)?
  • Soddisfazione: la navigazione e l’utilizzo del sito si rivela divertente e soddisfacente o crea ansia e frustrazione?

È evidente comunque che usabilità ha molto a che fare con utilità: poco importa che qualcosa sia facile o bello se non ci permette di ottenere ciò che vogliamo, così come (in senso opposto) non va bene se il sistema può ipoteticamente fare quello di cui abbiamo bisogno, ma non possiamo raggiungerlo perché l’interfaccia utente è troppo difficile.

Ne consegue, quindi, che il nostro obiettivo è creare un progetto che metta insieme entrambi questi fattori cruciali, e che sia utile nell’accezione inglese del termine, ovvero che rispetti utilità e usabilità così considerate:

  • Utilità (utility): capacità di fornire le funzionalità di cui l’utente ha bisogno .
  • Usabilità (usability): livello di qualità, facilità e piacevolezza dell’uso di queste funzionalità.
  • Utile/Funzionale (useful): un progetto che somma usabilità più utilità .

Come si fa una valutazione dell’usabilità

Chiariti sinteticamente gli aspetti teorici, andiamo ad approfondire alcuni concetti legati ai sistemi che abbiamo per capire se effettivamente il nostro sito riesce a essere useful, e quindi a scoprire quali sono i metodi di valutazione dell’usabilità e quando è opportuno implementarli.

La valutazione dell’usabilità si concentra sul modo in cui gli utenti possono apprendere e utilizzare un prodotto per raggiungere i propri obiettivi e si riferisce anche al livello di soddisfazione degli utenti con quel processo. Per raccogliere queste informazioni, i professionisti utilizzano una varietà di metodi che raccolgono feedback dagli utenti su un sito esistente o sui progetti relativi a un nuovo sito.

Ci sono due tipi di dati che possiamo ottenere: dati qualitativi e dati quantitativi. Questi ultimi rilevano cosa è realmente accaduto, mentre i dati qualitativi descrivono ciò che i partecipanti hanno pensato o detto. Dopo aver raccolto i dati, li utilizzeremo per determinare l’usabilità del sito web, consigliare miglioramenti, implementare le raccomandazioni e testare nuovamente il sito per misurare l’efficacia delle modifiche.

In linea di massima, la chiave per lo sviluppo di siti altamente utilizzabili è la scelta di un design incentrato sull’utente, impostato sulle sue necessità, ma le attività di testing (e le eventuali correzioni necessarie) vanno eseguite con frequenza e costanza, perché i problemi possono emergere anche successivamente in maniera imprevista.

A livello ideale, comunque, l’usabilità va garantita e curata in ogni fase del processo di progettazione, perché ci può assistere nello sviluppo di contenuti, nell’architettura dell’informazione, nel design visivo, nel design dell’interazione e, non in ultimo, nella soddisfazione generale. L’unico modo per ottenere un’esperienza utente di alta qualità è iniziare a testare gli utenti nelle prime fasi del processo di progettazione e continuare a testare in ogni fase del processo.

Rapidamente, le opportunità di testing includono strumenti e attività come:

  • Test di usabilità di base su un sito esistente (per identificare le parti buone da mantenere o enfatizzare le parti cattive che creano problemi agli utenti).
  • Focus group, sondaggi o interviste per stabilire gli obiettivi degli utenti.
  • Test Card Sort, per assistere con lo sviluppo di IA.
  • Test wireframe, per valutare la navigazione.
  • First click testing o test del primo clic, per verificare che gli utenti seguano la strada giusta.
  • Test di usabilità per valutare l’interazione dell’utente end-to-end.
  • Sondaggi sulla soddisfazione, uno studio sul campo per vedere come si comporta il sito nel mondo reale e come si comportano gli utenti nel loro habitat

I singoli test, o una combinazione di questi, potrebbe migliorare radicalmente l’usabilità di sito, sistema o applicazione.

Le tecniche per migliorare questi aspetti

In termini pratici, possiamo migliorare l’usabilità intervenendo con molti metodi, tra cui il più semplice e utile è il test dell’utente o user testing, che si articola in 3 componenti:

  • Identificare e contattare alcuni utenti rappresentativi, come i clienti di un sito di e-commerce.
  • Chiedere agli utenti di eseguire compiti rappresentativi con il design.
  • Osservare cosa fanno gli utenti, dove hanno successo e dove hanno difficoltà con l’interfaccia utente, senza intervenire o influenzare il loro comportamento. È importante testare gli utenti individualmente e lasciare che risolvano da soli eventuali problemi, perché se li aiutiamo o dirigiamo la loro attenzione su una parte particolare dello schermo contaminiamo i risultati del test.

Per identificare i problemi di usabilità più importanti di un progetto, in genere è sufficiente testare 5 utenti; inoltre, gli esperti suggeriscono di non organizzare uno studio grande e costoso, ma un numero maggiore di piccoli test (è un uso migliore e più efficace delle risorse), rivedendo il design tra ciascuno in modo da poter correggere i difetti di usabilità mentre li identifichiamo. Il design iterativo è il modo migliore per aumentare la qualità dell’esperienza utente: più versioni e idee di interfaccia testiamo con gli utenti, meglio sarà.

Il test dell’utente è diverso dai focus group, che hanno un posto nelle ricerche di mercato, ma che non aiutano concretamente per valutare i progetti di interazione: ascoltare ciò che le persone dicono è fuorviante, perché è più funzionale guardare cosa fanno effettivamente e osservare da vicino i singoli utenti mentre eseguono attività con l’interfaccia utente.

Usabilità e SEO: perché lavorare su questi aspetti può aiutare il sito

A prima vista, l’usabilità non sembra essere qualcosa di strettamente legato alla SEO, ma questa è una visione miope e obsoleta, come già dicevamo parlando di accessibilità (che possiamo anche ritenere un lavoro su un aspetto ancor più specifico di usability).

Ragionando alla vecchia maniera, la SEO consiste nell’attirare persone sul sito assicurandoci in primo luogo che venga visualizzato nelle query di ricerca ed emerga nelle SERP con giusta visibilità. L’usabilità, invece, riguarda il comportamento delle persone dopo che sono arrivate sul sito, con l’obiettivo principale di aumentare il tasso di conversione.

Secondo questa distinzione, quindi, la SEO avviene prima del primo clic e l’usabilità inizia esattamente al momento successivo, ma in realtà sappiamo che oggi non è più così, e non solo perché Google ha ufficialmente sancito che l’user experience è un fattore di ranking, con il Page Experience update. Anche intuitivamente, infatti, avere un’ottima SEO ma una pessima usabilità significa potenzialmente ottenere molto traffico, ma basso rapporto di conversione perché i visitatori non si trasformeranno in clienti. Al contrario, un sito con una grande usabilità ma una pessima SEO semplicemente non otterrà molti visitatori, quindi non importa quanto sia buono.

E quindi, anche se superficialmente sembrano concentrarsi su diverse fasi del funnel di lead generation, ci sono molti modi in cui SEO e usabilità si supportano a vicenda, soprattutto quando parliamo di e-Commerce: non a caso, la classica prima legge dell’e-commerce ci ricorda che “se gli utenti non riescono a trovare il prodotto, non possono nemmeno acquistarlo” ed esiste proprio un metodo specifico, ideato dal citato Jakob Nielsen, che si chiama valutazione euristica e serve a individuare e risolvere i pesi di usabilità che ostacolano un eCommerce per incrementare rapidamente le vendite.

Un altro aspetto pratico da analizzare è la ricerca interna al sito, un’area che può fornire valido supporto al percorso degli utenti, semplificando e accorciando la loro navigazione, ma che spesso rischia di essere mal implementata e quindi diventare fonte di frustrazione per le persone.

E quindi, volendo provare a elencare alcuni consigli generali di usabilità applicata alla SEO:

  • Offrire URL stabili in modo che altri siti possano collegarsi direttamente a ciascun contenuto chiave senza incappare in futuro in un eventuale link rotto. Laddove impossibile mantenere la struttura iniziale, è opportuno fornire il corretto redirect.
  • Parlare la lingua dell’utente nei titoli delle pagine, negli heading e nel corpo del testo, rispettando le linee guida principali per il web writing senza trascurare le norme grammaticali e sintattiche.
  • Evitare il keyword stuffing e altre pratiche di black hat SEO che possono nuocere all’esperienza utente e, soprattutto, provocare una reazione negativa di Google.
  • Offrire una chiara architettura dell’informazione (IA), impostando una pagina principale designata per ogni elemento di interesse e un chiaro sistema di navigazione che punti a queste pagine, in modo che i motori di ricerca possano dedurne la loro centralità.
  • Attirare i link in entrata e le menzioni social presentando contenuti accattivanti e aggiornamenti frequenti.

L’ottimizzazione tecnica per migliorare l’usabilità

Un altro aspetto da non trascurare riguarda l’ottimizzazione tecnica del sito per assicurare l’usabilità e l’accessibilità anche da parte di Googlebot e degli altri crawler. Secondo un’azzeccata definizione di Jakob Nielsen, Googlebot è “l’utente cieco più ricco del mondo” perché sostanzialmente può capire solo il testo in pagina e non può vedere e analizzare le immagini – nonostante le più recenti tecniche di intelligenza artificiale e riconoscimento dei modelli, il testo scritto e le meta-informazioni restano comunque il modo base per essere indicizzati.

Ne parlavano anche Martin Splitt di Google e Ada Rose Cannon di Samsung in uno degli appuntamenti di SEO mythbusting su YouTube, dedicato proprio a usabilità, metriche di performance come fattore di ranking su Google e le soluzioni più SEO friendly per gli sviluppatori.

Rendere il Web più accessibile

La chiacchierata parte da una considerazione generale: bisogna impegnarsi per rendere il Web accessibile a tutte le persone al mondo, non solo per le (poche) persone che usano i dispositivi tecnologici o i computer migliori e più recenti, ma anche per tutte quelle che continuano a usare device low-end vecchi di anni. Oggi, tuttavia, il web moderno non sembra riuscire a raggiungere questa platea, e anzi nel frattempo continua a crescere la distanza qualitativa tra smartphone nuovi e vecchi in termini di performance.

È per superare questi limiti che Google ha insistito molto sulla navigazione da dispositivi portatili, anche attraverso il mobile-first index o la velocità di caricamento della pagina da mobile come un fattore di ranking sul motore di ricerca, fino ad arrivare al già citato Page Experience Update, che per la prima volta inserisce ufficialmente alcune metriche “user-centric” come fattori di ranking.

Aiutare Googlebot garantendo l’usabilità

Splitt si sofferma poi a parlare di Googlebot, spiegando che non interagisce molto a lungo con la pagina, quindi non è capace di determinare se lo scroll è comodo o altri aspetti del genere, perché si concentra sul rendering e, al massimo, può capire quando la pagina diventa sensibile agli input e quando il contenuto è pronto per il consumo degli utenti, valutando quindi le performance di questi parametri.

In tal senso, però, il developer advocate del Google Search Relations Team vuole anche smentire le affermazioni generiche (blanket statements) del tipo “Javascript ucciderà la tua SEO” oppure “Non usare React o Angular”, che non necessariamente hanno un fondo di verità e spesso possono essere una “risposta confortante, ma non la miglior risposta”. Secondo Splitt, e com’è possibile vedere anche empiricamente, “i siti in Javascript possono posizionarsi su Google” e va sfatato il mito secondo cui, a causa della difficoltà di scansione da parte di Googlebot, i siti che usano JS rischiano di essere penalizzati nel posizionamento: nella realtà, il problema riguarda solo la fase di indicizzazione delle risorse e, più ampiamente, l’usabilità.

Detto in altri termini, i siti in Javascript potrebbero avere difficoltà in termini di usabilità, perché una pagina che impiega tempo a caricarsi non fornisce un buon livello di user experience e non risponde alle esigenze della filosofia mobile friendly: pertanto, bisogna valutare non tanto la lentezza rispetto ai crawler, quanto la velocità nel fornire agli utenti quello che cercano.

Il consiglio di Martin Splitt, dunque, è di fare affidamento su HTML e CSS più moderni e semantici anziché sul pesante JavaScript, anche perché HTML e CSS sono più resilienti di Javascript (invecchiano meglio). Nello specifico, le linee guida sono: usare polyfill,usare il progressive enhancement, usare ciò che la piattaforma Web mette a disposizione e, come consiglio finale, usare Javascript responsabilmente.

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