Helpful Content Update: Google vuole contenuti utili e di qualità
Alla fine non è stato quasi per nulla paragonabile all’impatto di Panda, Penguin o degli altri memorabili algoritmi che hanno provocato terremoti sulla SEO (o almeno sul modo in cui i professionisti hanno dovuto ripensare alcune delle loro strategie SEO), nonostante premesse sono roboanti, ma resta comunque un elemento rilevante di cui tener conto nella nostra content strategy. Da fine agosto è attivo Helpful Content Update, nuovo grande aggiornamento dell’algoritmo di ranking di Google Search che si incentra sull’utilità dei contenuti per gli esseri umani e le persone, promettendo di far emergere nelle SERP solo le pagine utili, appunto, retrocedendo e togliendo visibilità ai contenuti apertamente non utili. Per ora, questo update riguarda solo il sistema di Ricerca (non colpisce quindi Google Discover o altre piattaforme Google) ed è disponibile solo per la lingua inglese, ma è probabile che sarà esteso ad altri servizi di Big G e alle altre lingue.
Google Helpful Content Update, che cos’è e come funziona
In sintesi, Helpful Content Update, tradotto in italiano come aggiornamento dei contenuti utili, è una modifica algoritmica con cui Google mira a eliminare i contenuti scritti al solo scopo di classificarsi nei motori di ricerca e che non aiutano o informano le persone.
Più precisamente, nel presentare l’aggiornamento Danny Sullivan ha scritto che l’obiettivo è “contrastare i contenuti che sembrano essere stati creati principalmente per un buon posizionamento nei motori di ricerca piuttosto che per aiutare o informare le persone”, e “garantire che i contenuti non originali e di bassa qualità non abbiano un posizionamento elevato nella Ricerca”. Inoltre, il Public Liaison for Search aggiunge che i primi test interni di Google “hanno rilevato che migliorerà in particolare i risultati relativi all’istruzione online, nonché i contenuti artistici e di intrattenimento, shopping e tecnologia” (non perché i test si siano concentrati su queste aree, ma perché questi topic potrebbero avere quantità maggiori di contenuti target per l’update).
Dal punto di vista tecnico, per identificare i contenuti utili e quelli invece non utili, progettati solo per posizionarsi bene nella Ricerca e non per fornire benefici agli utenti, Google utilizza l’apprendimento automatico; nel post si spiega che “i sistemi [di Google] identificano automaticamente i contenuti che sembrano avere scarso valore, basso valore aggiunto o comunque non sono particolarmente utili per chi effettua ricerche”. Per determinare il ranking di una pagina sarà aggregata una varietà di segnali sulla pagina e sul sito, anche se (ovviamente) non sono state fornite indicazioni più specifiche.
Ad ogni modo, il processo è automatizzato utilizzando un modello di apprendimento automatico, che quindi permette all’helpful content di apprendere, migliorare e cambiare continuamente. Da questo punto di vista, è importante soffermarsi sulle parole scelte da Google per definire il suo intervento: helpful content update è un “segnale di ranking a livello di sito che è sempre attivo”, applicato quindi all’intero sito (e non a singole pagine) e continuamente in esecuzione – a differenza quindi di broad core update o di modifiche come il product reviews update, che richiedono un aggiornamento periodico. Inoltre, i suoi effetti non producono una azione manuale né una penalizzazione antispam, anche se per chi ne è colpito il risultato è simile a quello di una sanzione, e al momento non è possibile prevedere l’impatto dell’intervento in termini di percentuale di query o ricerche che potrebbe esserne influenzata, anche se fonti del motore di ricerca parlano già di impatto “significativo”.
Altra informazione interessante, Google ha confermato a Barry Schwartz che questi algoritmi sono stati convalidati con i quality raters e che l’utilizzo di questo sistema migliora la qualità della ricerca, proprio come Google convalida qualsiasi tipo di miglioramento del ranking prima del lancio.
A cosa serve questo update
In parole povere, il nuovo segnale di ranking a livello di sito prende di mira i contenuti search-engine first, cioè creati prima di tutto per accontentare i motori di ricerca e guadagnare posizioni di visibilità in SERP, che si rivelano poco utili per gli utenti, a cui non forniscono nessun supporto concreto in termini informativi o di raggiungimento dell’intento della ricerca.
L’obiettivo di Google è far emergere, al contrario, i contenuti people-first, quelli che sono realizzati pensando alle necessità delle persone e che assicurano un’esperienza di ricerca completa e soddisfacente.
Il post di Google afferma espressamente che con helpful content update si traccia una strada per “premiare i contenuti in cui i visitatori sentono di aver avuto un’esperienza soddisfacente, mentre i contenuti che non soddisfano le aspettative di un visitatore non funzioneranno altrettanto bene”. Tra gli esempi di “contenuti inutili” si citano pagine che aggregano semplicemente informazioni da altre fonti senza fornire alcun valore o spunti di riflessione univoci, e più o meno tra le righe anche a contenuti AI-generated, perché tra le bad practices sono menzionate anche pagine che “non sembrano siano state create per, o addirittura da, una persona”.
Come scrive Sullivan, “le persone non trovano utile un contenuto che sembra esser stato progettato per attirare clic anziché informare i lettori”: ad esempio, se cerchiamo informazioni su un nuovo film, è frustrante imbattersi in “articoli che aggregavano recensioni da altri siti senza aggiungere prospettive oltre a quelle disponibili altrove”, perché non offrono qualcosa di particolarmente utile o nuovo. Con questo aggiornamento, invece, vedremo più risultati con “informazioni uniche e autentiche“, seguendo la mission di Google di “ridurre i contenuti di bassa qualità e facilitare la ricerca di contenuti autentici e utili nella Ricerca”.
In termini pratici, essendo un segnale a livello di sito e ponderato (e pertanto, siti con molti contenuti inutili potrebbero notare un effetto più forte), quando l’algoritmo di apprendimento automatico determina che una quantità relativamente elevata dei contenuti pubblicati è insoddisfacente o non utile, l’intero sito potrebbe essere contrassegnato da questo classificatore, provocando effetti negativi al posizionamento di tutte le pagine, anche se “alcuni contenuti people-first su siti classificati come con contenuti non utili potrebbero comunque classificarsi bene, se ci sono altri segnali che identificano quei contenuti people-first come utili e pertinenti per una query”.
Helpful content update, le informazioni tecniche in breve
Come accennato, il rollout dell’update è partito il 25 agosto ed è terminato il 9 settembre, limitato attualmente solo alle ricerche in inglese a livello globale, ma è facile immaginare un’espansione nei prossimi mesi.
L’aggiornamento introduce un nuovo segnale a livello di sito che Google considera tra molti altri segnali per il posizionamento delle pagine web, che permette al motore di ricerca di identificare automaticamente i contenuti che sembrano avere scarso valore, basso valore aggiunto o comunque non sono particolarmente utili per chi effettua ricerche.
Il modello che applica questo segnale ai siti è in esecuzione continuamente e consente al sistema di “monitorare i siti appena lanciati e quelli esistenti“, spiega Google.
Il post sottolinea anche un aspetto cruciale: da ora in poi, “qualsiasi contenuto” (e non solo quindi i contenuti non-utili) presente su siti che, secondo i criteri di Google, dimostrano avere quantità relativamente elevate di contenuti non utili in generale ha meno probabilità di funzionare bene in Ricerca, “supponendo che ci siano altri contenuti altrove sul Web che è meglio far emergere”. In pratica, questo segnale di ranking a livello di sito può influire sui ranking dell’intero sito, inclusi quelli di contenuti di qualità superiore.
Per questo motivo, consigliano da Google, la rimozione di contenuti non utili potrebbe aiutare il posizionamento degli altri contenuti del sito.
I siti colpiti da questo update – e da questo segnale – possono infatti recuperare le posizioni e la visibilità perse, partendo proprio dalla rimozione (o dal noindexing) dei “contenuti inutili”, anche se bisogna preventivare un’attesa di vari mesi prima che ci siano effetti positivi dopo le correzioni. Anche se, infatti, Google aggiorna costantemente i punteggi relativi all’utilità, c’è comunque una sorta di “periodo di timeout” e un periodo di convalida che bisogna attendere per recuperare (se abbiamo effettivamente rimosso abbastanza contenuti inutili).
Perché Google ha lanciato l’aggiornamento sui contenuti utili?
Ma a cosa si deve questa accelerazione di Google contro i contenuti sovra-ottimizzati o poco utili per le persone? Ovviamente non c’è certezza, ma molti osservatori hanno collegato la volontà di premiare contenuti “che offrono prospettive più originali e non disponibili altrove sul Web” al tentativo di Mountain View di aumentare l’autenticità dei risultati di ricerca che propone ed evitare una serie di SERP che ripropongono banalmente la stessa cosa, lo stesso punto di vista e le stesse informazioni, portando a un’esperienza di ricerca scadente.
Una situazione, questa, che sembra essere sempre più frequente su Google, che da mesi è al centro di polemiche e critiche per un peggioramento complessivo dell’esperienza fornita agli utenti, come ben sintetizzato anche da un articolo intitolato «Google search is dying» («Il motore di ricerca di Google sta morendo»), pubblicato su un blog dal ventiseienne ingegnere statunitense Dmitri Brereton, che aveva generato una grande eco sui media specializzati.
Analizzando i trend di ricerca, Brereton aveva scritto che Google, pur restando il motore di ricerca più utilizzato al mondo, abbia perso nel tempo la capacità di proporre agli utenti contenuti utili all’interno di un’offerta sempre più affollata di contenuti sponsorizzati e contenuti sostanzialmente uguali tra loro. E non è un caso che, anche in questi giorni, si parli sempre più di come i giovani utilizzano altri strumenti per fare ricerche e cercare informazioni online, a cominciare da TikTok, Instagram e da altre piattaforme social – ad esempio, la GenZ (18-24 anni) non usa Google search o Maps per cercare un luogo per il pranzo , ma utilizza appunto TikTok e Instagram.
Helpful content update: come capire se i contenuti sono utili?
A questo punto, è fondamentale capire che cosa si intenda (e cosa intenda Google) per utilità dei contenuti.
Una prima definizione è quella che abbiamo già presentato: i contenuti utili sono quelli creati pensando alle persone piuttosto che ai motori di ricerca. In termini pratici, per determinare davvero se un contenuto è veramente “people-first” e non “search engine-first” dobbiamo chiederci se lo avremmo creato ugualmente se i motori di ricerca non esistessero o se questa risorsa aiuta davvero lettori o clienti a prescindere da Google.
È sempre l’articolo di Google che individua poi una serie di riflessioni e best practices che ci aiutano a determinare se il nostro contenuto è utile e “incentrato sulle persone”, ovvero scritto concentrandosi innanzitutto sulla soddisfazione dell’interesse e dell’intento dell’utente, utilizzando anche le migliori pratiche SEO per apportare valore aggiunto al lettore. Uno schema che abbiamo già visto, perché ricalca le ormai celeberrime 23 domande per valutare la qualità dei contenuti, e anzi alcuni concetti sono presenti nell’autovalutazione dell’utilità, come vedremo.
Il primo focus è sulle cinque domande da tener presente al momento della valutazione di un contenuto, la cui risposta positiva individua un buon approccio people-first:
- Hai un pubblico esistente o previsto per la tua attività o sito che troverebbe utili i tuoi contenuti se arrivasse direttamente a te (senza passare da Google)?
- I tuoi contenuti dimostrano chiaramente competenze di prima mano e una profonda conoscenza (ad esempio, competenze che derivano dall’aver effettivamente utilizzato un prodotto o servizio o dalla visita di un luogo)?
- Il tuo sito ha uno scopo o un focus primario?
- Dopo aver letto i tuoi contenuti, una persona sentirà di aver imparato abbastanza su un argomento per raggiungere il proprio obiettivo?
- Qualcuno che legge i tuoi contenuti sentirà di aver avuto un’esperienza soddisfacente?
Google individua poi altre domande che invece sono indizio di un approccio search engine-first, e che quindi possono offrire un segnale di avvertimento a rivalutare il modo in cui stiamo creando contenuti sul sito. È comunque importante notare che Google chiarisce che questi consigli “non invalidano le best practices SEO, perché la SEO è un’attività utile quando viene applicata ai contenuti incentrati sulle persone”, ma i contenuti creati principalmente per il traffico dei motori di ricerca sono fortemente correlati ai contenuti che i ricercatori trovano insoddisfacenti.
E quindi, per evitare di adottare un approccio basato sui motori di ricerca dobbiamo rispondere negativamente a tutte (o a gran parte di) queste domande:
- Il contenuto è creato principalmente per attirare le persone dai motori di ricerca, piuttosto che fatto per gli esseri umani?
- Stai producendo molti contenuti su argomenti diversi nella speranza che alcuni di essi possano funzionare bene nei risultati di ricerca?
- Stai utilizzando una vasta automazione per produrre contenuti su molti argomenti?
- Stai principalmente riassumendo ciò che gli altri hanno da dire senza aggiungere molto valore?
- Stai scrivendo di cose semplicemente perché sembrano di tendenza e non perché altrimenti ne scriveresti per il tuo pubblico esistente?
- I tuoi contenuti lasciano ai lettori la sensazione di dover eseguire nuovamente la ricerca per ottenere informazioni migliori da altre fonti?
- Stai scrivendo rispettando uno specifico word count perché hai sentito o letto che Google ha un conteggio di parole preferito?
- Hai deciso di entrare in un’area tematica di nicchia senza alcuna vera esperienza, ma principalmente perché pensavi di ottenere traffico di ricerca?
- I tuoi contenuti promettono di rispondere a una domanda che in realtà non ha risposta (come ad esempio suggerire che esiste una data di uscita per un prodotto, un film o un programma TV su cui mancano però informazioni precise)?
Gli effetti sulla SEO e sulla produzione dei contenuti
Il nuovo segnale HCU (helpful content update) di Google è dunque un classificatore sempre attivo che mira a ridurre la quantità di contenuti di bassa qualità nelle SERP, alimentato da un segnale di ranking a livello di sito che individua e colpisce i contenuti search engine-first.
Stando alle prime impressioni (e a ciò che traspare dalle comunicazioni ufficiali di Google) sarà probabilmente un aggiornamento significativo che potrebbe cambiare il modo in cui si lavora in ambito SEO per la creazione di contenuti, anche se ovviamente è troppo presto per dire quanto grande e significativo il suo l’impatto (e tutti abbiamo in mente l’hype intorno al Page Experience Update, che poi si è rivelato un segnale di scarso peso finora).
Di sicuro, potrebbe (e dovrebbe) colpire chi produce contenuti con lo scopo prioritario (o assoluto) di aumentare la visibilità e il traffico sui motori di ricerca, vale a dire la vecchia concezione della SEO, perché Google cercherà di promuovere e aumentare le classifiche dei contenuti che offrono prospettive più originali e non disponibili altrove sul Web, nel tentativo di aumentare l’autenticità ed evitare una serie di risultati di ricerca che ripropongono banalmente la stessa cosa, lo stesso punto di vista e le stesse informazioni, portando a un’esperienza di ricerca scadente.
Secondo l’analisi di Marie Haynes, tra i tipi di siti interessati da questo aggiornamento ci potrebbero essere:
- Siti che pubblicano contenuti generati dall’IA.
- “Siti di nicchia” (a meno che non svolgano veramente un buon lavoro dimostrando competenza e soddisfacendo pienamente le esigenze del ricercatore).
- Siti che fanno poco più che aggregare informazioni da altre fonti online.
- Siti di affiliazione pesanti (sebbene molti di questi siano già stati fortemente influenzati dall’aggiornamento sulle recensioni dei prodotti).
Inoltre, come notato da Glenn Gabe, sotto la lente finiscono anche i contenuti generati dall’intelligenza artificiale e tramite modelli di intelligenza artificiale come GPT-3 e altri (che negli ultimi tempi hanno iniziato a proliferare e, a volte, a rankare bene), perché l’obiettivo dell’update è “far emergere contenuti che saranno visti come un aiuto e un valore aggiunto agli argomenti cercati” e chi crea contenuti “search engine-first, compresi contenuti basati sull’intelligenza artificiale, potrebbero risentirne”.
HCU di Google: le nuove best practices SEO per creare contenuti utili
Allargando l’analisi, l’esperto statunitense evidenzia che HCU mira a premiare i creatori di contenuti che si concentrano molto su un argomento, hanno una profonda esperienza in un’area e che possono dimostrare competenze di prima mano e una profonda conoscenza. Il consiglio per la SEO (e per i SEO) è quindi di provare a “restare nella propria corsia”, ovvero non cercare di coprire troppi argomenti diversi se non siamo in grado di fornire informazioni approfondite per ciascuno di essi.
In questo quadro, è quindi più opportuno concentrarci su ciò in cui abbiamo veramente esperienza, modificando l’approccio strategico: Gabe invita esplicitamente a “fornire contenuti di prim’ordine e di alta qualità che possono davvero aiutare gli utenti, non seguire solo il volume di ricerca, non utilizzare l’automazione per creare molti contenuti di qualità inferiore solo per indirizzare le query con volume di ricerca, non riassumere solo ciò che gli altri stanno dicendo, non aumentare artificialmente il conteggio delle parole pensando che Google cerchi di premiarlo, non promettere una risposta a una domanda che non ha risposta”.
Inoltre, come già evidente anche con altri update recenti, anche l’helpful content update mette al centro dei discorsi SEO il ruolo di EAT, in particolare per quanto riguarda l’incorporazione di competenze reali nelle nostre content strategy.
Anche Lily Ray fornisce alcuni spunti interessanti per un nuovo approccio SEO alla creazione di contenuti, e nello specifico consiglia di:
- Realizzare un’analisi obiettiva dei nostri contenuti per valutarne la qualità e la misura in cui soddisfano le aspettative degli utenti, coinvolgendo eventualmente terze parti oggettive per condurre test sugli utenti come mezzo per valutare la qualità dei contenuti.
- Eliminare o aggiornare in modo significativo i contenuti che potrebbero essere considerati “SEO-first” e che non sono utili per gli utenti.
- Se c’è una quantità significativa di tali contenuti inutili sul nostro sito, che non forniscono alcun valore (traffico, conversioni, qualsiasi altro KPI focus), potrebbe essere il caso di considerare l’eliminazione, la non indicizzazione o il consolidamento in un’altra posizione pertinente sul sito.
- Coinvolgere veri esperti nella content strategy, attraverso contributi diretti all’articolo, interviste o ricevendo citazioni da esperti, per aiutare a dimostrare l’autenticità delle informazioni.
- Non fare affidamento sugli strumenti di keyword research e sul reverse engineering di ciò che tutti gli altri hanno già scritto come content strategy. Google sta migliorando nell’identificare quando gli articoli dicono tutti la stessa cosa e vuole prospettive uniche, che possono provenire solo da veri esseri umani con esperienza.
Contenuti utili: la direzione arriva anche da EAT e linee guida
È stata poi la stessa guida ufficiale di Google a sottolineare lo stretto rapporto tra questo Aggiornamento dei contenuti utili e gli altri documenti destinati a migliorare l’efficienza del motore di ricerca, con una modifica a metà ottobre che ha inserito un paragrafo specifico su EAT e linee guida per i valutatori della qualità.
In sintesi, Google invita a tener presenti le linee guida per i valutatori della qualità di ricerca (che, tra l’altro, sono state aggiornate appena un mesetto prima del debutto di HCU, a fine luglio 2022) perché possono aiutarci “a valutare autonomamente l’efficacia dei contenuti secondo i principi EAT e i miglioramenti da prendere in considerazione, nonché ad allineare concettualmente i contenuti ai diversi indicatori utilizzati dai nostri sistemi automatici per classificarli”.
Google usa infatti sistemi automatici progettati per utilizzare molti fattori diversi al fine di classificare i contenuti di qualità: dopo aver identificato i contenuti pertinenti, spiega ancora la guida, tali sistemi mirano a dare la priorità a quelli che sembrano più utili, identificando una combinazione di fattori che possono contribuire a determinare quali contenuti dimostrano competenze, autorevolezza e affidabilità, ciò che sintetizziamo con EAT.
Il documento specifica ancora che i criteri EAT non sono un fattore di ranking diretto, ma anche che gli algoritmi usano “una combinazione di fattori in grado di identificare i contenuti con un buon livello di EAT”: ad esempio, i sistemi “attribuiscono un peso maggiore ai contenuti che sono in linea con uno standard EAT elevato per argomenti che potrebbero influenzare in modo significativo la salute, la stabilità finanziaria o la sicurezza delle persone oppure il benessere della società”, vale a dire i topic YMYL.
Non meno rilevante è il lavoro dei quality raters, anche loro citati nella guida (che ribadisce anche come non abbiano alcun controllo sul ranking delle pagine), che offrono al motore di ricerca utili feedback per capire se i sistemi funzionano, fornendo informazioni sulle prestazioni degli algoritmi, se le modifiche apportare sono efficaci e se i contenuti hanno un livello elevato di EAT.
Google e la SEO: il motore di ricerca punisce le ottimizzazioni?
La minaccia di limitare la visibilità a contenuti search-engine first ha portato molti analisti a interrogarsi sul fine ultimo di Google con questo update, e in particolare su quella che sembra una lotta alla SEO, e anche per questo nel citato aggiornamento della guida c’è stata l’introduzione di un paragrafo che chiarisce il rapporto tra Google e la SEO.
Secondo Mountain View, “ci sono alcune cose che potresti fare specificatamente per aiutare i motori di ricerca a scoprire e comprendere meglio i tuoi contenuti”, lavorando al complesso di strategie che si basano su un “approccio che viene chiamato ottimizzazione per i motori di ricerca o SEO“, che – nell’ottica di Google, “può essere un’attività utile quando viene applicata ai contenuti pensati per le persone, anziché a quelli per i motori di ricerca”.
Insomma: Google riconosce l’utilità della SEO nell’ottica in cui non trascura gli utenti e finalizza le ottimizzazioni al miglioramento della loro esperienza col sito, prima che alla massimizzazione dei rendimenti delle visite ottenute attraverso i posizionamenti sui motori di ricerca.
Helpful content update: come possono recuperare i siti colpiti
Abbiamo già fatto breve riferimento ai possibili interventi correttivi per cercare di recuperare le posizioni perse se il nostro sito è stato colpito dall’helpful content update, ma possiamo approfondire le considerazioni grazie ad alcuni spunti di Marie Haynes (e interpretando ciò che ha detto Google nei suoi due articoli sull’argomento).
Innanzitutto, ribadiamo che un sito può effettivamente recuperare traffico, ranking e visibilità persi a causa del nuovo segnale se interviene correggendo (o eliminando) i contenuti inutili e “search engine-first”, ma che il processo di rivalutazione di Google richiede tempo e potrebbe richiedere anche diversi mesi di attesa.
L’azione correttiva potrebbe focalizzarsi sui seguenti passaggi:
- Identificare quale contenuto viene creato principalmente per il ranking ed elaborare una strategia che preveda il noindexing, la rimozione o il miglioramento di questo contenuto.
- Garantire che l’esperienza di prima mano sul topic sia dimostrata sul sito e trovare modi per convincere gli altri nel settore a riconoscere la nostra esperienza e conoscenza su tali argomenti.
- Rinnovare i contenuti e migliorare EAT in base alle best practices e linee guida ufficiali di Google per i proprietari di siti (ad esempio sui core update, recensioni dei prodotti e o contenuti di affiliazione), rispettando in particolare le indicazioni a:
- dimostrare meglio esperienza di prima mano;
- fare di più per farsi conoscere dagli altri come esperti (es. buon content marketing e PR);
- trovare modi per rendere il contenuto il più prezioso possibile per gli utenti;
- concentrarsi sulla comprensione di ciò che il ricercatore intende fare e trovare e fornire contenuti che soddisfino tale esigenza.
- Chiarire qual è lo scopo o il focus di ogni pagina (e garantire che questo focus sia prima di tutto inteso ad aiutare le persone).
- Confrontare il tipo di contenuto che Google sta classificando dai concorrenti per avere ispirazione.