Guida al Google Knowledge panel, scheda informativa sulle entità

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Si chiama Knowledge panel, in italiano tradotto in scheda informativa, ed è il riquadro che compare nella SERP quando su Google cerchiamo delle entità quali persone, luoghi, organizzazioni o cose, e presenta informazioni sulla biografia o sulla storia, foto, vari link e altri dati. Scopriamo come funziona questa feature, come possiamo provare a ottenerla e perché è importante controllarla e curarla per gestire al meglio la presenza del proprio brand online.

Che cos’è il knowledge panel di Google

La scheda informativa è il pannello mostrato da Google per query legate a entità di vario tipo (che sappiamo essere persone, luoghi, organizzazioni, cose o concetti astratti) presenti nel Knowledge Graph, ovvero il motore nascosto che collega tutti i tipi di dati che Google trova sul Web, definito da Danny Sullivan “una gigantesca enciclopedia virtuale di fatti” che in qualche modo raccoglie e collega tutti i tipi di dati che Google trova online.

Le schede sono delle piccole finestre progettate per dare agli utenti un’istantanea rapida delle informazioni su un argomento in base ai contenuti disponibili sul Web individuati da Google; facendo emergere fatti chiave, la persona che ha eseguito la query può capire rapidamente di più su quel determinato tema ed esplorarlo eventualmente in modo più approfondito.

Esempio del knowledge panel per la query Google

 

Il layout e le informazioni nel Knowledge Panel

All’interno dei pannelli, i sistemi di Google cercano di mostrare le informazioni più pertinenti e popolari per un argomento: poiché nessun tema è identico, ciò che viene mostrato in un knowledge panel varia, ma in genere sono inclusi:

  • Titolo e breve sintesi dell’argomento.
  • Una descrizione più lunga del soggetto.
  • Un’immagine o più immagini della persona, del luogo o della cosa.
  • Fatti chiave (ad esempio, quando è nata una figura notevole o dove si trova qualcosa).
  • Collegamenti a profili social e siti Web ufficiali.

Possono inoltre includere anche informazioni speciali relative a argomenti specifici, come canzoni di artisti musicali, prossimi episodi di programmi TV e rose di squadre sportive.

L’evoluzione del sistema

Anche la posizione delle finestre non è fissa all’interno delle SERP di Google: per le ricerche da desktop, il knowledge panel compare tradizionalmente sulla destra; per le ricerche da dispositivo mobile, invece, appare generalmente in posizione predominante e anticipa i classici link blu dei risultati organici.

“Quando abbiamo lanciato i pannelli di conoscenza per la prima volta, la maggior parte delle attività di ricerca è avvenuta su desktop, dove c’era spazio per mostrare facilmente i pannelli di conoscenza accanto ai risultati della ricerca”, spiega il Public Liaison for Search di Google. Oggi, però, la maggior parte dell’attività di ricerca “si svolge su dispositivi mobili, dove le dimensioni dello schermo non consentono un display affiancato”.

Per questo, le informazioni dal Knowledge Graph da mobile spesso non vengono presentate attraverso un singolo pannello di conoscenza, ma possono essere spezzettate in schede diverse intervallate tra i risultati complessivi.

A cosa servono le schede informative

Per gli utenti, il knowledge panel è una prima e immediata fonte di informazioni, perché permettono di visualizzare un’istantanea rapida di quello che c’è da sapere sull’argomento che interessa attraverso i contenuti disponibili sul Web e individuati da Google.

Per le entità – e in particolare per chi ha/gestisce un’attività online o locale, un’azienda o semplicemente fa personal branding, comparire in questo box ha un importante valore in termini di visibilità ed è fondamentale verificare che le informazioni siano corrette, intervenendo per modificare ciò che viene mostrato o anche per influenzare ciò che Google mette in evidenza.

Come sono gestite le informazioni nel Google Knowledge Panel

Una pagina delle guide di Google ci spiega che queste schede sono “sono generate automaticamente” con informazioni recepite da varie fonti sul Web. In alcuni casi, Google potrebbe “collaborare con partner che forniscono dati autorevoli su argomenti specifici come film o musica e combinare tali dati con le informazioni provenienti da altre fonti aperte sul Web”.

In altri, invece, sono le stesse entità a fornire feedback diretto in vari modi e si citano ad esempio “personalità di spicco o i creatori di un programma televisivo”, che sono “autorevoli di per sé”. Quindi, “, alcune delle informazioni visualizzate potrebbero anche provenire da entità verificate che hanno suggerito modifiche ai fatti nelle proprie schede informative”.

Allo stesso modo, le immagini “che compaiono nelle schede informative possono provenire da diverse fonti”, a cominciare dagli “individui che hanno rivendicato le proprie schede informative e selezionato un’immagine in primo piano dalle immagini disponibili sul Web”. In altri casi, le foto “sono un’anteprima dei risultati di Google Immagini relativi all’entità e vengono acquisite automaticamente da tutto il Web”.

Dati aggiornati costantemente

Le schede informative sono aggiornate in maniera costante e automatica con l’evoluzione delle relative informazioni sul Web, ma Google “prende anche in considerazione le modifiche in due modi principali: direttamente dalle entità rappresentate e dal feedback generale degli utenti” (che possono interagire cliccando sul pulsante che compare nell’angolo in basso a destra del box).

“I sistemi non sono perfetti, come ogni altra cosa”, scrive Sullivan, e questo spiega perché Google accetta “anche segnalazioni da parte di chiunque in merito a problemi”, per superare le eventuali imprecisioni che possono comparire nel grafico della conoscenza o nei pannelli.

I feedback sono poi analizzati “per capire come eventuali inesattezze hanno superato i nostri sistemi, in modo da poter apportare miglioramenti in generale attraverso il Knowledge Graph in generale”. Google è attento anche a rimuovere “fatti imprecisi che vengono alla nostra attenzione per violazione delle nostre policy, dando la priorità in particolare ai problemi relativi ad argomenti di interesse pubblico come problemi civili, medici, scientifici e storici o in cui esiste il rischio di danni gravi e immediati”.

Non confondere knowledge panel e scheda Profilo dell’Attività

C’è un particolare a cui prestare attenzione: non dobbiamo infatti confondere la scheda informativa con i profili delle attività, ovvero il box generato per le imprese che utilizzano il fu Google My Business, anche se sono molto simili dal punto di vista visivo: questo secondo riquadro è infatti specifico “per le attività che offrono servizi ai clienti in una determinata località o all’interno di una specifica area coperta dal servizio” e offre informazioni diverse e inserite direttamente dalla stessa azienda (e non quindi “raccolte” online da Google).

Il valore SEO del knowledge panel: una fonte di visibilità organica

Il knowledge panel è una incredibile fonte di visibilità nella Ricerca Google ed è una delle feature che attrae maggiormente gli sguardi degli utenti, come ha rivelato anche lo studio sulle nuove abitudini online e sulla creazione del cosiddetto pinball pattern. Per questo, è fondamentale offrire al pubblico “le informazioni più precise, autorevoli e interessanti” sul nostro brand, suggerendo “modifiche a ciò che viene mostrato nella Ricerca, tra cui immagini, statistiche o altri dati”.

La scheda informativa ha un valore molto rilevante per la visibilità organica di un brand (aziendale o personale), perché in pratica consente di dominare la SERP per le query specifiche, fornendo uno speciale “biglietto da visita” professionale che può convincere gli utenti a cliccare sul sito o a informarsi ulteriormente, rafforzando brand awareness e la reputazione generale.

L’obiettivo del knowledge panel è fornire una risposta affidabile su un brand, proveniente da una fonte più autorevole, oltre che dare informazioni ulteriori; spesso è anche una feature commerciale, che può consentire di monetizzare sui propri prodotti. Ad esempio, alcune schede rimandano a libri venduti online, su Amazon o altri portali.

Come verificare l’entità e rivendicare una scheda

Chiaramente, questo impone di controllare con cura le informazioni riportate, rivendicando la proprietà di una scheda e suggerendo modifiche.

Il primo passaggio è la verifica dell’entità (non solo persone, ma anche luoghi o cose) che è oggetto della scheda: bisogna attivare un account Google e individuare il panel che ci interessa rivendicare, cliccando sul pulsante “Rivendica scheda informativa”. Compariranno informazioni sulle funzionalità e dovremo Accedere a uno dei siti o profili ufficiali elencati (ad esempio YouTube, Search Console, Twitter o Facebook), per garantire a Google che siamo effettivamente un rappresentante autorizzato dell’entità stessa.

Completato questo processo, possiamo gestire l’entità, suggerire modifiche per la scheda informativa e consentire “anche ad alcuni utenti di partecipare ai Post su Google”.

Come far comparire un brand nel Google Knowledge Panel

Chiariamo subito che non è prevista la possibilità di richiedere un knowledge panel branded o personale: è Google a decidere se l’entità collegata a noi o al nostro marchio sia degna di questa scheda, ovvero se abbia sufficiente autorevolezza e fama, riconosciuta e supportata anche da varie fonti e sistemi, a cominciare da una pagina su Wikipedia.

Ovviamente, non c’è e non c’è mai stata una correlazione diretta tra una voce su Wikipedia e la presenza di Knowledge Graph: ci sono schede di brand che non sono su Wikipedia e pagine di brand sull’enciclopedia che non sono nei panel di Google.

Per un certo periodo, comunque, la presenza di una voce sulla nota enciclopedia online sembrava essere una sorta di requisito base per attivare una scheda informativa, ma Jason Barnard su searchengineland ha raccontato della sua strategia per ottenere un knowledge panel per un brand anche senza una pagina di Wikipedia.

Non solo Wikipedia

L’autore individua tre passaggi da seguire per accedere al Knowledge Graph per il proprio brand anche senza un articolo di Wikipedia:

  1. Usare il sito come fonte di informazioni, curando la pagina “chi siamo” per indicare chiaramente “chi sei e cosa fai”.
  2. Aggiungere i markup Schema.org, rendendoli “il più dettagliati possibile e citando le fonti che li confermano”.
  3. Ottenere “una copertura significativa da più fonti secondarie indipendenti, affidabili”, ovvero “conferme sul brand su più siti di terze parti affidabili, autorevoli e indipendenti”.

Proprio il terzo punto è quello più ostico per la maggior parte dei brand, ed è quello su cui si concentra l’articolo.

Le fonti attendibili per Google

Il segreto è capire quali siano le fonti attendibili secondo Google: se Wikipedia è certamente una delle componenti valutate per stabilire l’autorevolezza di un brand/entità, ci sono tantissimi altri fattori che concorrono al sistema (e che compongono il Knowledge Graph).

Dalle analisi di Barnard su quasi 20mila brand emerge che nel 45 per cento dei casi si attiva un Knowledge Panel: più della metà di questi (il 55 per cento) cita come fonte Wikipedia (solo un anno fa, uno studio analogo aveva fissato al 79 per cento la quota di citazioni dell’enciclopedia), nel 32 per cento non c’è menzione e nel 12 per cento indica altri siti.

Quindi, Wikipedia non è la sola fonte attendibile e sta “perdendo peso” perché Google usa altri siti – per la precisione, 237 altre possibili fonti. Ma quali sono?

Elenco delle fonti usate da Google per i knowledge panel

Gli altri siti considerati da Google

Come si vede dall’immagine, ci sono 21 fonti citate più di una volta nei knowledge panel di Google; dopo Wikipedia, i più usati sono Crunchbase, LinkedIn e Bloomberg, e poi c’è un crollo di menzioni, segno che Google non ha completamente allentato la presa sull’affidabilità.

Tuttavia, questi dati indicano che una grande percentuale di marchi è entrata nel Knowledge Graph di Google accumulando informazioni su più fonti autorevoli che non sono Wikipedia, perché la “conoscenza” di Google è ottenuta da più parti e il peso della citazione dipende da vari fattori.

In particolare, consiglia l’autore, bisogna prestare attenzione al brand, al settore di attività e al contesto della ricerca (a quanto pare, anche la geolocalizzazione svolge un ruolo importante).

I consigli pratici per attivare un Knowledge Panel

E quindi, Barnard offre anche delle indicazioni pratiche per cercare di forzare la mano e inserire il nostro brand tra le schede informative di Google; il primo passaggio è creare delle pagine profilo sui tre siti più autorevoli dopo Wikipedia, e quindi Crunchbase, LinkedIn e Bloomberg, e poi cercare di confermare o rafforzare le informazioni su altre fonti attendibili e pertinenti (ne dovrebbero servire almeno una trentina, secondo la sua teoria).

In particolare, per fornire una panoramica di massima e non esaustiva, l’autore cita (per le ricerche USA) siti generalisti di notizie come Reuters.com, inc.com, Globenewswire.com, PRnewswire.com, businesswire.com; siti di informazione specializzati come TechCrunch, Geekwire.com o Marketwatch.com; siti di nicchia come elearningindustry.com, biospace.com, allthingsdogs.com; siti geo-specifici come irishtimes.com, oecm.ca, ft.com, marketindex.com.au.

Le indicazioni finali

Questo processo, in realtà, ricalca quello necessario a confermare l’autorevolezza anche su Wikipedia, ma Barnard sottolinea i vantaggi di concentrarsi sul Knowledge Panel anziché sull’enciclopedia online:

  • È più facile dimostrare a Google che il nostro marchio è notevole, perché “la barriera è inferiore a quella di Wikipedia”.
  • Stiamo “costruendo un caso e presentandolo a una macchina imparziale piuttosto che a redattori umani di Wikipedia”.
  • Abbiamo un elenco di fonti da utilizzare “come ispirazione per trovare i luoghi di cui Google si fida”.

Dobbiamo solo “piazzare una serie di conferme attendibili per innescare il tuo posto nel knowledge graph”, ricordando che non tutte le fonti sono citate e che un sito può essere una fonte valida per un brand ma non per un altro (differenze di settore di attività o altri fattori).

Google è un bambino: come educarlo per attivare un knowledge panel

Jason Barnard è tornato a concentrarsi sul tema con un secondo approfondimento su Search Engine Journal in cui rivela che esiste una possibilità per forzare (legalmente) l’attivazione di un Google Knowledge Panel per noi stessi, un cliente o qualsiasi altra persona, seguendo un percorso in tre step che serve a presentare quella entità a Google. Come disclaimer, l’autore dice che “al momento della stesura dell’articolo (e quindi, a giugno 2021)” questo processo funziona quasi sempre, ma anche che “l’ottimizzazione delle entità è piena di sottigliezze, avvertimenti e carichi di dipende“, per cui la certezza piena non è mai raggiungibile.

Come detto, la finestrella nella SERP permette all’utente di leggere delle informazioni sintetiche sul tema che sta ricercando, così da conoscere e inquadrare immediatamente entità quali personalità, aziende, libri, serie TV, canzoni, podcast, città, luoghi, monumenti e persino personaggi di fantasia ed, eventualmente, essere spinto a esplorare l’argomento in modo più approfondito.

Per una persona con qualsiasi tipo di profilo pubblico, capire come ottenere e popolare questa scheda informativa è essenziale per garantire che le informazioni contenute siano corrette e complete, e c’è un metodo per “convincere” Google ad attivare un pannello personale per noi stessi o i clienti.

Google e le persone, i problemi di ambiguità

Ufficialmente, come detto, Google spiega che le schede informative “sono generate automaticamente” e contengono “informazioni che provengono da varie fonti sul Web”; a volte, il motore di ricerca può “collaborare con partner che forniscono dati autorevoli su argomenti specifici come film o musica e combinare tali dati con le informazioni provenienti da altre fonti aperte sul Web”.

L’ambiguità però è un grande problema per Google (e, in generale, per le macchine), e le persone sono un fronte piuttosto complesso da districare perché “potrebbero esserci centinaia o addirittura migliaia di persone che condividono lo stesso nome e cognome”, com’è facile verificare cercando su LinkedIn o Facebook un nome e scoprendo tutte le omonimie.

Ciò significa che la confusione e gli equivoci sono normali e possono essere anche difficili da risolvere, perché non è semplice identificare il search intent immediatamente: “dopotutto, quale Jason Barnard intendono?”, scrive l’autore.

Pertanto, è necessario prima di tutto investire del tempo per essere chiari, coerenti e attenti affinché il processo funzioni, per far comprendere a Google a quale entità e quale dei vari omonimi facciamo riferimento.

Istruire Google come fosse un bambino

Barnard utilizza una valida analogia per definire il lavoro che serve per raggiungere l’obiettivo di attivare un knowledge panel personale: dobbiamo pensare a Google come a un bambino e cercare di educarlo e istruirlo.

In base alla sua esperienza, infatti, gli algoritmi del Knowledge Graph che guidano i riquadri della conoscenza su Google sono molto simili a un bambino: “entrambi vogliono imparare, sono spugne, assetate di conoscenza, ed entrambi apprendono più o meno allo stesso modo”.

Come un bambino, Google ha bisogno di:

  • Informazioni dalla fonte più autorevole (logicamente dovrebbe essere la persona stessa).
  • Una chiara spiegazione
  • Conferma da fonti attendibili.
  • Un messaggio coerente da tutte le fonti.
  • Comunicazione in un linguaggio facilmente digeribile e comprensibile.
  • Tempo.

In questo percorso, noi siamo gli insegnanti e possiamo prendere l’iniziativa, definendo i fatti e guidando il processo; per educare in modo efficace, dobbiamo essere “decisi, coerenti, perseveranti e pazienti”.

Il processo a 3 fasi per ottenere un knowledge panel per una persona

Il primo step per riuscire a ottenere una scheda informativa su Google è forse il più delicato, perché si incentra sulla costruzione di una entity home da far identificare al motore di ricerca.

Secondo Barnard, la entity home è “la fonte autorevole che Google utilizzerà come punto di riferimento per la persona”: come dicevamo prima, la fonte più autorevole di informazioni su una persona è (dovrebbe essere) quella persona stessa, e Google cerca attivamente le informazioni di prima mano.

L’articolo suggerisce anche alcuni esempi di possibili Entity Home, in ordine di scelta dalla migliore alla peggiore:

  1. La pagina chi sono / about me sul sito personale della persona in questione.
  2. La home page sul sito personale della persona.
  3. La pagina chi siamo / about sul sito Web dell’azienda della persona.
  4. Un profilo social (LinkedIn o Twitter sono quelli che finora si sono dimostrati più efficace).

Barnard riporta di aver attivato pannelli informativi per molte persone: la strada che si è rivelata migliore è quella di “scegliere un dominio di proprietà e una pagina dedicata al 100% all’entità”, che ha sempre ridotto al minimo il tempo, lo sforzo e il fastidio per raggiungere l’obiettivo, anche se un profilo social può “essere un’opzione” (confermata da John Mueller) e un sito Web aziendale “è una possibilità”.

C’è poi una considerazione importante da tenere a mente: questa decisione è a lungo termine, perché quando Google ha accettato una entity home, fargli cambiare idea “si è rivelato eccezionalmente difficile”. Non è impossibile, ma sicuramente “richiede tempo, è lento, costoso e noioso”.

Creare una entity home efficace

L’esperto offre anche dei consigli pratici per realizzare una home efficace per l’entità, con indicazione delle informazioni basilari da inserire – che saranno quelle che servono a Google per conoscere la persona / entità, riportate alla fine nel knowledge panel.

Ciò che è basilare è puntare alla chiarezza, senza tentare di spiegare tutto in una sola pagina, ma provando a descrivere “chi sei in una lingua che capisce”. In particolare, non devono mancare informazioni su:

  • Chi sono io (o la persona per cui lavoriamo).
  • Cosa faccio
  • Quali sono i miei rapporti con altre entità che Google conosce (datori di lavoro, famiglia, istituti scolastici, premi, ecc.).
  • Cosa ho fatto in precedenza.

A ben vedere, si tratta di una sorta di curriculum vitae in breve.

Importante è anche aggiungere il markup schema.org all’Entity Home, utile per presentare le informazioni chiave in un formato leggibile dalla macchina, ovvero la “lingua nativa” di Google. Inoltre, potrebbe servire anche a “indicare inequivocabilmente dove Google può trovare la convalida/conferma di cui ha disperatamente bisogno”, come vedremo in seguito.

La fase di convalida e conferma

Il secondo passaggio chiave è la fase di convalida e conferma: come un bambino cerca altre voci che confermino le informazioni ottenute (genitori, nonni, fratelli, insegnanti, persone locali individuate come saggi), così Google ha bisogno di trovare una corroborazione dei dati che gli forniamo, trovando “queste stesse informazioni da più fonti attendibili”.

Ciò significa che dobbiamo lavorare per assicurarci che fonti pertinenti e autorevoli confermino ciò che stiamo comunicando a Google attraverso la Entity Home e di conseguenza verificare che “ogni pagina del profilo e articolo pertinente su di te” riporti notizie giuste e aggiornate, ed eventualmente lavorare per correggerli così da essere certi “che confermino alcune o tutte le dichiarazioni fattuali riportate sull’Entity Home”.

Le fonti autorevoli per il knowledge panel

Questa revisione è facile da fare sui posti in cui abbiamo un buon controllo diretto, ad esempio i profili social personali o aziendali, ma può essere più difficile se terze parti hanno scritto della persona in modo indipendente e abbiamo quindi bisogno della loro collaborazione per la correzione.

Secondo l’articolo, “Google potrebbe aver già capito quali sono i profili ufficiali della persona, ma spesso non è sicuro in quanto ci saranno centinaia o forse migliaia di profili con lo stesso nome”, quindi è “assolutamente vitale che ci sia coerenza tra questi”, che devono puntare coerentemente alla Home dell’entità. D’altro canto, però, Google è in grado di capire anche che questa “è semplicemente una ripetizione dalla fonte stessa senza arbitrato indipendente”, quindi abbiamo bisogno di uno sforzo ulteriore.

La conferma da parte di terzi è infatti essenziale ed è molto più forte dell’autoconferma: correggere i contenuti su cui abbiamo controllo è la base, “ma convincere le parti indipendenti ad aggiungere credibilità è la chiave per unire i punti in modo tale che non si rompano”.

Ultimo step: un ciclo infinito e auto-confermante

Ragionando da essere umano, la ripetizione può diventare fastidiosa, ma per una macchina che cerca di capire il mondo “è l’unica cosa che brama”.

Il processo di riconciliazione dalla entity home

La creazione della entity home (passaggio 1) è inutile e non significa nulla se Google non ha compreso e accettato questa scelta, e sta a noi scegliere: dovremmo capire istintivamente quale pagina è l’Entity Home, e quindi puntare su questa miglior opzione e lavorare per convincere Google.

Il motore di ricerca sta cercando la pagina più autorevole nel web sulla persona, e in genere preferisce una pagina che si trovi su un sito di proprietà al 100% della persona, mentre le altre opzioni (siti che non possediamo al 100%) richiedono uno sforzo maggiore.

Come far capire a Google qual è la entity home

Barnard descrive quindi il processo di ciclo infinito e auto-conferme che dobbiamo impostare per forzare Google ad approvare la nostra scelta sulla casa dell’entità: a partire da questa home, bisogna linkare alle fonti corroboranti (sia di prima che di terza parte), e da queste fonti rinforzanti linkare nuovamente alla Entity Home.

Questo è ciò che vede la macchina:

  1. CV sulla home page della entità interessata (notizie di prima mano).
  2. Link a una pagina dedicata su un altro sito.
  3. Conferma di tale informazione (più o meno autorevole, più o meno duplicata, ma comunque conferma).
  4. Link back alla home page dell’entità.
  5. (Ri)conferma di tale informazione.
  6. Link a una pagina dedicata su un altro sito.
  7. Conferma di tale informazione (più o meno autorevole, più o meno duplicata, ma comunque conferma).
  8. Link back alla home page dell’entità.
  9. Ricominciare da capo all’infinito.

Questa è educazione con un metodo forza bruta – non quello che daremmo a un figlio, ironizza l’autore, “ma Google è speciale” ed, essendo una macchina, ha bisogno di un processo così particolare. Se “non sei famoso, questo è ciò che funziona” per ottenere un knowledge panel personale.

Evitare che sia Google a scegliere

Secondo Barnard, Google alla fine attribuisce comunque una Entity Home alla persona, indipendentemente dal fatto che siamo noi a istruirlo o meno: però, se lasciamo che ciò accada senza intervenire, rischiamo che “la scelta sia quella di un bambino confuso, basata su informazioni frammentate e confusionarie”.

Per questo, è meglio cercare di educare Google a comprendere qual è la entity home da noi preferita, anziché lasciarlo solo a tentare e puntare su quella che è la “sua ipotesi migliore” (sarebbe, come nel famoso gioco, attaccare la coda all’asino).

Perché questo metodo funziona?

Il senso di questo processo a tre step per attivare una scheda informativa su Google sta nella sua semplicità: in pratica, dà al motore di ricerca “ciò che sta attivamente cercando”, perché ciò che facciamo concretamente è “educare il bambino” fornendoli informazioni, spiegazioni, indicazioni per la conferma e una centralizzazione.

La chiave è proprio questa idea di centralizzare le informazioni in un posto unico – la entity home – un concetto che di recente il già citato John Mueller aveva utilizzato in riferimento ai segnali EAT che servono a Google per definire la qualità dietro le pagine e i loro autori.

In questo contesto, se Google “non capisce chi sei, non può applicare i segnali EEAT; per capire chi sei (e quindi essere sicuro quando applica quei segnali), ha bisogno di un punto di riferimento”, che può essere appunto la entity home nel nostro caso.

Le informazioni sono già online, sparse nel Web, probabilmente diffuse su molte pagine; in genere, sono frammentate, e serve quindi un pivot/hub/punto di riferimento per unire i puntini, ovvero realizzazione ciò che Mueller chiama riconciliazione.

Noi possiamo aiutare la macchina mostrando esattamente come unire quei punti, perché l’Entity Home le conferma semplicemente ciò che già pensava di sapere, senza però esserne certa. In una situazione in cui la macchina è confusa e non riesce a chiarire i fatti nella propria “mente”, la casa sarà il riferimento – la “stampella” – che le fornisce le constatazioni sui fatti che deve confermare attraverso la verifica e la corroborazione.

Quanto tempo serve per attivare un knowledge panel

Se realizziamo efficacemente questo processo, possiamo attivare una scheda informativa sulla persona in poche settimane o addirittura giorni: serve solo che la macchina comprenda i fatti fondamentali su un’entità e che il proprietario dell’entità riesca a confermare le informazioni attraverso fonti affidabili.

Tuttavia, in alcuni casi questo lavoro può richiedere più tempo, come ad esempio quando c’è:

  • Immensa ambiguità (in particolare per nomi comuni “come Simon Cox”, dice l’autore).
  • Un sacco di rumore confuso (notizie false, più omonimi famosi).
  • Bagaglio storico (Google ha già unito i punti erroneamente e ha bisogno di essere rieducato).

Ad ogni modo, secondo Barnard non ci sono dubbi sul “se” possiamo ottenere un posto nel Knowledge Graph, e quindi nella scheda informativa: è piuttosto una questione di “quanto pensiero, tempo e impegno ci vorranno per educare Google”.

Chi può ottenere un knowledge panel su Google

Il Knowledge Graph di Google non ha linee guida per la notabilità: vuole solo capire tutto. Pertanto, educare Google e ottenere un posto nel Knowledge Graph è possibile per tutti, indipendentemente dalla notabilità.

Se eseguito correttamente, il processo in tre fasi – costruzione della Entity Home, conferma e loop infinito – può spingere qualsiasi persona nel Knowledge Graph.

Come dice l’autore, “Google non ti giudica, vuole semplicemente capire; e se lo educhi correttamente, capirà”.

Ciò di cui la macchina ha bisogno è che “un posto centralizzato e autorevole sul Web” in modo che da conciliare il CV (onesto) che forniamo; e aspetta che noi le presentiamo una entity home che riconosca e di cui si fidi, “un luogo in cui ottiene le informazioni direttamente dalla fonte”.

Insomma, entrare nel Knowledge Graph è accessibile per ogni entità, e una volta nel Knowledge Graph, una scheda informativa informazioni “esiste” in Google: ma il fatto che Google mostri effettivamente il knowledge panel per una determinata query di ricerca dell’utente è un’altra questione.

Pertanto, vedremo il nostro knowledge panel in base ad alcune circostanze, e in particolare:

  • Il livello di comprensione di Google.
  • La fiducia di Google in questa comprensione.
  • La valutazione di Google della probabilità che l’intento dell’utente sia il nostro nome (elemento spesso molto geo-sensibile).

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