Google interferisce con l’algoritmo di ricerca, dice il WSJ

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Non è un periodo di tranquillità per Google: in Europa le tensioni sono molto elevate su vari fronti, dalle polemiche sulla concorrenza (che riguardano anche il nuovo Google Shopping) a quelle sul copyright (come raccontato nel caso di Google News France), ma anche negli Stati Uniti la tensione è molto alta contro il colosso tech. L’ultimo capitolo è l’attacco diretto giunto attraverso un lunghissimo articolo del Wall Street Journal, che già dal titolo promette di rivelare “come Google interferisce con l’algoritmo di ricerca e modifica i tuoi risultati”.

Un articolo del Wall Street Journal contro Google

L’inchiesta è firmata da quattro autori – Kirsten Grind, Sam Schechner, Robert McMillan e John West – e svela che Google usa blacklist, piccoli aggiustamenti dell’algoritmo e un esercito di contractors (collaboratori esterni) per “modellare ciò che vediamo” nelle SERP. Una posizione ben chiara, quella del colosso editoriale, che non lesina critiche (dirette o velate) al sistema di ricerca di Big G e, quindi, allo stesso “internet giant”.

“Ogni minuto, circa 3,8 milioni di query vengono inserite in Google, spingendo i suoi algoritmi a sputar fuori risultati per tariffe alberghiere o migliori cure per il cancro al seno o le ultime notizie sul presidente Trump”, scrivono nell’incipit i giornalisti. Queste “sono probabilmente le più potenti linee di codice informatico nell’economia globale, che controllano la quantità dell’accesso mondiale alle informazioni trovate su Internet, e il punto di partenza per miliardi di dollari di commercio”.

Google interferisce sui risultati di ricerca

E anche se la filosofia del motore di ricerca – dal lancio di venti anni fa – è sempre stata quella di “fornire informazioni utili alle persone” attraverso un algoritmo definito ripetutamente “oggettivo ed essenzialmente autonomo, non influenzato da pregiudizi umani o considerazioni commerciali”, l’indagine del Wall Street Journal sembra invece mettere in luce che in questi anni, e soprattutto dopo il 2016, Google abbia riprogettato e interferito con i risultati della ricerca in misura molto maggiore rispetto a quanto ammesso dalla società e dai suoi dirigenti.

Le rivelazioni del Wall Street Journal

Facendo oltre 100 interviste e test sui risultati di ricerca, i giornalisti hanno evidenziato almeno sei punti critici:

  • Google ha appartato modifiche algoritmiche ai suoi risultati di ricerca che favoriscono le grandi aziende rispetto a quelle più piccole, e in almeno un caso ha apportato modifiche per conto di un importante inserzionista, eBay, contrariamente alla sua posizione pubblica di non intraprendere mai un’azione di questo tipo. Secondo persone che hanno familiarità con la questione, la società promuoverebbe anche alcuni dei principali siti Web, come Amazon e Facebook.
  • Gli ingegneri di Google apportano regolarmente aggiustamenti dietro le quinte ad altre informazioni che l’azienda sta sovrapponendo sempre più ai suoi risultati di ricerca di base. Queste funzionalità includono suggerimenti di completamento automatico, caselle denominate “knowledge panel” (che utilizza il Knowledge Graph) e “frammenti in primo piano” o risultati di notizie, che non sono soggetti alle stesse politiche aziendali (che limitano ciò che gli ingegneri possono rimuovere o modificare).
  • Nonostante pubblicamente neghi di farlo, Google tiene delle blacklist per rimuovere specifici siti o impedire ad altri di emergere in determinati tipi di risultati. Queste mosse sono separate da quelle che bloccano i siti come richiesto dalle leggi statunitensi o straniere, come quelli che presentano abusi sui minori o con violazione del copyright, e dalle modifiche progettate per ridurre i siti che fanno azioni spam (o di black hat SEO) per tentare di aggirare il sistema e apparire più in alto nei risultati.
  • Nel completamento automatico, la funzione che prevede i termini di ricerca quando l’utente digita una query, gli ingegneri di Google hanno creato algoritmi e blacklist per eliminare i suggerimenti più incendiari per argomenti controversi, come l’aborto o l’immigrazione, filtrando in effetti i risultati infiammatori su topic di alto profilo.
  • I dipendenti e i dirigenti di Google, inclusi i co-fondatori Larry Page e Sergey Brin, non sono d’accordo su quanto intervenire sui risultati di ricerca e in che misura. I dipendenti possono richiedere revisioni di specifici risultati di ricerca, anche su argomenti come vaccinazioni e autismo.
  • Per valutare i suoi risultati di ricerca, Google impiega migliaia di contractors a basso costo il cui scopo, afferma la compagnia, è quello di valutare la qualità delle classifiche degli algoritmi (si tratta dei Google quality rater, il cui lavoro come sappiamo è regolato da linee guida costantemente aggiornate). Ciò nonostante, alcuni collaboratori esterni intervistati dal Journal affermano che Google fornisce un feedback al loro lavoro per comunicare quale è ritenuto il corretto posizionamento dei risultati, e che di conseguenza hanno rivisto le loro valutazioni. Le valutazioni collettive degli appaltatori sono quindi utilizzate per aggiustare gli algoritmi.

Discrepanze tra i risultati di Google e di altri motori di ricerca

Per supportare queste tesi, i giornalisti del WSJ hanno anche condotto dei test, comparando per diverse settimane i risultati di ricerca di Google con quelli di due motori di ricerca concorrenti, Bing e DuckDuckGo: la prova ha mostrato ampie discrepanze nel modo in cui Google ha gestito le query di completamento automatico e in alcune pagine di risultati di ricerca organici.

Le parole della portavoce di Google Lara Levin

Inoltre, è stata intervistata una voce pubblica della compagnia di Mountain View, Lara Levin, che in realtà si è “limitata” a difendere la policy e l’attività di Google, spiegando che “i nostri sistemi mirano a fornire risultati pertinenti da fonti autorevoli” e aggiungendo che i risultati di ricerca organici da soli “non sono rappresentativi delle informazioni rese accessibili tramite la ricerca”. Inoltre, Levin ha anche ribadito la trasparenza aziendale nella gestione dei quality rater e dell’algoritmo.

Gli esempi critici riportati dai giornalisti del WSJ

L’articolo prosegue con le dichiarazioni di molte voci di parte: casi specifici di siti “penalizzati” improvvisamente da Google dopo un aggiornamento algoritmico (ad esempio DealCatcher di Dan Baxter); docenti universitari che parlano della necessità di rendere trasparenti i criteri dell’algoritmo (Jonathan Zittrain della Harvard Law School); Dan Gainor, dirigente del Media Research Center (un organo vicino al partito conservatore, che si è lamentato di vari problemi con Google) o ancora Kristin Ford, portavoce di Naral Pro-Choice America (associazione a sostegno delle donne e della libertà di scelta, in particolare sull’aborto, un tema particolarmente delicato per il sistema di ricerca, così come tutti quelli che riguardano topic di salute e contenuti YMYL), che accusa Google di premiare siti anti-aborto.

Su Search Engine Land si prova a chiarire la questione

Insomma, niente di particolarmente nuovo o sconvolgente, e come mette in risalto Greg Sterling su Search Engine Land l’articolo stesso del WSJ parte da una posizione di bias, da un pregiudizio critico nei confronti del motore di ricerca. Il pezzo del magazine SEO prende una posizione netta e accusa, a sua volta, il Wall Street Journal di aver fornito “molte affermazioni inaccurate” o di aver “fondamentalmente frainteso ciò che sta accadendo dietro le quinte”.

Un’altra fonte di Google replica all’articolo del WSJ

Greg Sterling ha quindi intervistato sul merito un altro portavoce di Google, che ha replicato alle critiche: “Siamo sempre stati molto pubblici e trasparenti sui topic trattati in questo articolo, come le nostre Search rater guidelines, le policies per le funzioni speciali nella ricerca come il completamento automatico e le corrette rimozioni legali, il nostro lavorare per combattere la disinformazione attraverso Project Owl e il fatto che le modifiche apportate a Search siano finalizzate a favorire gli utenti, non le relazioni commerciali”.

Informazioni incomplete e aneddotti vecchi

Più nello specifico, da Mountain View rispondono che l’articolo del WSJ “contiene numerosi aneddoti vecchi e incompleti, molti dei quali non solo hanno preceduto i nostri processi e le nostre politiche attuali, ma danno anche un’impressione molto imprecisa di come affrontiamo la costruzione e il miglioramento della ricerca”.

I feedback sono utili per Google

Proseguendo nel suo ragionamento, la spokesperson di Google dice che la compagnia adotta “un approccio responsabile e di principio per apportare modifiche, tra cui un rigoroso processo di valutazione prima di lanciare qualsiasi cambiamento, implementato più di un decennio fa. Ascoltare il feedback del pubblico è una parte fondamentale per migliorare la ricerca e continuiamo a dare il benvenuto al feedback”.

I limiti dell’articolo del Wall Street Journal contro Google

Secondo Greg Sterling, in definitiva, l’articolo del WSJ è sicuramente un resoconto notevole ma contiene anche alcuni punti “oscuri”: in particolare, almeno una persona ha affermato di esser stata citata erroneamente dai giornalisti, mentre un’altra persona ha rivelato di aver rilasciato una lunga intervista che poi non è stata usata in quanto era “in disaccordo con la tesi del giornale”.

Questo “non vuol dire che il WSJ abbia lavorato con un bias e abbia ignorato l’evidenza contraria, né che tutto ciò che il WSJ dice o sostiene sia impreciso”, chiarisce SEJ, ma piuttosto che al momento la “narrativa mediatica, nel contesto di un clima politico molto carico, si è rivolta contro le grandi aziende tecnologiche”.

Anche su Reddit si commenta l’articolo

Molte sono state anche le discussioni sui social, e in particolare su Reddit c’è il commento di un utente che forse sintetizza bene tutta la questione: “Trovo difficile comprendere come una compagnia possa interferire con il suo stesso prodotto; io non posso interferire con le mie azioni”, dice AHigherFormOfUser citando il titolo (e il senso) dell’articolo.

Gli fa eco bartturner, che ricorda innanzitutto che “Google è una compagnia privata: se non ti piace come funziona, usa qualche altro strumento”. Secondo il redditor, “ogni singola persona che sceglie di utilizzare Google avrebbe potuto usare Bing, che è anche più facile perché ha meno caratteri da digitare”, scherza prima di concludere che “se Google ha una quota del 92% del mercato è perché ovviamente sta facendo qualcosa di corretto, mentre la quota di Bing Microsoft è scesa al di sotto del 3%”.

Google resta una fonte di traffico organico per i siti

Ed è proprio questo il punto che ci interessa di più, in definitiva: Google è il motore di ricerca più usato al mondo ed è una fonte forse al momento irrinunciabile di traffico organico per chiunque abbia un sito e voglia ricevere visite. Come utenti singoli possiamo forse usare delle alternative, ma in ottica business conviene continuare a studiare la SEO e cercare di capire come competere con le regole misteriose dell’algoritmo e con i suoi 200 fattori di ranking.

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