La keyword non esiste!

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Non keyword ma contesti, così come nel 2012 Google invitava a pensare alla Ricerca come a un insieme di “cose, non stringhe”: la keyword research continua a essere l’attività di base per creare contenuti per ogni tipologia di sito, ma bisogna sgomberare il campo da vecchi miti e tecniche ormai superate che ci fanno perdere di vista l’obiettivo, ovvero capire ciò che vogliono le persone e ciò che si aspettano di trovare in una pagina web.

Già oggi, e ancor di più nei prossimi mesi con il crescente impatto dei sistemi di machine learning e AI di Google, dobbiamo fare come Neo in Matrix di fronte al cucchiaio e ripetere che “la keyword non esiste”, perché solo così possiamo capire davvero ciò che serve per la SEO.

Non cercare solo keyword

Facciamo un salto indietro nel tempo: annunciando l’introduzione del Knowledge Graph nel 2012, Google si soffermò non solo sull’importanza di questo strumento, ma anche sul significato del nuovo approccio alla ricerca, basato non più su “stringhe”, ma su cose.

Il grafo della conoscenza si basa infatti sulle entità che Google conosce – cose, persone, luoghi punti di riferimento, celebrità, città, squadre sportive, edifici, caratteristiche geografiche, film, corpi celesti, opere d’arte e altro ancora – e permette di ottenere istantaneamente informazioni rilevanti per la richiesta eseguita dagli utenti. Ma, soprattutto, veniva già definito come “un primo passo fondamentale per costruire la prossima generazione di ricerca, che attinge all’intelligenza collettiva del web e comprende il mondo un po’ più come fanno le persone”

La nuova generazione della Ricerca

La direzione intrapresa (più di otto anni fa!) con il Knowledge Graph ci indica che anche nel sistema della Ricerca Google non lavora per keyword e semplici parole, ma su elementi legati da relazioni e inseriti in un contesto.

Le entità infatti descrivono i contenuti usando modelli di conoscenza noti come grafi, che aiutano le macchine a interpretare il pensiero dell’uomo e allo stesso tempo ci permettono di trovare informazioni con più efficienza.

La conferma arriva pochi anni dopo, nel 2015, quando Google lancia un aggiornamento dell’algoritmo specifico per la Search, il famoso RankBrain, basato sul machine learning per migliorare il modo in cui il sistema indicizza ed elabora le informazioni per fornire all’utente un contenuto utile, riuscendo a ordinare miliardi di pagine note e individuare le più rilevanti per ogni query di ricerca.

Cercare e creare dei contesti

Ci avviciniamo ai giorni nostri, con un livello sempre più avanzato e sofisticato di programmi per riconoscere il linguaggio naturale – non ultimo, Google BERT – e combinare richieste degli utenti e contenuti del Web.

Per dirla con Nina Taniguchi, Consumer Insights Manager, Ads Marketing for Google, dobbiamo diventare capaci di “prevedere le esigenze dei clienti partendo da termini di ricerca uguali, che però generano emozioni diverse”.

La sua riflessione ci ricorda che “i professionisti del marketing investono tempo, denaro e risorse nel tentativo di decifrare e prevedere le intenzioni dei consumatori”, obiettivo che non è dissimile da quello della SEO. La chiave, per Google, “sta nel riuscire a capire quell’esigenza che è alla base di queste intenzioni”, estendendo questa analisi anche alla Ricerca, perché “i consumatori digitano nel vero senso della parola i termini corrispondenti ai loro bisogni all’interno di un campo di ricerca”.

In concreto, ciò significa evitare i contenuti “universali”, andare oltre “i termini di ricerca correlati al brand e i termini comunemente associati alla propria categoria”, comprendere “le emozioni alla base delle azioni dei consumatori” e in questo modo “prevedere i bisogni che spingono le ricerche e rispondervi”.

Un nuovo approccio alla keyword research

Stiamo parlando, sostanzialmente, di quello che definiamo spesso search intent, l’intento di ricerca che rappresenta il punto di partenza del viaggio dell’utente, il motivo che ha spinto una persona a collegarsi a Google per cercare qualcosa e, in qualche modo, anche ciò che la stessa persona si aspetta di trovare nelle pagine dei risultati e nei contenuti.

Tutte le persone che eseguono una ricerca online sperano di trovare qualcosa: la motivazione può essere la risposta a una domanda, oppure la voglia di visitare un sito specifico o di comprare un prodotto un particolare.

Conoscere meglio il pubblico e le sue esigenze

Come sappiamo, si distinguono classicamente tre tipologie di bisogno principali: le ricerche informative, tipiche dell’utente che si sta documentando su un tema; ricerche transazionali, caratteristiche di chi è intenzionato a effettuare un’azione, per esempio un acquisto; e ricerche navigazionali, che rappresentano le esigenze di chi sta cercando qualcosa in un contesto specifico.

Ognuno di questi intenti di ricerca si associa non solo a esperienze diverse, ma anche a parole chiave ben distinte: è probabile che chi desidera effettuare un acquisto voglia conoscere anche il prezzo e le caratteristiche tecniche di un determinato prodotto, cosa che probabilmente non interessa a chi sta cercando invece informazioni sul suo utilizzo. E, viceversa, chi è interessato a sapere come usare un oggetto in quel momento potrebbe non essere interessato a leggerne il prezzo.

I motori di ricerca stanno affinando la loro capacità di interpretare le query degli utenti e di rispondere presentando i risultati di ricerca più appropriati, ovvero le pagine che hanno i contenuti che danno le informazioni giuste all’utente giusto. È da alcuni anni ormai che Google, ma anche Bing, stanno mettendo in campo sistemi sempre più progrediti nel campo del deep learning e dell’elaborazione del linguaggio naturale, come ad esempio il modello linguistico BERT lanciato da Google a fine 2019 e oggi in funzione per quasi tutte le query in inglese, per aiutare gli utenti a ottenere risultati di qualità superiore alle loro domande.

Intercettare un traffico di qualità

Non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo non è solo ottenere traffico per il nostro sito web, ma cercare di intercettare un traffico di qualità, ovvero di persone che siano realmente interessate a ciò che possiamo offrire. Comprendere cosa vuole il nostro pubblico di riferimento significa diventare capaci di pianificare in anticipo la nostra tattica e scegliere gruppi strategici di keyword che possano aumentare le probabilità che le persone trovino il sito durante la ricerca online.

E quindi, semplificando, prima di creare qualsiasi contenuto è importante conoscere e comprendere quale sia il vero intento dietro alla specifica query che interessa il nostro business, o rischiamo di pubblicare pagine online che non ottengono i risultati sperati e scrivere articoli che non si posizionano.

Migliorare la nostra strategia di ricerca parole chiave

Capire cosa vogliono e di cosa hanno bisogno il nostro pubblico di riferimento e i potenziali clienti significa diventare capaci di pianificare in anticipo la nostra strategia, scegliere parole chiave più mirate e scrivere contenuti più efficaci, perché più utili.

Utilità è una parola centrale per il nostro lavoro, perché è correlata alla valutazione della qualità del nostro contenuto: ogni nostra pagina deve avere un purpose, un valore aggiunto per l’utente, e aiutarlo a risolvere un problema, apprendere un’abilità, risparmiare tempo o denaro, aumentare la conoscenza su un tema, approfondire un argomento, ottenere risorse.

Grazie all’Intelligenza Artificiale e agli algoritmi predittivi, il concetto di “utile” è cambiato nel tempo e oggi significa non solo pertinente, ma pertinente in base al contesto e alle relazioni.

Come automatizzare e velocizzare la ricerca del search intent con SEOZoom

Ci sono varie tecniche per riuscire a capire cosa vuole l’audience di una determinata query: il metodo classico è quello di visualizzare direttamente le SERP di Google e controllare che tipo di risultati sono presentati, ovvero se ci sia prevalenza di contenuti transazionali o informazionali o se invece c’è una presenza “mista”. Sarebbe poi necessario analizzare più attentamente le singole pagine per scoprire che tipo di informazioni riportano, come sono trattati gli argomenti e così via: in breve, un lavoraccio!

In SEOZoom ci sono alcune funzioni espressamente pensare per semplificare l’individuazione del search intent e la creazione di contenuti ottimizzati per la SEO.

Grazie a Search Intent Tool e URL Search Intent Tool possiamo scoprire precisamente le intenzioni di ricerca degli utenti dietro a ogni singola parola chiave, utili sia per creare una nuova pagina già orientata a ciò che serve per posizionarsi su Google, sia per migliorare il rendimento di un contenuto già pubblicato.

Gli algoritmi di SEOZoom aiutano a scegliere il topic centrale da sviluppare (la main keyword) e gli argomenti correlati, indicano quali parole chiave correlate possiamo usare per arricchire il contenuto senza finire “fuori focus”, quando possiamo accorpare keyword e temi in un solo articolo e quando invece gli utenti (e Google) si aspettano articoli singoli e diversi.

Il processo di keyword research

Alla luce di tutto questo, una moderna keyword research deve partire da tre assunti:

  • I contenuti devono rispondere a un intento di ricerca.
  • L’intento di ricerca indica anche un bisogno.
  • Una risposta pertinente può soddisfare parole simili, ma non intenzioni diverse.

Il nostro lavoro strategico deve quindi iniziare individuando il search intent, il bisogno dell’utente, che dovremo considerare non in senso astratto e assoluto, ma come un’entità, un elemento che presenta una serie di relazioni.

Dobbiamo poi chiederci in che modo la nostra pagina web può fornire una risposta utile a questo bisogno, considerando il beneficial purpose che possiamo offrire con il nostro sito.

I contesti del Web

E quindi, la nostra keyword research deve seguire a un modus operandi differente, perché non dobbiamo focalizzarci semplicemente sulla ricerca di parole chiave ad alto volume, di una stringa, ma sull’individuazione del miglior contesto.

Per riuscirci, dobbiamo analizzare l’iter di ricerca degli utenti, dalla nascita dell’esigenza fino alla scelta della soluzione, e poi approfondire ciò che Google ha ritenuto rilevante e mostrato in SERP, cioè scoprire quali sono le risposte che il motore di ricerca ritiene già più utili, per comprendere qual è il focus a cui attenerci per rendere il nostro contenuto efficace e competitivo.

Quando avremo tutte queste informazioni – e con SEOZoom bastano davvero pochi minuti – dobbiamo poi sviluppare il contenuto dell’articolo mantenendo centrale il focus, restando nella traccia di ciò che al momento sta piacendo al motore di ricerca. Solo così possiamo avere un contenuto di qualità, che provi a rispondere ad esigenze specifiche degli utenti e a farlo nel modo più gradito a Google.

Ecco perché la keyword non esiste!

È per questo che, in maniera provocatoria, ribadiamo che “la keyword non esiste”: non possiamo lavorare ancora su una singola parola chiave estrapolata da un contesto, scelta solo sulla base della valutazione del numero di ricerche medie; non possiamo ancora ottimizzare un contenuto su una sola parola chiave escludendo tutto il resto; non possiamo concentrarci solo su un termine e ignorare le parole correlate e quelle accomunate dallo stesso search intent, da usare nel testo senza renderlo off topic.

Le evoluzioni della ricerca di parole chiave

Questi concetti si possono applicare anche agli scenari futuri, perché è ipotizzabile che nei prossimi anni aumenteranno i contesti, ma non le basi di questa attività: lo sviluppo di sistemi tecnologici come oggetti di domotica, radar negli smartphone, assistenti vocali e voice search farà moltiplicare i fattori che possono influenzare le scelte degli utenti e i canali con cui le persone possono entrare in contatto con Google e con un sito, ma non il “bisogno” che li spinge a cercare.

E quindi, il search intent sarà ancora fondamentale e anche le keyword saranno ancora importanti, sempre ragionando in ottica di cluster intorno a ciò che in quel momento significa utile per le persone e per Google. In definitiva, la vera sfida che ci aspetta è adattare le vecchie keyword a nuovi contesti tecnologici e soprattutto ambientali, cercando di far evolvere allo stesso tempo anche le nostre tattiche e strategie.

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