H1, H2 e H3, come usare gli heading per migliorare la lettura di Google e utenti

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Il SEO copywriting moderno è un mix di analisi, competenze di SEO on-page, capacità di fare keyword research e creatività, e scrivere SEO oggi non significa concentrarsi solo sulle keyword per provare a intercettare il gradimento dei motori di ricerca, ma compiere una serie di azioni strategiche incentrate sugli utenti, anche se non hanno effetto diretto sul ranking. In questa ottica rientra anche la gestione degli heading e dei paragrafi, dal famoso h1 passando ad h2, h3 e così via, che grazie alle loro caratteristiche rappresentano un importante elemento per migliorare la leggibilità e la fruizione dell’articolo, anche se spesso rischia di essere eseguita male o di non essere compresa a pieno.

Che cosa sono h1, h2 e h3 (fino a h6)

Le intestazioni o heading sono gli elementi testuali con cui si indicano visivamente e semanticamente i titoli, attraverso i quali possiamo impostare l’architettura e l’organizzazione del testo di una pagina, influenzando così anche la lettura e la comprensione del contenuto sia per gli utenti che per i motori di ricerca. In pratica, sono gli strumenti con cui possiamo definire e descrivere i vari argomenti e sottoargomenti che trattiamo all’interno del contenuto.

Il linguaggio HTML con cui sono codificate le pagine web definisce sei livelli di titoli, introdotti dalla lettera h che è l’iniziale di heading, appunto; ciò significa che per organizzare i contenuti di una pagina web abbiamo a disposizione e possiamo usare tag h1, h2, h3, ma anche h4, h5 e h6. Il numero progressivo chiarisce che questi tag hanno ordinamento gerarchico: quindi h1 è il livello più alto e h6 il meno importante; classicamente, l’elemento H1 è associato al titolo del pezzo che compare in pagina, mentre l’h2 viene utilizzato come sottotitolo per i paragrafi assieme all’h3 ed eventualmente all’h4; h5 e h6 vengono invece utilizzati raramente, ma possono essere d’aiuto a formattare articoli molto lunghi.

Un elemento di intestazione implica modifiche al carattere, in quanto il font usato da questi elementi deve essere superiore rispetto a quello del body copy, e interruzioni di paragrafo prima e dopo; in alcuni testi, inoltre, gli heading aiutano a creare menu interni.

A cosa servono gli heading SEO

Leggibilità e fruibilità degli articoli, sia per gli utenti che per i bot: sono questi i due effetti positivi che derivano da un efficace utilizzo degli heading, che sono utili perché aiutano i lettori e Googlebot a comprendere rapidamente, con un solo colpo d’occhio, il focus di quel paragrafo e di quella sezione del contenuto.

Più precisamente, possiamo dire che gli heading sono fondamentali per navigare i contenuti on page, e allo stesso modo un uso consapevole della gerarchia dei titoli ci permette di comunicare meglio e prima il contenuto di una pagina e il modo in cui le idee sono raggruppate, rendendo così più facile per gli utenti (e i motori di ricerca) navigare, comprendere e interpretare le informazioni e la pagina stessa.

In parole povere, i tag di intestazione funzionano quindi come indicatori utilizzati nel codice HTML per aiutare a strutturare il sito Web o la singola pagina in un modo che consenta a Google e agli utenti umani di leggere e comprendere i contenuti.

Non è quindi un discorso che attiene espressamente alla SEO, quanto piuttosto alle regole di base della scrittura e della gestione dei contenuti, oltre che al buon senso. E basta guardare un testo con tag heading ben organizzati e uno invece non formattato in paragrafi per renderci conto immediatamente della differenza, soprattutto in termini di fruibilità: anche a parità di informazioni, il testo senza suddivisione (e senza varietà grafica) apparirà sempre come un “mattone“, un blocco unico di lettura complessa.

SEO headings, il senso delle intestazioni

Per comprendere il valore delle intestazioni possiamo far riferimento al vecchio funzionamento dei giornali cartacei, dove i titoli avevano la parte più importante di qualsiasi articolo: in particolare, era convinzione diffusa (basata su appositi studi e rilevazioni) che i titoli delle notizie in prima pagina servissero a trainare le vendite dell’intero giornale, stuzzicando l’interesse del lettore (il famoso titolo a 9 colonne, lungo cioè quanto l’intero spazio orizzontale a disposizione sul quotidiano), mentre i titoli dei singoli articoli avevano il compito di convincere il lettore a leggere la specifica notizia.

Oggi, nel nostro mondo di sovraccarico di informazioni, i titoli e gli heading contano ancora di più, perché se non riusciamo ad attirare l’attenzione entro pochi secondi e a emergere in una SERP ricca di competitor, la maggior parte delle persone farà clic altrove.

Per questo motivo, le intestazioni da H1 a H6 si rivelano strumenti organizzativi che guidano i motori di ricerca attraverso i nostri contenuti e l’uso strategico di ogni singolo tag heading HTML da H1 a H6 consente di creare una struttura gerarchica alla pagina. Nella classica gerarchia di intestazioni consigliata anche come best practice SEO, il tag H1 è quello che ha maggior rilevanza agli occhi di Google e di tutti i motori di ricerca, poiché rappresenta il titolo della pagina e indica all’algoritmo di cosa tratta il contenuto, seguito poi in modo intuitivo dai tag H2 e dai tag H3, che spiegano a motore di ricerca e lettore l’importanza di ogni contenuto in modo gerarchico, arrivando poi ad approfondimenti più specifici contenuti negli eventuali tag H4, tag H5 e tag H6.

Come padroneggiare l’utilizzo degli heading

Per sintetizzare e dare consigli pratici per l’utilizzo corretto degli heading possiamo fare riferimento a un ottimo thread di Olga Zarr su Twitter, nel quale la consulente SEO condivide alcuni insights sull’auditing delle intestazioni per la SEO e ci insegna a padroneggiare l’arte di controllare i titoli di una pagina e di un intero sito web.

Esistono 6 tipi di intestazione (H1-H6), ciascuno con un senso e un’importanza diversi nella gerarchia dei contenuti. Di fondo, gli heading sono fondamentali per un sito ben strutturato: il loro scopo principale è dividere i contenuti in sezioni, aiutare gli utenti a navigare e assicurare l’accessibilità.

Quando correttamente strutturate, infatti, le intestazioni forniscono chiarezza e facilitano la navigazione e la comprensione del contenuto per gli utenti e anche per i crawler dei motori di ricerca. Tra i problemi più frequenti con questi elementi ci sono coerenza, gerarchia, posizionamento, duplicazione, utilizzo delle parole chiave e accessibilità.

L’errore più comune è però probabilmente l’assenza o la duplicazione di un H1: è invece importante che ogni pagina abbia un tag H1 univoco, che rifletta accuratamente l’argomento principale del contenuto. Sugli altri fronti, la formattazione deve restare coerente tra le intestazioni e le pagine, e ciò significa utilizzare la stessa dimensione, colore e stile del carattere. Inoltre, il numero di intestazioni su ogni pagina deve essere appropriato per il contenuto, suddividendolo in blocchi leggibili senza essere opprimente.

È sbagliato utilizzare gli heading per scopi di styling o solo per abbellimento estetico: i titoli dovrebbero trasmettere significato e importanza.

Possiamo controllare personalmente il livello di utilizzo di titoli e sottotitoli in ogni pagina attraverso un audit tecnico oppure con un’operazione manuale: ad esempio, il SEO Spider di SEOZoom può automatizzare il processo di verifica delle intestazioni e identificare rapidamente i problemi su un gran numero di pagine, segnalando appunto gli elementi critici su cui intervenire.

Se però vogliamo un controllo più minuzioso e accurato possiamo eseguire un controllo di audit manuale degli heading, analizzando la struttura del testo con la funzione “Ispeziona elemento” nel browser o l’estensione Web Developer per Chrome. Ciò che dobbiamo cercare è innanzitutto la presenza degli heading che abbiamo previsto, e poi controllare che siano ben scritti e ben mostrati, correggendo qualsiasi gerarchia di intestazioni errata e ristrutturando le intestazioni in modo da riflettere la gerarchia dei contenuti.

È importante, infatti, che i titoli siano coerenti in tutto il sito, utilizzando la stessa formattazione e gerarchia su ogni pagina; inoltre, deve essere corretto anche l’ordine di apparizione delle intestazioni, e quindi dovremmo sempre iniziare dal tag H1 e scendere progressivamente a H2, H3 e così via, aggiungendo (e raggiungendo) eventualmente l’ultimo livello.

Per verificare se il contenuto di un’intestazione è indicizzato, possiamo utilizzare uno dei più utili operatori di ricerca avanzata su Google, ovvero il comando site:, e inserire nella barra di ricerca il contenuto dell’intestazione racchiuso tra virgolette. Se ritroviamo la frase esatta nei risultati di ricerca, significa che Google non ha problemi a indicizzare il contenuto.

Un ultimo consiglio riguarda un aspetto tecnico: la struttura delle intestazioni su una pagina può cambiare dopo che JavaScript è stato eseguito. Gli strumenti di scansione sono ottimi per verificare se la struttura delle intestazioni cambia dopo l’esecuzione di JavaScript e se Google può vedere correttamente gli heading; in alternativa, possiamo eseguire il Mobile-Friendly Test di Google e cercare l’intestazione nel codice visualizzato: se Google può vedere il contenuto dell’intestazione aggiunta con JavaScript, non ci sono problemi.

Che cos’è il titolo H1

Vale la pena concentrarci in modo più approfondito sull’header H1, che è il titolo principale della pagina così come viene visualizzato dagli utenti, vale  a dire l’intestazione principale, il titolo evidenziato sia dal punto di vista grafico che come rilevanza semantica sulla pagina.

Se pensiamo a un libro, l’H1 rappresenta il titolo del volume, mentre gli altri heading sono gerarchicamente inferiori e vanno utilizzati per i paragrafi successivi; in particolare gli H2 (sottotitoli) sono considerabili come i vari capitoli e così via, passando per i sottoparagrafi H3 e i generalmente più rari sotto-sottotitoli H4, H5 e H6, che è l’ultimo gradino della scala.

L’importanza del titolo H1 per la SEO

Questo elemento può avere un peso per la SEO e il posizionamento, perché Google legge e interpreta gli H1 come fattore di ranking: di sicuro non basta ottimizzare il tag H1 per ottenere risultati eccezionali in SERP, ma scrivere un buon titolo per la pagina è un metodo potenziale per cercare di intercettare il gradimento dei motori di ricerca, senza dimenticarsi dei lettori, che possiamo provare a incuriosire e informare grazie a un titolo ben scritto. In entrambi i casi, l’H1 serve a contestualizzare il contenuto dell’articolo, sintetizzando il topic in modo chiaro e accattivante e offrendo alle persone un’anteprima utile di ciò che troveranno in pagina (sena mai deludere le loro aspettative ed esigenze!).

Perché e come differenziare Tag title e H1

Di solito, gli editor CMS come WordPress o Joomla non consentono di differenziare title tag e H1, perché rendono il titolo H1 in modo automatico anche tag title. Esistono comunque tanti strumenti che permettono di lavorare in modo più preciso e di differenziare titolo onpage (H1) da titolo SEO (tag title), così da ottimizzare al meglio la propria strategia.

In ottica SEO, infatti, si può decidere di forzare un tag title inserendo la keyword principale in posizione preminente (all’inizio della stringa); oppure, si può ridurre il numero di caratteri usati per l’headline in pagina quando è troppo lunga e rischia di essere troncata nella visualizzazione dello snippet della SERP.

Ad ogni modo, non differenziare tag title e H1 non è un errore né per la SEO né per l’user experience: usare la stessa stringa di caratteri per entrambi i campi significa solo perdere l’occasione di ottimizzare i titoli e raggiungere obiettivi diversi, come detto.

Heading H1: cosa dice Google

Fino a qualche tempo fa, le nostre convinzioni sulla titolazione si basavano su un assunto ferreo: una pagina deve avere un unico H1, perché così piace a Google e ai lettori. Poi è arrivato John Mueller a sorprenderci con una dichiarazione en passant nel corso di un hangout: Google non considera gli H1 per il ranking di un sito e “avere in pagina un titolo, multipli o zero è la stessa cosa”. Più precisamente, andando apparentemente in forte controtendenza rispetto a quanto abbiamo appena scritto Mueller ha risposto a un utente – che chiedeva se fosse “obbligatorio avere un solo tag H1 su una pagina web o se potesse essere utilizzato più volte” – che per Google questo fattore non è critico.

Andando per iperbole, Mueller ha detto che un sito può posizionarsi e ottenere risultati “avendo cinque tag H1 sulla stessa pagina o senza averne nessuno, perché non c’è alcun limite e si può usare nel modo più libero e opportuno”. Soprattutto con il codice Html5, avere “più elementi h1 su una pagina è del tutto normale e un po’ previsto, quindi non è qualcosa di cui devi preoccuparti”.

Pertanto, nella visione di Mueller anche se “alcuni strumenti SEO segnalano questo come un problema e segnalano come errore non avere alcun tag h1 o avere due tag h1, dal nostro punto di vista non è un problema critico“.

C’è però una specificazione da fare: Mueller parla in modo astratto degli heading anche (o soprattutto) in ottica posizionamento, perché poi è lo stesso Googler ad ammettere che “da un punto di vista dell’usabilità, forse ha senso migliorare la gestione”. Il discrimine è il termine “critico”, ovvero il fatto che – a parità di interventi di ottimizzazione SEO – il miglioramento degli H1 è meno prioritario rispetto ad altri parametri e fattori, ma ad ogni modo non è mai da ignorare completamente.

Per Google gli H1 non sono un elemento essenziale

Un’affermazione che ha provocato reazioni in larga parte della comunità SEO a livello internazionale e che, ammettiamolo subito, sembra anche essere in contraddizione con l’esperienza sul campo che abbiamo nel settore e con le prove fatte su vari siti. Ad ogni modo, vediamo cosa dice Google attraverso il suo Senior Webmaster Trends Analyst, che ha approfondito il suo pensiero anche in un successivo video su YouTube.

Mueller infatti ha voluto dedicare un episodio della serie #AskGoogleWebmasters a questo tema, partendo come di consueto dalla domanda di un utente:

“Possiamo avere una risposta chiara su come gestire heading e accessibilità? In giro per il web vedo pagine con molti H1 multipli (tutti visivamente nascosti tranne uno). Ogni sito tratta la questione in modo differente”.

Gestione H1, la domanda a Google

Il Googler inizia dicendo che “è una domanda piuttosto comune” e la risposta è diretta e schietta: “I nostri sistemi non hanno problemi se si trovano davanti a H1 multipli in pagina che, anzi, è un pattern frequente sul Web”, dice John Mueller.

A cosa servono gli heading: la spiegazione di Google

Il sistema di Big G usa “gli heading per capire meglio il contesto delle diverse parti della pagina”, e avere titolazioni “chiare e semanticamente comprensibili” è utile per comprendere ogni pagina servita. Ad ogni modo, l’algoritmo deve “lavorare col Web nel modo in cui lo trova”, e gran parte di esso “non è strutturato semanticamente per nulla”.

Titoli e Google, cosa fa l'algoritmo

Per gli utenti, prosegue Mueller, la differenza è minima: “entrambe le tipologie di pagina possono essere estremamente rilevanti per la loro domanda”. E anche i sistemi di Google non sono picky, esigenti, e provano dunque a lavorare e interpretare il codice HTML nel modo in cui lo trovano: un solo heading H1, H1 multipli o semplicemente pezzi di testo stilizzati senza HTML semantico (styled pieces of text è l’espressione utilizzata, come si vede in foto).

Non pensare alla SEO per gestire gli heading

Secondo John Mueller, in definitiva, quando si affronta il topic degli heading la “SEO non deve essere il tuo primo pensiero: pensa prima ai tuoi utenti“. E quindi, “se hai modo di rendere il tuo contenuto accessibile agli utenti attraverso H1 multipli o altre strutture HTML standard, questo non ostacolerà le prestazioni del sito né le strategie di ottimizzazione“.

Google accetta un solo H1, H1 multipli, nessun H1

Per il sistema di ricerca di Google gli H1 non importano, si può estremizzare da quanto detto in video. Un sito ne può avere uno, di più, nessuno, e in ogni caso l’algoritmo lo capirà e interpreterà, senza che questi elementi faranno rankare il sito meglio o peggio.

L’algoritmo cerca di interpretare il contenuto a prescindere dagli heading

In altre parole, Mueller sta dicendo che i sistemi di Google non fanno affidamento su una singola e specifica struttura di titoli per indicare il focus principale del contenuto della pagina, anche se per l’usabilità e le best practices al di fuori della SEO bisognerebbe seguire ciò che è raccomandato. Il Webmaster Trends Analyst afferma in alcuni commenti successivi che heading e gerarchie di heading “non sono una spinta segreta al ranking: uno script vede la pagina, si evidenziano alcune cose come parti importanti, quindi spesso possiamo usarle un po’ più in relazione al resto. Ma se non metti in evidenza nulla o al contrario evidenzi qualsiasi cosa, cercheremo di capirlo lo stesso”.

Una questione complessa e controversa

Tuttavia, la questione resta ancora piuttosto ambigua: si suggerisce di contrassegnare il sito nel modo preferito pensando “agli esseri umani e non ai motori di ricerca”, perché l’algoritmo di Google è (dovrebbe essere) capace di vedere la pagina come fanno gli umani. Ma anche usando più H1 (se questa è soluzione giusta per il proprio progetto), uno di loro dovrà comunque essere dominante in termini di layout visivo per stabilire qual è il main topic dell’intera pagina.

Come gestire la gerarchi dei titoli

La gerarchia dei titoli comunica il contenuto di una pagina e il modo in cui le idee sono raggruppate, rendendo più facile per gli utenti navigare, comprendere e interpretare le informazioni e la pagina stessa. L’applicazione di più H1 o il saltare completamente gli heading può creare una struttura di pagina confusa e rendere più difficile la lettura e l’esperienza degli utenti, oltre che complicare l’accessibilità alle risorse (soprattutto nel caso di letture da dispositivi tipo screen reader, come sottolineava lo studio di Webaim citato pochi giorni fa).

L’esperienza sui siti suggerisce di continuare a seguire le vecchie best practices SEO

In definitiva, le parole di John Mueller su H1 e heading sembrano contraddire e smentire una delle vecchie best practice della SEO, che sostiene l’importanza di utilizzare e ottimizzare un solo titolo H1 per pagina e di impiegare nel contenuto le successive intestazioni come H2, H3 e così via. E, soprattutto, queste affermazioni sembrano contrastare le esperienze sul campo, che invece dimostrano che l’ottimizzazione degli heading e degli H1 ha una correlazione (apparente?) con miglioramento della visibilità organica e possono influire anche sul clic degli utenti in SERP.

Come inserire i tag heading nel testo

Passando agli aspetti pratici, il primo passo per scrivere articoli SEO – ma, in realtà, per scrivere un contenuto di ogni tipo – è avere chiara in mente quale deve essere la struttura da dare al testo, ipotizzando la sua architettura e disegnando la sua struttura: in questo modo, possiamo fissare da subito quali sono gli argomenti da trattare, quale spazio necessitano e, soprattutto, quale rapporto gerarchico li lega.

Costruito questo quadro, diventa più semplice inserire i vari heading, che serviranno naturalmente a dividere i vari paragrafi e a introdurre eventualmente approfondimenti sul tema che possano incuriosire e interessare il lettore (e rispondere al search intent individuato da Google).

In termini pratici, inserire i tag heading nel testo è un’operazione molto semplice, sia che lavoriamo in ambiente Word (o qualsiasi altro programma di scrittura digitale), sia che operiamo direttamente in WordPress (che, come sappiamo, è il CMS più diffuso al mondo).

Se utilizziamo Word, possiamo aggiungere gli elementi di intestazione scegliendo uno degli “stili” proposti dal programma: di base, il tool presenta 4 format standard di heading (da Titolo 1 a Titolo 4, corrispondenti in HTML a h1 e h4, rispettivamente), ma possiamo anche cambiare manualmente le impostazioni e aggiungere la nostra gerarchizzazione.

Allo stesso modo, nell’editor testuale di WordPress (e ormai anche nella maggior parte degli altri CMS) possiamo inserire i tag headings direttamente nel testo su cui stiamo lavorando, selezionando la voce specifica dal menu a tendina che generalmente si trova in alto a sinistra nella barra degli strumenti. Nelle versioni più recenti, WordPress consente di inserire 6 livelli gerarchici di intestazione, da Titolo 1 (che sarebbe h1 in HTML) a titolo 6 (h6).

Come usare gli heading h1, h2 e h3

All’apparenza più complicato potrebbe essere imparare come utilizzare in modo corretto gli heading, ovvero capire quanti h1 si possono utilizzare in una pagina, se è possibile usare un h2 dopo un h3 e così via.

Possiamo rispondere immediatamente a tutte queste risposte allo stesso modo: non esiste alcuna regola inviolabile e ferrea, perché l’unico vero obiettivo che dobbiamo raggiungere con la strutturazione in paragrafi è, come detto prima, rendere più agevole la lettura del testo per le persone. Quindi, possiamo al massimo offrire dei suggerimenti, delle best practices, ma non c’è una soluzione perfetta che funzioni sempre, in tutte le circostanze, perché molto dipende anche dalle caratteristiche del sito e dei contenuti trattati.

Ciò premesso, iniziamo con alcuni spunti sugli heading in ordine gerarchico, iniziando appunto dagli h1.

Di norma, si suggerisce di utilizzare un solo heading h1 per testo, ma in realtà possiamo inserirne quanti ne servono, a patto di non rendere confusionario l’argomento trattato. Come sappiamo, l’h1 rappresenta l’headline di una pagina web, il titolo dell’articolo che l’occhio umano concretamente vede in alto al testo o che cattura l’attenzione sfogliando la home page (in contrapposizione al title, che invece è l’elemento che compare nelle SERP di Google e nella linguetta della scheda del browser): se il nostro articolo (di qualsiasi tipo) tratta un unico argomento, sviluppato e articolato in vari paragrafi, sezioni e sottosezioni, sarebbe meglio utilizzare un solo heading h1. In alcuni casi, però, quando ad esempio il testo o la stessa pagina web trattano due o più argomenti principali, serviranno differenti H1 che chiariscano la parità gerarchica tra queste informazioni.

In ultima istanza siamo noi a decidere, in qualità di architetti del nostro testo, anche perché questa questione non ha alcuna rilevanza per Google, che ha chiarito che si possono anche usare h1 multipli, se ha senso per la pagina – con tutta la rilevanza posta sul termine “senso”.

SEO H2 e altri tag heading: come si usano

Meno complessa è la gestione degli altri tag heading, che servono a definire il testo in paragrafi con titoli e sottotitoli: possiamo (più o meno) liberamente utilizzare il numero di h2, h3, h4, h5 e h6 che riteniamo opportuni per strutturare il contenuto nella maniera migliore per il lettore.

Senza legarsi a schemi specifici, ciò che conta è realizzare e pubblicare un testo che sia ben organizzato e strutturato, che risulti “visivamente” chiaro e aiuti il lettore a formarsi immediatamente un’idea del tema che sarà trattato e del modo in cui se ne parlerà. In genere, il primo paragrafo introduce il topic, mentre tutte le sue sfumature e declinazioni saranno approfondite nei paragrafi e sottoparagrafi, fino a esaurire gli argomenti.

I consigli per la gestione degli heading SEO

Ovviamente, in giro ci sono tantissime risorse che suggeriscono best practices per usare al meglio i tag di intestazione in ottica SEO, e possiamo sintetizzare quali sono i consigli generalmente proposti.

  • A disposizione abbiamo 6 livelli di intestazione – da h1, che è il primo degli heading, fino a h6, e possiamo usarli tutti con tranquillità, anche se è raro arrivare a un uso completo di tutti gli heading nello stesso articolo.
  • In un testo di media lunghezza (1500-2000 parole) in genere non si supera il livello h4.
  • In linea di massima, una pagina web dovrebbe trattare un solo argomento e anche i singoli paragrafi e sottoparagrafi dovrebbero incentrarsi su un solo tema secondario rispetto a quello principale – ma ci sono eccezioni, come detto.
  • L’H1 introduce e apre l’articolo.
  • L’applicazione di più H1 o il saltare completamente gli heading potrebbe creare una struttura di pagina confusa e rendere più difficile la lettura e l’esperienza degli utenti, oltre che complicare l’accessibilità alle risorse.
  • I tag heading vanno inseriti nel testo in ordine decrescente in base all’organizzazione che intendiamo dare al contenuto: il titolo principale è l’h1, il paragrafo o i paragrafi principali dovranno essere titolati con un H2, i successivi sotto paragrafi interni con h3 e a procedere.
  • Il criterio da seguire è quello dell’ordine gerarchico e l’aspetto grafico ci può aiutare a capirlo: il font dell’H1 è più grande, quello dell’H2 più piccolo e così a degradare fino a h6, fatto che segnala immediatamente ai lettori che i titoli più piccoli sono gerarchicamente inferiori ai precedenti.
  • Rispettare l’ordine gerarchico significa anche che l’intestazione di grado superiore può ospitare una di grado inferiore: detto in altri termini, all’interno di un h2 possiamo aprire un h3, e poi successivamente un h4, un h5 e un h6, ma non è consigliabile di saltare immediatamente da h2 a h5.
  • Se non è suggerito saltare la scala gerarchica in avanti, possiamo invece “tornare indietro”: ad esempio, possiamo creare una struttura h2-h3-h4-h3, per trattare in modo approfondito un tema e poi tornare a quello di livello leggermente superiore, se ciò non confonde il lettore.
  • Sempre come elemento di possibilità, possiamo realizzare anche un testo che abbia solo un h1 e tanti h2, oppure un titolo h1, un titolo h2 e vari titoli h3: come detto, non c’è potenzialmente limite al numero degli heading che possiamo utilizzare (anche di pari grado).

Per aiutarci, possiamo pensare (di nuovo!) alla strutturazione per intestazioni come alla gestione di un libro: come detto, l’elemento h1 rappresenta il titolo dell’opera – in linea di massima ce n’è uno solo ed è l’elemento più importante – mentre successivamente ci sono gli h2, ovvero i capitoli, che introducono determinate sezioni e aiutano il lettore a comprendere gli argomenti affrontati, e poi gli h3 che definiscono ulteriormente alcuni concetti e così via.

Tag h1, h2, h3 e SEO: come scegliere le keyword

Nel tempo, gli heading sono diventati una sorta di “zona franca” per i SEO che, impossibilitati a utilizzare direttamente nel testo principale le keyword più innaturali e sgrammaticate (quelle senza articoli o preposizioni, ad esempio, o formulate in modi lontani dal linguaggio parlato), hanno rivolto le loro attenzioni proprio ai vari h2 e h3 dell’articolo, rendendoli di fatto il regno delle keyword ottimizzate.

Se è comunque apprezzabile il tentativo di non piegare a tutti i costi la sintassi e la grammatica alle ragioni della scrittura SEO, e quindi di evitare forzature sin troppo evidenti nel testo che potrebbero infastidire la lettura degli utenti, anche un utilizzo eccessivamente convenzionale degli heading non è consigliabile, se non aggiunge valore alle informazioni fornite ai lettori. Quindi, va bene usare stringhe di keyword precise in un tag heading per cercare di intercettare l’interesse dell’algoritmo dei motori di ricerca, ma a patto di non esagerare e di non eccedere in sovraottimizzazioni (anche perché Google e i suoi competitor stanno diventando sempre più smart da capire cosa stiamo scrivendo, badando all’intento piuttosto che alla stringa di parole che usiamo).

Più importante e utile sarebbe sfruttare i paragrafi e i sottoparagrafi per inserire informazioni preziose per gli utenti – e quindi ricercate: in questo senso, usare i suggerimenti sulle ricerche correlate che arrivano anche da SEOZoom ci permette di analizzare le varie sfaccettature del tema che stiamo affrontando, senza finire fuori focus rispetto al search intent principale, individuando anche eventuali long tail keyword che possono servire ad accontentare il nostro pubblico.

H1, H2, H3 e SEO: qual è l’effetto sul ranking?

Può sembrare sorprendente (e forse deludente), ma alla fine di questo discorso non abbiamo scoperto una tecnica che permette di migliorare il posizionamento delle nostre pagine.

Infatti, imparare a gestire gli heading non ha un effetto diretto sul ranking di Google, ma può portare a benefici laterali, perché possono influire sulla user experience e a definire in maniera più precisa il topic della pagina anche per i crawler.

Se utilizziamo i tag di intestazione in modo intelligente e accurato agevoliamo i motori di ricerca a riconoscere più facilmente argomento, struttura e qualità del testo, ma soprattutto offriamo un servizio ai lettori umani, che possono seguire in modo più semplice e chiaro (sia visivamente che concettualmente) gli argomenti affrontati, grazie a un’architettura precisa e ordinata.

La posizione di Google: dagli heading nessun effetto diretto sul posizionamento

Google ha più volte chiarito che gli heading non aiutano direttamente il posizionamento, per quanto comunque utili in altre forme. Di recente, in particolare, John Mueller ha detto che l’HTML semantico e la gerarchia dei tag non sono un segnale di qualità utilizzato in Google Search per scopi di ranking, “ma sicuramente ci aiutano a capire meglio le pagine, in modo da poterle mostrare meglio per le query appropriate nella ricerca”.

Catturare il lettore (anche) con i tag heading

In generale, tutto ciò che possiamo fare per aiutare Google a capire complessivamente il nostro sito e le nostre pagine è una buona cosa, e anche se usare una buona struttura HTML semantica con gli elementi di intestazione corretti non serve a dire a Google che la nostra pagina o il sito è di qualità, resta comunque un modo per migliorare il modo in cui ci proponiamo alle persone vere che fruiscono dei nostri contenuti.

Più precisamente, è anche con i giusti titoli di pagina e di paragrafi che possiamo catturare l’attenzione del lettore, e di conseguenza interessarlo e aumentare le possibilità che possa leggere tutto il contenuto, approfondire altri articoli (magari quelli linkati internamente) e in futuro tornare a visitare il nostro sito. E questo è un aspetto centrale per il SEO copywriting, che è anche capacità di farsi trovare e apprezzare dagli utenti, prima che di ottenere un buon posizionamento nelle SERP di Google.

In definitiva, gli headings ci aiutano a costruire l’architettura del testo e a comunicare immediatamente al lettore a capire come sarà strutturato il pezzo; aiutando la lettura, incrementano le probabilità che il lettore-utente torni a leggerci, fornendo quindi un supporto a migliorare le performance delle nostre pagine.

Heading tag, perché servono alla SEO

A chiarire come e perché la qualità dei contenuti passa anche dal corretto utilizzo dei tag heading ci aiuta uno speciale studio di webaim.org, da cui arrivano interessanti dati per comprendere il valore concreto di questi fattori.
L’organizzazione non-profit con base negli Stati Uniti ha infatti realizzato un sondaggio che ha coinvolto un campione di oltre 1200 persone destinato a raccogliere le risposte e le preferenze di “screen reader users” (ovvero utenti di software che permettono la lettura a persone che soffrono di problemi di vista di varia natura), provenienti da tutto il mondo e di età differenti.

Ricerca delle informazioni all’interno della pagina

La parte che forse più ci interessa, rispetto al topic e al nostro lavoro, è quella relativa alla ricerca e al reperimento delle informazioni all’interno della pagina: la domanda mirava specificamente a scoprire “quale azione compi più probabilmente prima per cercare informazioni all’interno di una lunga pagina piena di contenuti”, e le opzioni erano “navigazione attraverso gli heading“, “uso della funzione cerca“, “navigazione attraverso i link della pagina“, “navigazione attraverso landmarks/regions della pagina”, “lettura della pagina”.

Gli heading sono fondamentali per navigare i contenuti on page

Le risposte confermano quanto dicevamo: la navigazione tramite gli heading rimane il metodo predominante per la ricerca di informazioni sulla pagina, con il 68,8 per cento degli utenti che utilizza tale sistema per scorrere le pagine senza doverle leggere per intero, soffermandosi così sui punti ritenuti più interessanti. Limitandoci agli screen reader, comunque, lo studio rivela anche che i titoli sono letti soprattutto da chi ha una competenza avanzata con lo strumento, mentre gli utenti principianti sfruttano il comando “trova nella pagina” o leggono interamente l’articolo.

Uno strumento per guidare e incuriosire i lettori

Lo spunto che ci arriva da questa ricerca è evidente: gli heading possono orientare e guidare i lettori alla scoperta del nostro contenuto, in modo simile a quanto fanno il main title e la meta description per convincerli a cliccare dalle SERP. Atterrati in pagina, gli utenti possono far riferimento proprio ai vari H2, H3 e così via presenti sia per definire meglio il contesto sia per capire se è il caso di dedicare tempo e attenzione alla lettura.

Siti e libri: un paragone sull’uso degli heading

Come detto, per chiarire questi aspetti ci torna utile la già citata e classica similitudine con la struttura di un libro: una pagina web può essere paragonata appunto a un libro, che ha un titolo unico e univoco (il tag H1), si divide in capitoli (i tag H2) che a loro volta possono essere declinati in sottocapitoli (H3, H4 e così via). Il tutto in modo organizzato e ordinato, per facilitare la lettura e consentire alle persone di non perdersi tra le pagine.

Come scrivere heading efficaci per la SEO

Affinché siano efficaci e raggiungano gli obiettivi, però, bisogna usare bene gli heading (e i subheading) e non limitarsi a inserire delle frasi standard, iper ottimizzate e magari piene di keyword sgrammaticate: anche in questo caso, è fondamentale scrivere bene e usare gli heading badando alla semantica e al contesto della pagina. Ovvero, pensare prima alla naturalezza del contenuto, all’user experience e alla leggibilità di quello che scriviamo e poi, secondariamente, all’ottimizzazione in vista di un potenziale posizionamento su Google.

Parlando di questo tema, inoltre, non bisogna dimenticare che nel classico elenco dei fattori di ranking sul motore di ricerca gli heading vengono citati in varie circostanze, ritenuti appunto un elemento che l’algoritmo di Google può prendere in considerazione per comprendere il contenuto onpage e di conseguenza valutare la rilevanza di una pagina rispetto a una query.

Google: gli heading servono a chiarire il focus dei paragrafi

Tuttavia, non bisogna neppure sopravvalutare il peso degli heading sul ranking, e sono alcune fonti di Google a chiarire questo aspetto e a descrivere il ruolo che per il motore di ricerca – e quindi per la SEO – hanno gli heading del contenuto, i titoletti dei vari paragrafi in cui suddividiamo il testo in pagina.

Nello specifico, è uno dei tanti video di John Mueller a fare focus sul tema, con il Googler che interviene rispondendo al proprietario di un eCommerce alle prese con un problema di indicizzazione e posizionamento delle pagine prodotto, che sono realizzate “con grandi immagini in evidenza e testo di grande quantità, con heading piuttosto generici“. Per questo, l’utente chiede se ” spostare le immagini verso il basso e il testo in alto” aiuterebbe Google a interpretare meglio il contenuto delle singole pagine.

La posizione dei contenuti non ha un ruolo importante per la SEO

La risposta immediata di John Mueller è “no”, perché “spostare semplicemente la posizione dei contenuti in una pagina HTML non svolge un ruolo importante” in termini di crawling o di ranking, ma poi il Googler si sofferma su alcune indicazioni pratiche per ottimizzare i contenuti, parlando come dicevamo anche degli heading.

Perché sono utili gli heading per Google e per i lettori

Per Google gli heading sono utili perché aiutano Googlebot e i lettori a comprendere il focus di quella sezione del contenuto, sono strumenti che servono a definire e descrivere i vari argomenti e sottoargomenti trattati all’interno della pagina web. In linea di massima, una pagina web dovrebbe trattare un solo argomento e anche i singoli paragrafi e sottoparagrafi dovrebbero essere incentrati su un solo tema secondario rispetto al principale.

Esempi di gestione della struttura della pagina

Perciò, commenta Roger Montti su SearchEngineJournal, “immagini del prodotto, prezzo, dimensioni, colore, recensioni e confronti” sono alcune delle informazioni che l’utente si aspetta di trovare su un sito quando fa una query su Google circa un prodotto, e questi quindi potrebbero essere alcuni dei paragrafi della scheda del prodotto.

Sui siti di informazione, invece, il bisogno potrebbe essere l’utilità di uno strumento specifico per raggiungere un obiettivo ed eseguire un’azione (ad esempio, trovare la giusta padella per preparare una ricetta) o altre indicazioni supplementari che insieme soddisfino le esigenze delle persone.

Come pianificare bene una pagina web

Quindi, una pagina è ben pianificata quando gli heading, le immagini e il testo formano un’unità che si relaziona tra loro, quando tutto è ben strutturato per rispondere al search intent. Al contrario, inserire titoli che non hanno attinenza con il contenuto è un errore che potrebbe avere effetti negativi in termini di posizionamento e visibilità organica.

L’uso efficace degli heading aiuta leggibilità e comprensione della pagina

Ancora una volta, dunque, John Mueller ribadisce che gli heading – compresi title SEO e H1 – non servono direttamente come fattore di ranking, ma possono influire sulla user experience e sulla definizione del topic della pagina. Per la precisione, dice che “la titolazione è utile in quanto possiamo prendere un titolo e vedere quali immagini e quale tipo di testo si applicano a quel titolo”.

Evitare gli interstitial perché bloccano la scansione di Googlebot

Uscendo dal topic e tornando al problema dell’utente, Mueller cerca anche di offrire una spiegazione alla mancata efficacia di quel sito: “Una cosa che ho notato nelle pagine mostrate come esempio è la comparsa, a un certo punto del caricamento, di un interstitial per la selezione del Paese”.

Il Developer Advocate afferma che “se questo interstitial si attiva quando Googlebot è all’opera per la scansione e il rendering delle pagine potrebbe creare fastidi e impedire la corretta indicizzazione delle pagine”. Una alternativa migliore è usare un banner per questa finalità, perché “anche se viene renderizzato non blocca l’indicizzazione del resto dei contenuti”, come invece succede con l’interstitial, che nel peggiore dei casi “elimina” il contenuto precedente e lascia poco contenuto da analizzare a Googlebot.

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