Web Reputation e SEO: come risollevare il brand dopo un fail

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Se è capitato persino a Chiara Ferragni, che sulle capacità comunicative ha fondato il suo “impero”, può davvero succedere a qualsiasi brand, che sia personale o aziendale: nello scenario attuale, ogni dichiarazione, ogni recensione, ogni articolo e addirittura ogni “azione” può influenzare la percezione pubblica e la reputazione di un marchio, che si costruiscono e si decompongono con una velocità senza precedenti. La reputazione online è un asset aziendale intangibile, ma allo stesso tempo misurabile e strettamente collegato all’andamento del fatturato – tanto che secondo le stime del World Economic Forum la digital reputation rappresenta il 25% del market value di un’azienda – ma il problema è che gli incidenti e gli scivoloni sono sempre dietro l’angolo e possono provocare disastri, se non si interviene in tempo. Ecco perché il monitoraggio costante della reputazione online non è più un’opzione, ma una necessità imperativa: il modo in cui un brand viene percepito online può avere ripercussioni dirette sulle vendite e sulla fidelizzazione dei clienti, e per fortuna la SEO ci può aiutare a risolvere alcune situazioni difficili o vere e proprie crisi comunicative.

Che cos’è la web reputation

Fino a qualche anno fa, l’espressione web reputation si riferiva semplicemente alla fama di un brand o di un prodotto sul web, mentre oggi invece è un tema che si estende al complesso intero di informazioni correlate che si possono trovare in Rete, che contribuiscono a creare l’identità digitale del soggetto e influenzano ciò che pensano gli utenti.

Può essere definita come “la previsione di una relazione fra l’azienda e il consumatore, che presuppone un’aspettativa negativa o positiva a seconda di cosa e come (sentiment) si dice sul web riguardo al brand” (Marco Aurelio Cutrufo).

La reputazione si associa spesso ai concetti di credibilità e affidabilità: quando un utente/consumatore decide di preferire un brand e di acquistare il suo prodotto/servizio, compie un atto di fiducia, avviando un rapporto privilegiato che dovrebbe essere reciproco e soddisfacente.

Le definizioni di Web reputation e Brand Reputation

In questa ottica, brand reputation e web reputation sono due concetti strettamente collegati ma con sfumature distinte.

Brand Reputation si riferisce alla percezione complessiva che consumatori, clienti, partner e il mercato in generale hanno di un marchio o di un’azienda: si costruisce su diversi fattori, come la qualità dei prodotti o servizi, l’esperienza del cliente, la responsabilità sociale d’impresa, la comunicazione aziendale e le relazioni pubbliche, e si forma attraverso tutti i punti di contatto tra il marchio e il suo pubblico, sia online che offline.

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La Web Reputation, invece, è specificamente legata alla percezione e alla reputazione di un marchio nell’ambiente online: è influenzata da ciò che viene detto e condiviso su internet riguardo a quella entità (azienda o persona), inclusi siti web, blog, forum, recensioni online, social media e qualsiasi altro spazio digitale dove il marchio è presente o viene discusso. La web reputation è particolarmente importante perché, nell’era digitale, un numero crescente di interazioni e decisioni di acquisto avviene online, e le informazioni si diffondono rapidamente e possono essere accessibili a un pubblico globale.

La brand reputation online è il riflesso digitale del valore di un marchio. In un mondo dove il 81% dei consumatori effettua ricerche online prima di procedere all’acquisto, secondo una ricerca di GE Capital Retail Bank, una reputazione positiva può essere il fattore decisivo che inclina la bilancia a favore di un’azienda. Al contrario, una reputazione negativa può allontanare potenziali clienti prima ancora che abbiano considerato i prodotti o servizi offerti. Inoltre, una solida reputazione online contribuisce a costruire fiducia, elemento fondamentale per qualsiasi relazione a lungo termine con i clienti.

Creare questo rapporto di fiducia è difficile già nell’immediato, e risulta ancora più duro lo sforzo di farlo perdurare nel tempo: la fiducia può essere tradita da un’aspettativa troppo alta che non corrisponde alla realtà, ad esempio, che genera una frustrazione nel cliente che si riverbera spesso nel mondo online. E, secondo the White House Office of Consumer Affairs, un passaparola negativo è 20 volte più efficace di quello positivo e può addirittura far perdere ad un’attività economica dai 7 ai 9 clienti.

I problemi per la reputazione online: sempre meno controllo sulla diffusione delle informazioni

Il mondo del Web è veloce per sua natura, e i social network hanno amplificato questa caratteristica, estendendo la portata dei contenuti a un pubblico sempre più vasto in modo immediato e globale e, allo stesso tempo, rendendo sempre più difficile gestire e controllare le informazioni.

Ora tutti hanno una presenza online e, se non siamo noi direttamente a farlo, qualcuno in Rete parlerà comunque di noi e condividerà il suo sentiment verso il sito, il brand o la personalità, che l’utente medio ha imparato a prendere in considerazione per creare la sua idea.

Quindi, anche facendo attenzione a non toccare argomenti controversi e a evitare battute infelici online, è sempre possibile compiere un passo falso di qualunque tipo che – elemento da tenere a mente – non può essere semplicemente eliminato o nascosto. La Rete non dimentica e molto spesso non perdona neppure: le nostre tracce nel mondo digitale sono sempre più numerose e possono avere conseguenze a lungo termine, e di sicuro non si può “far finta” che l’errore e il fail non siano accaduti (anche perché, probabilmente, in pochi istanti sarà già diventato un contenuto virale).

Quindi, è essenziale avere un piano di reazione alla crisi in caso di un passo falso nella comunicazione su qualsiasi mezzo, dai social alle news: può capitare di inciampare, e ciò che importa è rispondere in modo rapido e sincero per mitigare qualsiasi danno arrecato alla reputazione. Il principale errore comunicativo che si può fare in questo caso infatti è pensare che il fail non potrebbe accadere a noi e al nostro brand, e quindi essere colti alla sprovvista e reagire in maniera poco efficace.

Scivoloni ed epic fail: casi famosi di crisi di web reputation

Il mondo digitale è disseminato di esempi di crisi di reputazione che hanno lasciato un segno.

Ad esempio, il 2023 è stato di sicuro un anno negativo per Bud Light, fino a qualche mese fa la birra più venduta d’America. Ad aprile, la star transgender di TikTok Dylan Mulvaney ha promosso Bud Light sulle sue piattaforme di social media come parte di una partnership pianificata, ma il suo post ha ricevuto una reazione transfobica, con i conservatori che hanno chiesto il boicottaggio del prodotto. La situazione ha avuto un’evoluzione ancora più grave perché gli stessi membri delle comunità LGBTQ+ e i loro alleati hanno voltato le spalle al marchio per non aver parlato rapidamente e non essersi schierato al fianco di Mulvaney. Il risultato è stato che, già a giugno, le vendite erano diminuite e Modelo Especial aveva sostituito Bud Light come birra più venduta in America, e la società ha riportato un calo del 13,5% nei ricavi statunitensi del terzo trimestre.

A proposito di tracolli, poi, è possibile inserire nei grandi fail (anche comunicativi) il rebranding di Twitter in X voluto da Elon Musk: in poco più di un anno dall’acquisizione, il valore della piattaforma è diminuito più del 71,5%. In pratica, l’imprenditore sudafricano ha speso 44 miliardi di dollari per acquistare Twitter nell’ottobre 2022, ma oggi il suo social X vale appena 12,5 miliardi di dollari – anche perché Musk ha rivoluzionato parecchie cose oltre al nome, arrivando anche a litigare con gli inserzionisti (tra cui Apple, Comcast, Disney, IBM, Lions Gate Entertainment, NBCUniversal, Paramount Global e Warner Bros Discovery), che hanno ritirato pubblicamente gli annunci su X a causa delle preoccupazioni per le invettive pubbliche di Musk, nonché per i contenuti “hateful” e la disinformazione tornati prepotentemente sulla piattaforma.

Guardando all’Italia, sono ormai passati alla “storia” gli scivoloni di alcune importanti aziende e brand. Ad esempio, nel 2018 la casa di moda Dolce&Gabbana pubblicò una serie di video pubblicitari per il mercato cinese che furono giudicati offensivi e razzisti; la situazione peggiorò a causa di commenti inappropriati di Stefano Gabbana su Instagram. Ne seguì un boicottaggio dei prodotti D&G, specialmente in Cina, con ripercussioni significative sulle vendite.

Ancora prima, nel 2013, Guido Barilla, presidente dell’omonima azienda, durante un’intervista radiofonica fece delle dichiarazioni che vennero percepite come omofobe: questo portò a un’immediata reazione sui social media, con hashtag e campagne di boicottaggio che invitavano a non acquistare i prodotti Barilla (che poi ha intrapreso una strada molto diversa e più inclusiva anche nella comunicazione promozionale).

Sempre a tema “pasta”, nel 2016 la Buitoni sbagliò comunicazione durante il terremoto che colpì il centro Italia, pubblicando un post su Facebook che venne giudicato insensibile e fu interpretato come un tentativo di sfruttare la tragedia per promuovere i propri prodotti. La reazione negativa fu immediata e l’azienda dovette scusarsi pubblicamente.

Questi esempi ci chiariscono anche che, affrontando il tema delle crisi di reputazione online, è impossibile non considerare l’impatto che i social media hanno avuto su questo fenomeno: le piattaforme digitali hanno il potere di amplificare le gaffe comunicative, trasformando rapidamente piccoli errori in vere e proprie tempeste mediatiche. In Italia, abbiamo assistito a diversi casi in cui le aziende sono state messe sotto i riflettori per le dichiarazioni pubbliche dei loro rappresentanti, che hanno avuto ripercussioni dirette sull’immagine aziendale, ulteriore segno di come attualmente ogni parola pubblica può diventare virale e di quanto la distinzione tra opinioni personali e comunicazione aziendale diventi sempre più sfumata.

Il pandoro di Chiara Ferragni e il caso di Acqua Eva

Abbiamo aperto l’articolo citando proprio il recente “scandalo” che ha investito Chiara Ferragni (senza entrare nel merito della vicenda legale, ma soffermandoci all’aspetto che interessa la comunicazione e il branding) e ora è il momento di riassumerlo rapidamente per chi (certamente pochi) non ne ha sentito parlare.

Chiara Ferragni è un’influencer con quasi 30 milioni di follower su Instagram e su TikTok e quasi 18 milioni su Facebook e X: tuttavia, questi numeri sono in calo da settimane, in particolare da quando si è chiuso il caso che ha riguardato la sua collaborazione con Balocco, sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a causa appunto di una comunicazione errata e non trasparente.

Nello specifico, i fatti risalgono ai mesi finali del 2022, quando la nota azienda dolciaria Balocco annuncia il lancio di una nuova linea di pandori in collaborazione con Chiara Ferragni, chiamata “Pandoro Pink Christmas“. Sulla confezione rosa con il logo di Ferragni campeggiava inoltre un’etichetta che riportava la frase “Una parte del ricavato verrà devoluto a sostegno dell’Ospedale Regina Margherita di Torino”, evidenziata anche nelle comunicazioni promozionali.

A seguito di una denuncia del Codacons, l’AGCM ha determinato che effettivamente i post sui social media e i comunicati stampa che hanno promosso la campagna hanno indotto in errore i consumatori, suggerendo che l’acquisto del pandoro in edizione limitata comportasse una donazione di beneficenza – in realtà, Balocco aveva già eseguito donazione all’ospedale nell’ottobre 2022, prima del lancio commerciale del prodotto, e quindi il ricavato delle vendite non è andato a beneficio dell’ospedale. E così, nel mese di dicembre 2023 è arrivata la sanzione, piuttosto pesante: l’AGCM ha comminato una multa di 420.000 euro per Balocco e di oltre 1 milione di euro alle società di Ferragni per questa campagna ingannevole.

Il 18 dicembre 2023 l’influencer ha pubblicato un (già celeberrimo) post video sui social in cui fa mea culpa per il caso, promettendo anche di donare 1 milione di euro all’Ospedale Regina Margherita, ma ha abbandonato le comunicazioni “pubbliche” per ben 18 giorni, fino al 3 gennaio 2024. Intanto, però, avrebbe perso ben 300mila follower su Instagram, un contratto in essere con Safilo, che ha interrotto la collaborazione per “violazioni di impegni contrattuali”, e anche un accordo commerciale con la Coca-Cola, che ha deciso di sospendere la prevista campagna promozionale.

Sempre in queste ultime settimane, poi, c’è stato un altro “caso” che può interessare chi si occupa di comunicazione, ovvero la vicenda giudiziaria che vede contrapposti Acqua Sant’Anna e Acqua Eva, due dei principali marchi di acqua minerale italiani. Tutto nasce nel 2018, quando su un blog creato ad hoc (e chiuso poco dopo) viene pubblicato un articolo in cui si sostiene che Acqua Eva sarebbe stata di proprietà della catena Lidl; per la precisione, l’articolo incriminato viene pubblicato sul blog “Acqua Eva: la verità che non vi vogliono dire” ed è firmato da un giornalista che si presenta come “un ex dipendente di Acqua Eva“.

L’articolo ha avuto un impatto significativo sulla reputazione di Acqua Eva: l’azienda ha subito un calo delle vendite e ha dovuto affrontare una campagna di boicottaggio sui social media. Dopo poco, Acqua Eva denuncia Acqua Sant’Anna per diffamazione e turbativa del commercio, individuando nella dirigenza i “mandanti” di questa pubblicazione: i due marchi di acqua minerale sono infatti da sempre rivali sul mercato, con Acqua Sant’Anna che è leader con una quota di mercato del 20% e Acqua Eva che invece è al quarto posto.

Il 29 dicembre 2023, nel corso del processo a Torino, Alberto Bertone (Ad e presidente di Acqua Sant’Anna) ha ammesso la responsabilità, dicendo: “Volevo fare mettere per iscritto il gossip che girava nell’ambiente da decenni e mettere Eva in imbarazzo costringendola a spiegare”, aggiungendo che “non c’era intento di fare danni economici” e di non aver letto la bozza dell’articolo poi pubblicato.

Questa diatriba solleva in particolare una serie di questioni importanti. In primo luogo, pone il problema della responsabilità dei media online, perché l’articolo incriminato è stato pubblicato su un blog, che è un mezzo di comunicazione meno regolamentato rispetto ai giornali tradizionali. Non meno importante, ci fa capire quanto è difficile la tutela della reputazione delle imprese e anche che impatto può avere una semplice “voce” diffamatoria, se non contrastata adeguatamente.

La relazione tra SEO e Web Reputation

Insomma, anche personaggi ritenuti “guru” della comunicazione e dell’imprenditoria, figure istituzionali e le grandi brand non sono immuni da scivoloni e crisi che possono ledere la loro immagine e la loro reputazione, sia nel mondo online che in quello fisico.

Una delle possibili soluzioni per tamponare queste situazioni problematiche risiede nella SEO, che oggi è una componente cruciale nella gestione della reputazione online. I motori di ricerca come Google sono spesso il primo punto di contatto tra un marchio e il suo pubblico: ancora più specificamente, praticamente tutti fanno una ricerca su Google per scoprire qualcosa su un brand o su una persona prima di fare qualsiasi interazione con loro, e quindi i link e le informazioni che appaiono nelle prime pagine del motore di ricerca quando viene cercato il nostro nome sono ciò che i potenziali partner e clienti percepiscono chi siamo.

È quindi evidente che la SEO può “dare una mano” a influenzare la reputazione online assicurando che i contenuti positivi siano più visibili nelle SERP, mentre quelli negativi vengono relegati a posizioni meno visibili. Attraverso la SEO, cioè, possiamo indirizzare il dialogo che circonda il nostro marchio e presentare la migliore immagine possibile al nostro pubblico.

Di più: si è sviluppata una specifica branca del brand monitoring, chiamata ORM (online reputation management) che si occupa appunto della gestione della reputazione online, che lavora per assicurare che gli utenti di Internet intercettino prioritariamente informazioni positive sul marchio, monitorando le menzioni su Internet e mantenendo una presentazione positiva nelle ricerche web. Questa misura proattiva protegge il marchio controllando i contenuti diffusi su web e social media per individuare eventuali menzioni che potrebbero dover essere affrontate, come feedback negativi o articoli critici, e funziona anche per riparare eventuali i danni alla reputazione.

In sintesi, quindi, una strategia SEO efficace consente di presentare un brand nella migliore luce possibile per una ricerca di un utente qualsiasi, trovando opportunità per migliorare il posizionamento dei contenuti positivi e “coprire” i risultati di ricerca negativi, dando loro meno visibilità.

Le principali tecniche SEO per gestire la reputazione

Gestire la reputazione online attraverso la SEO significa adottare una serie di tecniche mirate, che possono fare la differenza nel posizionamento di un brand, sia esso personale o aziendale.

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Tutto parte, inevitabilmente, dalla creazione di contenuti di qualità, utili e ottimizzati, che è uno degli strumenti più efficaci per influenzare ciò che appare nelle prime pagine dei risultati di ricerca di Google, soprattutto quando si tratta di mitigare l’impatto di contenuti critici. Questo può declinarsi in contenuti quali articoli, comunicati stampa, recensioni positive e testimonianze che, se ottimizzati correttamente, possono guadagnare posizioni di rilievo nelle SERP, ma anche nell’ottimizzazione dei profili sui social media e dei siti web aziendali, in modo che arrivino a occupare le prime posizioni per le ricerche legate al marchio.

Una delle prime azioni da intraprendere è l’analisi delle “domande correlate” che appaiono nei box People Also Asked (Le Persone hanno chiesto anche), che possono rivelare quali aspetti negativi o dubbi sono associati al marchio e possono fornire spunti preziosi per la creazione di contenuti che rispondano in modo chiaro e costruttivo a tali interrogativi. Ad esempio, se per un marchio come Walmart emergono domande del tipo “È sbagliato comprare vestiti da Walmart?”, è importante produrre contenuti che affrontino queste perplessità, mostrando il valore e la qualità dell’offerta del brand.

Sempre in termini di SEO onpage può essere essenziale contrastare le impressioni negative riuscendo a posizionare le nostre pagine tra i featured snippet, fornendo risposte autorevoli e informative che possano essere selezionate da Google come la migliore risposta alla domanda dell’utente, così da migliorare la visibilità del brand e, al tempo stesso, contribuire anche a costruire fiducia e a rafforzare la reputazione.

Un altro aspetto fondamentale è l’identificazione delle keyword long tail o di media lunghezza che generano risultati negativi, sulle quali lavorare con una strategia mista tra onpage e offpage. Il primo step è creare contenuti ottimizzati che rispondano a queste ricerche, con l’obiettivo di scalzare i risultati indesiderati dalle prime pagine di Google, attraverso un processo complesso che richiede un’analisi approfondita e una comprensione delle dinamiche SEO, ma che può portare a risultati significativi nel medio-lungo termine. Per dire, di sicuro ora è impossibile eliminare completamente tutti i risultati negativi che appaiono per le ricerche “Pandoro Balocco”, ma con una strategia opportuna e con la dovuta pazienza si può ripulire la SERP dai soli riferimenti al caso Ferragni.

Per ottenere questo risultato serve un altro pilastro della strategia SEO per la gestione della reputazione online, ovvero la costruzione di backlink di qualità: ovviamente, serve un approccio lecito e assolutamente lontano dalle tattiche Black Hat nella costruzione di backlink, selezionando con cura i partner e evitando pratiche scorrette come l’acquisto di backlink, che possono ulteriormente danneggiare la reputazione portando a penalizzazioni da parte dei motori di ricerca.

Attraverso la creazione di contenuti di alta qualità, l’ottimizzazione per le parole chiave giuste e la costruzione di una rete solida di backlink, è possibile influenzare positivamente la reputazione online di un brand, proteggendola e migliorandola nel tempo.

Le 10 tecniche per superare un passo falso sui social

Reagire in maniera studiata e non stare fermi in silenzio è anche il punto di partenza dell’articolo di Victoria Edwards su Search Engine Journal, che elenca dieci modi per ripristinare la web reputation compromessa da un problema comunicativo sui social e prevenire ulteriori danni futuri.

  1. Attendere e pianificare prima di rispondere

Le risposte a caldo non sono mai consigliate: reagire rapidamente e sulla scia dell’emotività del momento all’errore del brand, indipendentemente da quale sia, è probabilmente un intervento che peggiora il danno.

Più opportuno è mettere in pausa le operazioni e pianificare le soluzioni per affrontare efficacemente il problema, così da mitigare eventuali e ulteriori conseguenze. Questo lavoro deve coinvolgere non solo il team di social media, ma anche il team di comunicazione e relazioni pubbliche oltre che quello che cura gli aspetti legali, perché è importante pesare bene e con attenzione le parole della risposta.

Gran parte degli utenti online (soprattutto sui social) cerca il dramma e segue tutti gli aggiornamenti legati a casi spinosi: per questo è importante mantenere la calma, evitare di rispondere ai troll e non lasciarsi distrarre dalla negatività – che abbassa tutta la conversazione e fa perdere punti al brand – o dall’ansia.

Un messaggio di replica sbagliato potrebbe provocare grossi guai.

  1. Accertare e riconoscere gli errori

Ammettere gli errori e attribuire al brand la responsabilità dei problemi che si sono verificati è spesso il miglior inizio per correggere la social media reputation.

Lo dicevamo prima: oggi non è più possibile cercare di nascondere l’incidente e fingere che il problema non sia successo: spesso, eliminare post, foto o video che rappresentavano il problema serve solo ad amplificare la loro portata e accende i riflettori del Web sul caso.

Presentare una risposta positiva e sincera può essere essenziale per arginare la creazione e la diffusione di false voci: in assenza di informazioni “ufficiali”, disposte direttamente dall’organizzazione oppure dall’interessato, gli utenti del Web andranno alla disperata ricerca di altre fonti e guarderanno a giocatori esterni (utenti di Facebook, Twitter, di Instagram, siti Web, giornali….), che possono screditare ulteriormente il brand.

La comunicazione di crisi per difendere la web reputation

Dobbiamo quindi analizzare la situazione e capire cosa è successo: nelle fasi iniziali, potrebbe servire rispondere con una dichiarazione semplice e formale per “prendere tempo”, come ad esempio: “Stiamo valutando questa situazione”.

Se accertiamo che c’è stato effettivamente un errore (umano o tecnico) da parte nostra, conviene sempre proporre le scuse in modo autentico, con un messaggio dal tono umano e non troppo robotico (che appare poco sincero): è inutile domandarci “perché” scusarsi, perché le persone lo richiedono e quindi “dobbiamo” farlo.

È cruciale dare una risposta: deve contenere informazioni veritiere e fatti oggettivi sull’evento e deve essere distribuita su tutti i canali che hanno trattato del caso – piattaforma social, pagina web o forum.

Questo permette di proporre il brand come canale di informazione: gli utenti (e i media) interessati faranno riferimento alla nostra pagina social per scoprire cosa è successo, senza fare troppo affidamento a fonti che riportano i fatti in modo parziale e magari tendenzioso per creare lo scandalo.

  1. Fornire soluzioni all’errore quando possibile

Spesso, i disagi avvertiti dagli utenti dipendono da problemi legati a dati, errori o interruzioni di servizio: un brand (e chi ne cura la reputazione) non può controllare tutto, ma essere pronti nel rispondere con soluzioni da offrire rapidamente aiuterà il marchio a ripulire la sua web reputation e a evitare che il caso possa esplodere.

In realtà, da questi eventi negativi possono nascere opportunità di crescita per il brand: riuscire a gestire i feedback e risolvere i problemi delle persone può generare un coinvolgimento positivo e rinsaldare la reputazione online sul lungo periodo.

  1. Investire nel brand monitoring

Gli strumenti di ascolto e monitoraggio sui social media possono apparire costosi e inutili, ma si rivelano molto utili in tempi di crisi, perché offrono immediatamente alert su ciò che sta accadendo; più in generale, servono non solo a controllare se il brand compare nelle discussioni sul Web, ma anche a tener d’occhio il sentimento delle persone verso il marchio.

Questo ci permette di fare la ricerca, studiare il problema in anticipo e reagire subito per evitare che degeneri. Si possono anche usare strumenti gratuiti, tipo Google Alert: ciò che conta è non trascurare questa attività e prendere provvedimenti solo dopo che il caso è scoppiato.

  1. Lavorare sulla SEO per ripulire le SERP

Google è ormai il primo canale di informazione per milioni di persone: se il passo falso è diventato virale e ha infestato le SERP, bisogna attivare una strategia di pulizia dei risultati negativi per cercare di recuperare l’immagine del brand.

La tecnica più semplice è produrre e promuovere contenuti diversi sul marchio, una strategia a lungo termine che – se ben eseguita – potrebbe efficacemente spingere verso le posizioni inferiori i contenuti non così piacevoli verso il brand. Un modo per iniziare a risolvere il problema è creare contenuti sponsorizzati o sviluppare una campagna che menziona il valore promosso dal marchio.

  1. Gestire offline le lamentele

Un trucco utile per evitare di mettere in piazza tutti i problemi è attivare sistemi di assistenza che non coinvolgono direttamente la bacheca pubblica della pagina social o i commenti del sito.

Quando compare un post negativo, la cosa migliore da fare è accettare il messaggio e chiedere all’utente di inviare un’e-mail o un messaggio in privato.

Ad esempio, possiamo usare come mezzo di comunicazione il messenger diretto nativo della specifica piattaforma social, o creare un account mail di supporto interamente dedicato alle risposte sui social media. Basta attivare degli indirizzi semplici da ricordare per le persone – come socialmedia@brand.com o socialsupport@brand.com – e convogliare su questi il problema e la discussione.

Questo non serve solo alla sicurezza del brand, ma anche a garantire la riservatezza della persona interessata, che potrà segnalare il suo problema (ed eventualmente anche i dati personali) nel pieno rispetto della privacy.

  1. Usare le testimonianze per lanciare una nuova campagna

Dopo un passo falso bisogna rimettersi in piedi: quando le acque si saranno calmate e il fail del brand ormai non fa più notizia, è il momento di mettere in luce gli aspetti positivi dell’azienda per riproporsi al pubblico.

Un modo per farlo è sviluppare una campagna (non deve essere necessariamente grande) incentrata sulla presentazione del valore o ai vantaggi offerti dal marchio, magari sottolineando gli aspetti umani dell’attività – ad esempio, mostrando le persone dietro al nome e come svolgono un ruolo fondamentale.

Un’altra tecnica utile è sfruttare le testimonianze dei clienti soddisfatti, che possono diventare dei testimonial e dare il via a un passaparola positivo.

  1. Rafforzare la comunicazione di emergenza

Ripristinare il marchio sui social media è anche un’opportunità per fare un’analisi approfondita dopo che il problema è scomparso, riunendo tutti i comparti interessati – team sui social media, legali e PR – per comprendere non soltanto il caso, ma soprattutto la reazione, i tempi, le conseguenze, capire cosa si sarebbe potuto fare meglio e studiare piani per prevenire complicazioni in futuro.

Non avere un piano di emergenza è sicuramente un errore, ma anche non rivalutare le risposte alle crisi è sbagliato, perché limita le nostre capacità di essere pronti di fronte a nuovi casi.

  1. Rivedere le operazioni aziendali

Se reclami e passi falsi si verificano spesso e riguardano lo stesso tema, non è il team dei social media o delle comunicazioni che può risolverli, perché potrebbero riguardare un problema di funzionamento aziendale.

Potrebbe esserci una carenza di supporto tecnico, oppure un errore di produzione e così via: l’assistenza via social può aiutare fino a un certo punto, ma l’utente forse si aspetta un intervento differente e più concreto.

In questi casi, bisogna investire in modi per migliorare il supporto fornito con l’acquisto, un mezzo per aumentare la soddisfazione del cliente e creare nuovi brand ambassador a costo zero.

  1. Attenzione ai competitor

La battaglia tra brand è spesso feroce e ci sono momenti in cui un concorrente invade il nostro spazio per fare tutto ciò che è in suo potere per mettere ulteriormente a repentaglio il nostro marchio.

Potrebbero sviluppare contenuti che calcano la mano sul fail, cercare di offuscare il brand, proporsi come solutori di problemi o (nei casi di problemi nati da comunicazioni sbagliate) portatori di una filosofia diversa e più inclusiva: nella maggior parte dei casi, la cosa migliore da fare è evitare di far parte di quel rumore, perché questa disputa metterà ancora più in cattiva luce il nostro brand e potrebbe addirittura causare ripercussioni legali.

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