Guida alla migrazione del sito: spiegazioni, errori e consigli per la SEO

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È un processo delicato, e per certi versi anche noioso, perché al netto dei benefici che può produrre a lungo termine presenta anche molte insidie, che possono provocare conseguenze deleterie quando si commettono errori e si tralasciano dettagli cruciali: la migrazione del sito, di qualsiasi tipo, deve essere gestita al meglio per evitare fastidi a Google o agli utenti dopo il trasferimento, che si traducono in cali di ranking e di traffico organico. Per dirla con le parole del nostro Giuseppe Liguori nel corso di uno ZoomDay, “se la migrazione non viene eseguita correttamente può portare solo a un risultato, ovvero guai”, e anche Google conferma che il trasferimento di dominio e URL è davvero un’operazione complessa anche per i motori di ricerca, che possono impiegare fino a diversi mesi elaborare i cambiamenti in modo completo. Approfondiamo quindi il tema del trasferimento di un sito web e del processo di migrazione, provando a definire gli scenari in cui si rende necessario o preferibile trasferire un sito, cosa significa in concreto questo passaggio e quali sono i rischi che si presentano e che possono far sprofondare il nuovo sito.

Che cos’è la migrazione di un sito

Molto intuitivamente, il processo di migrazione temporaneo o definitivo è il trasferimento di un sito web che prende varie forme, come vedremo; si tratta di un aspetto delicato perché, quando non eseguito in maniera corretta, può compromettere la gestione SEO del sito, provocando danni al traffico organico e alla rilevanza acquisita nel tempo sui motori di ricerca, ma anche generando difficoltà anche agli utenti e alla loro user experience, portandoli a navigare improvvisamente su un sito diverso e magari problematico su alcuni aspetti.

Perché fare la migrazione sito Web

Sono molteplici i motivi che possono spingere a trasferire un sito o riprogettarlo completamente: tra i più frequenti citiamo il passaggio al protocollo HTTPS (che ormai dovrebbe essere uno standard minimo), la necessità di un rebranding e di una nuova identità aziendale, la scelta di rendere il sito più veloce e mobile-friendly o la comparsa di nuovi obiettivi di digital marketing raggiungibili appunto con un cambio di strategia.

Richiesta preventivo Migrazione

Quali sono i tipi di migrazione del sito

Il trasferimento di un sito può essere eseguito in autonomia – avendo ovviamente le conoscenze e le competenze di base – o affidato a un’agenzia esterna, e i vari tipi di migrazione possono essere effettuati singolarmente o in contemporanea. In ogni caso, è meglio conoscere quali possono essere i casi che spingono a decidere di effettuare questa migrazione, così da approfondire anche le conseguenze, le problematiche e le specifiche criticità dei vari casi.

Le operazioni preventive per ridurre gli errori

A prescindere dal caso, tra le procedure che vanno eseguite prima del trasferimento del sito c’è innanzitutto la mappatura di tutti gli URL e di tutte le risorse del sito esistente, analizzando la sitemap, individuando le pagine che ricevono link interni o backlink esterni e analizzando i log del server, includendo anche i file di immagini e i video. Sempre prima del trasferimento bisogna associare i vecchi indirizzi ai nuovi URL, così da poter poi impostare i vari redirect.

Trasferimento siti web, le tipologie più semplici e comuni

La tipologia più semplice di migrazione è il cambio di dominio o rebranding (compresa la trasformazione dell’estensione); anche la migrazione grafica e il restyling del layout del sito non dovrebbero comportare particolari rischi (un esempio è la sostituzione del template di WordPress o la sua implementazione), così come ormai dovrebbe essere liscio il processo di migrazione da HTTP a HTTPS.

Le migrazioni sito di difficoltà media

Un livello di complessità maggiore lo riservano altri tipi di migrazione, come quella degli URL, dell’architettura dei contenuti o dei server che ospitano il sito. Il trasferimento degli URL riguarda appunto le modifiche agli indirizzi, ai percorsi e alla struttura degli URL interni dello stesso sito (un esempio immediato è lo switch da URL parlanti a statici); la migrazione dei contenuti è necessaria, ad esempio, quando si riorganizzano le categorie e quindi serve poi spostare gli articoli e i prodotti sotto le nuove gerarchie. Infine, il trasferimento di server o la migrazione di hosting e indirizzo IP avvengono quando, per motivi tecnici, di affidabilità o pratici, si decide appunto di cambiare uno di questi parametri.

Il trasferimento di CMS, la migrazione più complessa per la SEO

Il caso forse più ostico è quello della migrazione da un CMS a un altro CMS, ad esempio il trasferimento del sito da WordPress a Joomla o viceversa, o ancora da .asp a .php e così via, in seguito a valutazioni sul miglior CMS. In questo caso, l’aspetto più critico sul fronte tecnico è il radicale cambio di indirizzi che può provocare un lungo elenco di status code 404, mentre per quanto riguarda la SEO i rischi sono la perdita di authority del dominio (anche) a causa dell’interruzione dei backlink ricevuti nel corso del tempo e l’aumento eccessivo e dispersivo di crawl budget per la scansione di Google.

Come eseguire una migrazione CMS in sicurezza

Nel citato intervento allo Zoomday, Giuseppe Liguori proponeva i suoi consigli per effettuare un trasferimento di CMS in sicurezza, individuando tre punti fondamentali da rispettare per evitare brutte sorprese e partendo da un presupposto, ovvero la necessità di “costruire un ponte tra i due CMS”. In fase preventiva, bisogna eseguire un backup del vecchio database prodotti e delle vecchie regole di .htaccess, mentre sul fronte pratico è opportuno realizzare uno script di codice che “interroghi il vecchio database; trovi un elemento in comune (Es. Codice SKU, nome prodotto, etc); interroghi il nuovo database; esegua un redirect 301 verso il nuovo URL”. Al termine di questo processo bisogna verificare che tutto sia correttamente trasportato ai nuovi indirizzi.

Questa operazione è particolarmente complessa perché presuppone (almeno) tre requisiti minimi: la presenza di un programmatore che conosca bene entrambi i CMS; l’intervento di uno specialista SEO che sappia usare htaccess; una fase di verifica costante del lavoro per verificare che tutto si svolga nella maniera giusta e senza intoppi. Tuttavia, rappresenta “l’unico modo funzionante per recuperare tutti gli URL” o quasi.

Le best practices per fare le migrazioni dei siti

Come detto, in linea di massima le altre tipologie di trasferimento e migrazione non dovrebbero essere altrettanto complicate, ma comunque forniamo qualche indicazione per eseguire queste operazioni con la giusta accortezza e tranquillità.

Come eseguire la migrazione degli URL del sito

Il cambio di indirizzi nell’ambito dello stesso sito può rendersi necessario quando si scopre di aver commesso errori nella strutturazione, o quando si cerca di migliorare la navigazione e l’esperienza complessiva dell’utente. Casi comuni sono la presenza di date nelle pagine che quindi diventano obsolete, l’indicazione di elementi inutili, lo spostamento di intere directory e così via; in situazioni del genere la migrazione avviene attraverso regole di riscrittura, provando a rispettare la filosofia “less is better” (e quindi il suggerimento di avere un url leggero e compatto rispetto a quelli più estesi).

Dal punto di vista SEO, Google tranquillizza sul “credito” che il sito possiede dopo i link di redirect a nuovi URL: nella Guida di Search Console si legge infatti che “i reindirizzamenti 301 o 302 non comportano alcun peggioramento del posizionamento in PageRank“.

Il trasferimento del server del sito

Anche la migrazione del server può essere un processo rischioso, perché può generare due tipi di situazioni problematiche: il nuovo server si rivela peggiore del precedente o si riscontrano alcune incompatibilità, e quindi non risponde perfettamente alle richieste e causa degli errori; il tempo tecnico di passaggio del DNS e cambio di IP può causare disservizi anche gravi agli utenti e al motore di ricerca.

Come eseguire una migrazione di server in sicurezza

Anche in questo caso, Giuseppe Liguori ha fornito delle indicazioni di massima, delle best practices per trasferire un sito da un hosting all’altro senza avere disservizi. Se trascurati, i seguenti aspetti potrebbero provocare downtime molto lunghi, superiori alle 24 ore, e quindi i famosi guai di cui si diceva prima:

  1. Fare una prima copia del sito completo dal vecchio hosting al nuovo hosting, utilizzando uno dei tanti plugin per fare backup & restore del sito web, soprattutto in ambiente WordPress.
  2. Testare bene il sito web sul nuovo hosting e lanciare uno stress test al sito con il nuovo indirizzo IP, sfruttando il file “hosts” del computer; così potremo vedere perfettamente come funzionerà il sito quando la migrazione sarà completata.
  3. Fare una scansione completa del sito per verificare eventuali errori che precedentemente non sussistevano.
  4. Completate le prime operazioni, se è passato troppo tempo bisogna ricopiare il sito web o almeno il database e le immagini caricate di recente.
  5. Spostare l’IP del sito web dal pannello del gestore del DNS; non disattivare il vecchio hosting poiché potrebbero essere necessarie svariate ore per aggiornare l’IP nuovo.

I consigli per la migrazione da HTTP a HTTPS

È da tre anni ormai che Google sta facendo pressioni per far migrare tutti i siti al protocollo HTTPS, sia includendo questo aspetto tra i fattori di posizionamento sia contrassegnando sul browser Chrome tutti i siti in HTTP come “Non sicuro”. In realtà, per quanto riguarda la sicurezza, bisogna specificare che la protezione maggiore riguarda il traffico tra il sito e l’utente finale, e quindi non c’è tutela verso attacchi hacker e simili, e che in generale questa migrazione serve a garantire la sicurezza del trasporto dei dati, a elevare il livello di privacy e aumentare il livello di fiducia nei confronti dell’utente.

Come eseguire il trasferimento in HTTPS

Il primo passo è l’acquisto del certificato, che poi va attivato manualmente o seguendo l’installazione del provider. Questo trasferimento è abbastanza semplice e basta seguire pochi passaggi per completarlo efficacemente; ad esempio, per migrare WordPress in HTTPS (o per trasferire Prestahop, Magento, Joomla e gli altri CMS) è sufficiente modificare i dati nel pannello delle impostazioni, ma esistono anche specifici plugin che eseguono il processo in automatico. Successivamente serve lanciare dei redirect 301 con htaccess e verificare a campione che i reindirizzamenti siano stati efficaci.

Consigli per la migrazione HTTPS SEO

È importante sottolineare che al termine della migrazione è necessario creare una nuova proprietà in Google Search Console per il dominio in HTTPS, come se fosse un sito nuovo, perché GSC gestisce HTTP e HTTPS separatamente. Inoltre, è consigliabile conservare la vecchia proprietà in HTTP per eventuali problemi futuri o per valutare dati storici.

Perché eseguire un cambio di dominio e rebranding

Un’altra situazione critica nella quale può capitare di ritrovarsi riguarda il rebranding, ovvero la necessità o l’esigenza di cambiare nome del sito e del dominio a seguito di alcuni fattori, come problemi di copyright o di reputazione, spostamento di un livello multilingua su un dominio country based, nome del sito o del marchio che in altre lingue significa qualcosa di brutto o osceno, o più semplicemente per altre scelte di marketing.

Come fare il trasferimento del sito in sicurezza

A prescindere dalla ragione che spinge al rebranding bisogna usare i soliti accorgimenti lato SEO di reindirizzamento, con la modifica degli indirizzi nei CMS descritta prima e altre regole di reindirizzamento per gli URL. Prima della messa in linea del nuovo sito bisogna sottoporre a scansione e verifica che il processo sia stato efficace, con tool specifici o con confronti manuali, tenendo presente che tutti gli status code diversi da 301 o 200 generano problemi a Google (e quindi potenzialmente al sito e al business).

In ogni caso, per evitare di disperdere il lavoro fatto bisogna approcciare a questo passaggio delicato curando anche l’aspetto SEO della migrazione, e quindi fare attenzione a preservare la visibilità organica di pagine e contenuti e a garantire che le keyword che generano il traffico maggiore (e i relativi URL) siano trasferite senza errori.

Migrazione sito SEO, consigli rapidi per evitare guai

Le linee guida qui descritte sono un veloce vademecum per affrontare in maniera preventiva la fase di migrazione del sito in sicurezza, cercando di evitare di creare fastidi a Google o agli utenti in un processo delicato di trasferimento. Non va comunque trascurato che qualunque migrazione, anche quando svolta nel migliore dei modi, potrà avere delle conseguenze positive o negative sul sito, per cui l’obiettivo è minimizzare i rischi e cercare di limitare gli eventuali danni. Inoltre, non si può trascurare il fattore temporale: un cambio così imponente e sostanziale richiede tempo anche nelle scansioni del motore di ricerca, quindi è normale nelle prime fasi dopo la migrazione registrare fluttuazioni di visibilità e posizionamenti, che poi si regolarizzeranno nei periodi successivi.

Migrazioni e cambi di URL: il processo è difficile anche secondo Google

Ma la migrazione non è un topic ostico solo per webmaster, specialisti et similia, perché anche i motori di ricerca trovano difficoltà nel gestire questa operazione, arrivando a impiegare fino a diversi mesi per elaborare i cambiamenti in modo completo.
Anche se “a prima vista può sembrare un piccolo cambiamento all’interno di un sito web, modificare la struttura degli URL non è così semplice per i motori di ricerca”: si apre proprio con questa riflessione un video di #AskGooglebot, in cui John Mueller risponde alla richiesta di un utente che chiede informazioni appunto sul tema migrazioni e, in particolare, sui possibili rischi connessi all’operazione.

Il Search Advocate mette quindi subito in guardia sulla delicatezza del processo, che anche quando eseguito correttamente richiede un lungo tempo di elaborazione agli stessi motori di ricerca, e che quindi può portare a situazioni critiche, come ad esempio i temuti cali di traffico.

Le difficoltà con la migrazione del sito

Modificare tutti gli URL di un sito per trasferirli su un nuovo dominio, e quindi una migrazione completa, è forse uno degli interventi SEO più intimidatori che si possono apportare, perché interessa appunto tutto il sito nel suo complesso.

I motivi che spingono a questo passo sono vari (ad esempio cambio di dominio dopo fusioni aziendali o cambiamenti di brand), ma in linea di massima sia che stiamo “ricostruendo completamente un sito Web o semplicemente rimuovendo uno slash dalla fine degli URL” stiamo comunque compiendo una migrazione del sito, che richiede tempo e attenzione anche ai motori di ricerca per l’elaborazione delle modifiche.

Come spiega Mueller, questo dipende dalle caratteristiche stesse dei motori di ricerca come Google che “memorizzano il loro indice per pagina: pertanto, modificando l’indirizzo o l’URL di una pagina, i suoi dati devono essere inoltrati in qualche modo, altrimenti vengono persi” . Vale a dire, tutti i segnali, tutti i link, tutte le informazioni che Google ha in relazione a quell’URL devono essere inoltrati al nuovo URL.

Le raccomandazioni di Google sulla migrazione del sito

Per cercare di ridurre i rischi e non compiere errori nella migrazione, il Search Advocate offre una rapida guida al processo con delle indicazioni di base da seguire.

I 4 step per una migrazione sicura

  1. Valutare le opzioni e i potenziali effetti

Questi cambiamenti al sito possono provocare dei disturbi alla SEO e al ranking acquisiti, ed è quindi importante pianificare l’intervento e valutare attentamente le opzioni, i rischi e le possibili conseguenze in termini di ranking e di tempi – per decidere qual è la tempistica migliore per esporre il sito a un potenziale calo di traffico.

  1. Mappare gli URL vecchi e nuovi

Prima di eseguire la migrazione è opportuno tenere traccia di tutti gli URL del sito vecchio e di quello nuovo, per “controllare le modifiche in seguito”.

In questo modo, possiamo studiare in anticipo quali sono le risorse da migrare con un redirect 301, quali invece sono da eliminare eccetera: a processo terminato, poi, andremo a verificare che tutti gli URL utili siano stati trasferiti e siano effettivamente online, e che non ci siano risposte inattese con pagine in status code 404 (risorsa non trovata).

  1. Lanciare la migrazione

È il momento di effettuare la migrazione.

Google ricorda di implementare correttamente i redirect 301 dai vecchi URL ai nuovi e di non tralasciare tutte le “menzioni interne” al sito, come link, moduli, dati strutturati, sitemap e file robots.txt.

  1. Monitorare gli esiti della migrazione

L’ultimo step è quello più importante per il destino SEO del sito: dobbiamo cioè controllare che tutte le pagine siano state reindirizzate correttamente, utilizzando gli strumenti della Google Search Console.

I tempi per completare la migrazione

Il (breve) video di Mueller ci offre anche un’indicazione di massima sui tempi che servono a Google per completare di elaborare una migrazione del sito: il motore di ricerca, infatti, può impiegare fino a diversi mesi per terminare il processo di modifica su tutti gli URL, anche se darà priorità a quelli importanti per il sito.

Infatti, nella Search Console è possibile vedere che le pagine più importanti saranno analizzate e modificare più velocemente, mentre le altre sono soggette a elaborazione più lenta per dare modo ai sistemi di Google di riprocessare tutte le modifiche.

Anche per questo motivo, Google ricorda che i redirect vanno tenuti attivi almeno per un anno dopo la migrazione.

Un processo complesso che può funzionare bene

Le migrazioni sono davvero difficili, come sanno SEO, proprietari di siti, editori e webmaster che hanno già sperimentato questi spostamenti di URL e domini. Eppure, Google ci vuole “rassicurare” sul fatto che, con la giusta dose di preparazione, studio, ricerca e attenzione è possibile completare positivamente questa operazione e ridurre lo stress, sfruttando tutti gli strumenti per rilevare tempestivamente gli errori e monitorare i progressi del trasferimento.

Cambiare hosting, la guida ufficiale di Google

Restando sempre in casa Google, a metà febbraio 2023 il team di Search ha modificato la pagina di documentazione di supporto dedicata alle migrazioni SEO, focalizzando i suoi consigli in modo specifico sui cambiamenti di hosting e sulle tecniche per ridurre al minimo l’impatto della modifica dell’infrastruttura di hosting del sito sul rendimento del sito stesso nella Ricerca Google.

Ancora più precisamente, le indicazioni riguardano unicamente le migrazioni che non interessano l’URL visibile all’utente.

Come ci ricorda Google, modificare l’infrastruttura di hosting significa cambiare provider host o passare a una rete di distribuzione dei contenuti (CDN) e il processo ideale si articola in quattro fasi:

  1. Preparare la nuova infrastruttura di hosting, caricando i contenuti sui nuovi server oppure configurando la rete CDN e i server di origine, con gli opportuni test di funzionamento.
  2. Iniziare lo spostamento del sito, modificando le impostazioni DNS del nome di dominio in modo che reindirizzino alla nuova infrastruttura di hosting. Questa fase rappresenta lo spostamento effettivo del sito e dà inizio al processo di indirizzamento del traffico alla nuova infrastruttura.
  3. Monitorare il traffico, sia quello proveniente dal nuovo hosting che quello precedente.
  4. Chiudere l’infrastruttura di hosting precedente, quando abbiamo la certezza che tutti gli utenti, incluso Googlebot, ricevano correttamente i contenuti dalla nuova infrastruttura e che nessuno stia utilizzando quella precedente.

I suggerimenti per modificare correttamente hosting

La parte più delicata di questa operazione è probabilmente la gestione di tutti i passaggi da svolgere prima di iniziare lo spostamento effettivo dell’infrastruttura.

Secondo Google, dovremmo iniziare dal caricare sul nuovo provider host una copia del sito, intesa come file HTML reali da replicare nella nuova piattaforma di hosting oppure come database da importare nella nuova posizione, e dal testare scrupolosamente che il sito funzioni come previsto, verificando che non ci siano problemi di alcun tipo negli aspetti dell’interazione degli utenti.

Una soluzione valida per testare tutte le funzionalità prima della pubblicazione effettiva del sito potrebbe essere la creazione di un ambiente di test, magari con accesso limitato a IP specifici, e il processo di verifica deve includere la supervisione di tutti gli elementi del sito aperti in un browser web – e quindi pagine, immagini, moduli e download (ad esempio i file PDF).

Successivamente, può essere consentire test pubblici con un nome host temporaneo (come beta.example.com) per la nuova infrastruttura per testare l’accessibilità da parte dei browser, così da verificare se Googlebot può raggiungere o meno il sito – per evitare che il sito di prova venga indicizzato accidentalmente, aggiungeremo la regola noindex robots alle intestazioni HTML o HTTP delle pagine. Per controllare il comportamento di Googlebot (e l’accesso e il traffico di Google) verso la nuova infrastruttura di hosting possiamo accedere alla Search Console, crearne uno nuovo per il tuo sito ed eventualmente anche per la proprietà temporanea. Tra gli aspetti da prendere in considerazione c’è anche il check alla configurazione del firewall o alla protezione contro gli attacchi denial of service (DoS), per evitare che impediscano a Googlebot di raggiungere il sistema DNS o i server del provider host.

Inoltre, Google suggerisce di ridurre il valore TTL (ad esempio, poche ore) per i record DNS già una settimana prima dello spostamento per velocizzare lo spostamento del sito: in questo modo, infatti, consentiamo una più rapida propagazione agli ISP delle nuove impostazioni.

L’ultimo step ci riporta alla Search Console e, nello specifico, al controllo che la verifica del sito in Search Console sia ancora valida dopo lo spostamento dell’hosting e aggiornando anche i metodi di verifica scelti nel nuovo sito. Ad esempio, se usiamo il metodo di verifica tramite file HTML dobbiamo includere il file di verifica corrente nella nuova copia del sito, così come la verifica tramite tag meta o Google Analytics nei modelli del CMS richiede l’inclusione anche nella nuova copia CMS.

Falsi miti SEO, cosa sapere sulla migrazione dei siti

Insomma, la migrazione del sito è sicuramente un’operazione difficile, ma non è certo impossibile, anche se spesso si legge in giro il contrario (o quanto meno si ingigantisce la portata dell’intervento): proprio per chiarire questi concetti, la serie SEO Mythbusting su YouTube ha dedicato un episodio a sfatare i miti sulla migrazione dei siti, offrendo una panoramica anche sui cambi di nome del dominio, sulla fusione dei siti, sulle migrazioni parziali e altro ancora.

Falsi miti sulla migrazione dei siti

Data la vastità del tema, non sorprende che questo episodio sia anche il più lungo in assoluto della serie, con una durata di oltre 20 minuti; l’ospite è Glenn Gabe (Digital Marketing Consultant, G-Squared Interactive), che apre la puntata raccontando una sua vecchia esperienza di consulenza, utile per introdurre l’argomento.

Episodio di SEO Mythbusting sulla migrazione

Una volta, dice, “ho aiutato un sito e-Commerce di larga scala che non aveva fatto redirect 301 alle immagini, che quindi non erano state trasferite (lo citavamo anche come errore frequente nel nostro appronfondimento); quindi, il consiglio è di non dimenticare mai di fare redirect anche alle immagini e ai contenuti visivi e poi verificare se il processo è andato a buon fine”. Ad esempio, controllando i server log del vecchio dominio per vedere se il traffico è sceso, e quando noteremo che l’attività di crawling è calata dire addio al sito.

Un tema che può spaventare

È sempre Gabe a sottolineare che molti proprietari di siti hanno una vera e propria paura ad avviare il processo di migrazione, perché non sanno sicuri di cosa possa succedere; altri invece compiono le operazioni troppo in fretta e senza aver preparato tutto in maniera adeguata, a riprova della complessità del topic e della forza del principale “falso mito”.

Stando alle leggende metropolitane SEO, infatti, si verificherà sempre un calo del traffico dopo un cambio di nome di dominio o la migrazione del sito, ma in realtà non è così.

Che cos’è davvero la migrazione del sito

È Martin Splitt quindi a prendere la parola e sfatare questo mito, spiegando che innanzitutto che cos’è una migrazione del sito, ovvero – letteralmente – il trasferimento completo da un dominio all’altro, copiando praticamente l’intera struttura dell’URL e l’intero contenuto, così che alla fine del processo si avrà una copia perfetta del vecchio sito su un altro dominio.

Questo processo non implica sempre un calo di traffico: per la precisione, il traffico inizia a diminuire sul vecchio dominio per riprendere sul nuovo. Nel complesso, ciò non significa che stiamo perdendo traffico, e in generale compiere questa operazione in modo pulito ci consente di completare il lavoro in modo fluido senza perdere nulla. Più critico è invece un trasferimento solo parziale del sito, che potrebbe portare ad anomalie nel traffico.

L’analogia col ristorante o col food truck

Per spiegare meglio il concetto, Splitt si lancia in una colorata analogia: a suo parere, la migrazione del sito può essere paragonata al cambio di location di un ristorante o di un food truck.

Quando andiamo in un ristorante, cerchiamo risposte a una serie di domande, del tipo “mi sento ben accolto? Il personale è gentile? La qualità del cibo è buona? Il prezzo è giusto?”, e immagazziniamo le risposte nella nostra cartella mentale per quel posto – esattamente come Google fa con i suoi segnali e fattori di rankingper ogni pagina Web.

Se un amico ci chiede un consiglio su un ristorante da provare, probabilmente useremo i segnali che abbiamo raccolto per dargli le giuste informazioni e raccomandazioni – “è perfetto se ti piace la cucina asiatica, è un posto davvero molto bello, ma piuttosto caro” e così via.

Se il ristorante si trasferisce in un’altra zona e in un altro locale, probabilmente dovremo rivalutare alcune delle risposte, per scoprire se le caratteristiche sono rimaste uguali o se c’è stata qualche variazione – per determinare se è lo stesso ristorante o food truck che ha solo cambiato zona, mantenendo ad esempio la stessa cucina di qualità e gli stessi prezzi, oppure se è cambiato qualcosa.

Tutto questo vale anche per i motori di ricerca, che devono valutare di nuovo ciò che vedono e trovano sul nuovo dominio.

Nuovo nome dominio e anomalie di traffico

Gabe chiede poi di concentrare l’attenzione su un argomento specifico, il cambio di nome del dominio: alle volte il processo è andato liscio e il sito prende forza nel tempo, ma in altri casi si possono verificare delle anomalie, come ad esempio “un sito che, tre giorni dopo, si riempie completamente del 70%”. L’esperto chiede se questo differente comportamento si possa basare sulla storia del dominio, soprattutto in casi di domini acquistati e di successive migrazioni.

Secondo Splitt, questi casi sono slegati dalla storia del dominio, che ha un ruolo principalmente nelle situazioni – definite “complicate” – di siti fondamentalmente usati a scopo spam e poi acquistati e switchati immediatamente. Il consiglio è di prendere tutte le precauzioni per non ritrovarsi in questioni strane, usando tutti gli strumenti di monitoraggio anche in Google Search Console per controllare che tutto sia stato impostato correttamente prima di fare il passaggio.

Anomalie possono verificarsi anche se apportiamo altre modifiche durante la migrazione, una “cosa rischiosa” perché mette Googlebot di fronte a difficoltà di comprensione e a differenze tra due versioni del sito. E questo, a sua volta, si può tradurre nella necessità per il bot di eseguire nuove scansioni per capire meglio, influenzando negativamente anche il crawl budget, soprattutto per siti grandi.

Le situazioni con i domini acquisiti

Quindi queste situazioni particolari possono dipendere da vari fattori, ma secondo il Googler in linea di massima passare a un dominio che siamo certi non abbia carichi pendenti passati dovrebbe andare bene. E anche se passiamo a un dominio con una storia negativa, Google è consapevole “che i contenuti dei domini cambiano” e il Rapporto Azioni Manuali ha un tool dedicato alla richiesta di riconsiderazione di domini recentemente acquisiti. Tuttavia, dobbiamo sapere che a seconda di come era il dominio in precedenza, Google potrebbe non considerare immediatamente l’azione come una migrazione, e ciò richiederà quindi di fare un re-crawl e una rielaborazione dei contenuti, e quindi maggior tempo.

A questo proposito, Gabe cita un altro esempio tratto dal suo lavoro di consulenza: c’era un cliente, un sito e-Commerce, che aveva un nome dominio molto lungo e voleva ridurre il nome alle quattro lettere che rappresentavano l’azienda; dopo aver finalmente acquistato il nuovo dominio e fatto il trasferimento, si accorgono che c’è qualcosa che non va. Non avevano fatto i giusti controlli e hanno acquistato il vecchio dominio di una “specie di rock band del passato” che era pieno di “link spammy pazzi e ogni genere di cose”: quindi, nell’immediato hanno avuto un crollo di traffico, che poi si è assestato nel tempo.

Ciò conferma che i contenuti possono cambiare e può variare anche la considerazione di Google – anche nei casi in cui il dominio ha una storia spam o è stato hackerato – e dunque serve solo un po’ di tempo per sistemarla.

Come partire bene con un dominio acquisito

Il consiglio di Splitt è essere sicuri di ripulire in anticipo tutto ciò che potrebbe essere problematico, così da dare a Google il tempo di capire che “le cose sono cambiate” e c’è stata una tabula rasa del passato.

Più in dettaglio, quando si rileva un dominio (non solo per trasferire il nostro vecchio sito) è fondamentale misurare ciò che accade attraverso gli strumenti come Search Console e conoscere la salute del dominio, considerando eventualmente la possibilità di rimuovere il contenuto, attendendo che Google capisca questo intervento, elimini i segnali negativi e faccia normalizzare le cose. Solo a questo punto conviene iniziare il trasferimento del dominio in maniera progressiva, così che – mentre Google scopre le pagine spostate – inizia a valutare i contenuti come un nuovo inizio per il dominio.

Il falso mito sulla fusione dei siti

Il video poi passa ad affrontare un altro mito da sfatare, relativo alla fusione tra due siti: in molti, dice Gabe, pensano semplicisticamente che mettere “uno più uno dia come risultato due”, ma non sempre è così.

Anche perché – aggiunge Splitt – combinare insieme due siti non è più fare una migrazione, ma creare un nuovo sito da una versione accorpata dei precedenti: questo significa che Google deve comprendere i nuovi contenuti, capire come si sono spostati dai domini di partenza, ma anche stabilire se si trova di fronte a un dominio completamente diverso o invece no, perché magari è cambiata solo la struttura degli URL nel passaggio, oppure c’è stato il trasferimento di alcuni contenuti.

Ad ogni modo, niente in questo processo è semplice come una migrazione e Googlebot deve sottoporre di nuovo a scansione un sacco di pagine. A seconda delle dimensioni del sito, ciò potrebbe significare che ci vuole parecchio tempo affinché il motore di ricerca abbia una visione chiara del sito, della sua struttura e dei suoi contenuti attuali, e molto dipende ovviamente anche da quello che concretamente si unisce in questa fusione e dall’attenzione dedicata al processo.

Siti migrati, come Google riconosce il nuovo dominio

Successivamente Gabe sposta il focus su un altro topic, ovvero cosa succede per Google quando il cambio di nome di dominio è correttamente completato e riconosciuto, ovvero quando un sito si sposta da un dominio a un altro e tutti i redirect sono attivi.

Come primo step, Google verifica innanzitutto le somiglianze tra il vecchio e il nuovo sito, per esser certo che il nuovo sito sia esattamente una copia perfetta di quello presente sul vecchio dominio – che, ribadisce Splitt, è la vera migrazione del sito. Quando si accerta che questo è ciò che è avvenuto, Google inizierà a inoltrare tutti i segnali dal vecchio dominio a quello nuovo, ma la velocità di questo processo viene completato varia da sito a sito (andando da alcuni giorni ad alcune settimane).

Inizialmente si potrebbe notare un incremento dell’attività di crawling sul nuovo dominio, che progressivamente cala quando Google comprende che si tratta di una copia del sito presente su un altro spazio. Allo stesso tempo, se tutto è nella norma, il crawling e i segnali scompariranno dal vecchio dominio per trasferirsi al nuovo.

Più chiarezza con lo Strumento Cambio di indirizzo

I webmaster impegnati nel processo di migrazione possono utilizzare lo Strumento Cambio di Indirizzo (change of address tool) per dare a Google segnali addizionali e più chiari su ciò che sta avvenendo e semplificare la comprensione da parte del motore di ricerca.

Si tratta, secondo Splitt, di un tool utile per dare indicazioni esplicite a Google sul fatto che il sito si è spostato definitivamente e che quindi non è un cambio temporaneo, che potrebbe quindi velocizzare il completamento del processo perché dà modo a Google di saltare alcuni passaggi, avendo la certezza che il trasferimento è stato volontario e intenzionale.

Migrazione e qualità dei contenuti: nuove valutazioni dopo il passaggio?

Un altro “mito” che Gabe ha avuto modo di incontrare e ascoltare nel suo lavoro riguarda il riassestamento delle valutazioni sulla qualità da parte di Google dopo una migrazione. In realtà, Splitt spiega che Google rivaluta costantemente la qualità dei contenuti, indipendentemente dal fatto che il sito sia stato spostato, e ribadisce che “se ora i tuoi contenuti sono considerati di alta qualità, ciò non significa che lo saranno sempre”.

Ciò vale anche al contrario: contenuti di bassa qualità o spammy potrebbero, in teoria, essere considerati di alta qualità se vengono apportati dei miglioramenti.

Ad ogni modo, per quanto attiene la migrazione, in linea di massima se c’erano contenuti di alta qualità sul vecchio sito che vengono spostati in maniera identica sul nuovo dominio, allora anche i segnali seguiranno.

Problemi con il trasferimento, meglio non tornare indietro

Un altro consiglio che arriva da Martin Splitt riguarda il modo di affrontare eventuali problemi che si presentano dopo aver completato la migrazione: una sensazione comune, soprattutto quando si verificano cali di traffico e non si recuperano le posizioni precedenti, porta a valutare l’ipotesi di invertire il processo per ripristinare lo status iniziale.

Per Google, questo è un passaggio da non eseguire mai se non come extrema ratio, quando non ci sono altre opzioni e tutti i controlli eseguiti sul nuovo sito non hanno dato esito o spiegazioni al crollo.

Nella maggioranza dei casi, infatti, basta verificare che non ci siano problemi tecnici che possano interferire e provocare l’effetto negativo: ad esempio, Google potrebbe non aver riconosciuto i redirect, oppure il vecchio sito era sottoposto a crawling con poca frequenza e serve quindi più tempo per consentire al bot di captare i reindirizzamenti. Altre situazioni potrebbero essere modifiche algoritmiche intervenute nel frattempo, o ancora la segnalazione di contenuto spammy o azioni manuali e così via.

Se siamo certi di aver eseguito tutti i passaggi in maniera corretta e, dopo un mese, il traffico non è migliorato e tornato ai livelli del vecchio sito, potrebbe essere il caso di chiedere un aiuto esterno per scoprire la causa della situazione.

Ad ogni modo, è sempre importante confrontare il traffico tra vecchio dominio e nuovo: se il vecchio sito continua ad avere tutto il traffico storico, questo è un segno che c’è stato qualche errore nel processo di migrazione. Solo in questo senso, dice Splitt, potrebbe aver senso “invertire il processo per un po’, tornare indietro, capire cosa è successo e poi riorganizzarsi”.

Migrazione e file robots, consigli per non sbagliare

Altro aspetto tecnico trattato nel corso dell’episodio riguarda la gestione degli URL bloccati nel file robots.txt: Gabe chiede infatti se abbia senso sbloccare le risorse nel passaggio al nuovo sito, ma Splitt è piuttosto deciso nell’affermare che “non serve”.

Secondo il Googler, c’è una ragione se il sito non vuole che quegli URL siano sottoposti a scansione, quindi non c’è motivo per cui il crawler debba analizzarle con la migrazione al nuovo sito.

I problemi più comuni con la migrazione del sito

L’ultimo tema analizzato riguarda i problemi più comuni che Google riscontra sui siti appena trasferiti: l’elenco comprende tante variabili tecniche, come ad esempio robots.txt che blocca completamente le pagine del nuovo dominio, un meta tag noindex su tutti i contenuti nuovi o mancato passaggio delle impostazioni di Google Search Console sul nuovo dominio.

Eppure, secondo Splitt, l’errore più frequente è fare troppe modifiche e cambiamenti allo stesso tempo nel corso della migrazione, aggiungere “troppe variabili” che rendono anche difficile comprendere gli effetti del lavoro. In questi casi, infatti, diventa difficile identificare con certezza la causa di un problema, che potrebbe derivare dalla nuova struttura di URL, dalla differente tecnologia usata, dal nuovo contenuto, dalla migrazione, da cambi algoritmici di Google, da penalizzazioni o sanzioni e così via.

Il consiglio finale di Google è di fare un passo alla volta: concentrarsi prima sul trasferimento di dominio, poi cambiare deck di testo, poi eventualmente intervenire con altre cose. “Qualsiasi cosa tu stia facendo, fallo passo dopo passo”, dice Splitt, attendendo che Google faccia un nuovo crawling e processi il sito prima di metterci mano ancora.

Migrazione siti, cinque errori frequenti nel trasferimento

Quanto scritto dovrebbe averci aiutato a comprendere meglio cos’è la migrazione dei siti web e perché è un processo delicato per la SEO dei nostri progetti, ma anche a sfatare alcuni miti negativi che circondano l’argomento. Eppure, dicevamo, qualche effetto negativo può sempre verificarsi, soprattutto nelle prime fasi dopo il completamento dell’opera, e soprattutto c’è la possibilità di incappare in errori di migrazione che si trasformano in guai.

Le criticità con il processo di trasferimento di un sito

In generale, possiamo dire che il fallimento nella migrazione del sito web si verifica quando entrano in gioco alcune componenti, come una sottovalutazione dei rischi connessi al processo di trasferimento, una pessima pianificazione preventiva dei vari passaggi, l’assenza di una checklist delle operazioni da eseguire (o il mancato rispetto dei suoi punti) e, non ultimo, la mancanza di competenze tecniche necessarie da parte di chi esegue la migrazione.

  1. Dimenticare di trasferire le immagini

Uno degli errori più frequenti che si commettono durante la migrazione, soprattutto nel trasferimento da CMS a CMS, è dimenticare o trascurare le immagini. Queste risorse multimediali rappresentano una parte della strategia SEO in particolare per gli eCommerce, che traggono vantaggio e traffico anche dalle ricerche su Google Images. Pertanto, perdere ranking per la ricerca di immagini può significare anche perdita di conversioni.
È ancora Giuseppe Liguori a spiegarci che – in base alla sua esperienza – non esiste un modo semplice per migrare le immagini da CMS a CMS. Per eseguire nel miglior modo possibile questa operazione, consiglia di “tenere le vecchie cartelle ancora presenti per un periodo sufficientemente lungo, per poi attendere che Google capisca che la pagina è cambiata”, premettendo comunque che non è “la soluzione ottimale perché andrebbero gestiti anche lì i 301, ma non sempre è fattibile”.

  1. Non eseguire correttamente i redirect

La seconda categoria di errori riguarda la cattiva gestione dei redirect, che rappresentano lo strumento più importante per evitare disservizi e limitare i problemi. In questo caso, gli sbagli da evitare sono i reindirizzamenti temporanei (i redirect 301 devono essere permanenti o comunque restare attivi il più a lungo possibile, per non sfociare in altre tipologie e status di errore) o redirect del tipo “uno a tanti” verso la nuova home, che Google interpreta come “soft 404“.

Una strategia più efficace prevede, nel caso in cui una pagina vecchia non abbia corrispondenza esatta con una del nuovo sito, di reindirizzare la risorsa verso una pagina di categoria o una pagina che sia affine per contenuto trattato.

  1. Non impostare una pagina personalizzata per l’errore 404

Passiamo a un errore per così dire “di concetto”: una buona strategia di limitazione dei rischi e dei disservizi non può non prevedere la possibilità che qualcosa vada storto. Pertanto, nell’ottica di fornire comunque un’attenzione all’utente e alla sua esperienza sul sito, è sempre preferibile durante la fase di migrazione assicurarsi di progettare delle pagine personalizzate per l’errore 404, il più temuto status per i siti.

Leggendo le informazioni riportate su questa “pagina non trovata“, condite magari da un messaggio ironico o da consigli per atterrare su altre risorse utili, il lettore non si troverà disorientato ma potrà avere indicazioni per proseguire la navigazione all’interno del nuovo sito web

  1. File Robots.txt non configurato correttamente

Ben più gravi sono le conseguenze degli errori legati alla mancata o sbagliata configurazione del file robots.txt al termine del processo di trasferimento del sito: nella procedura regolare, bisogna aggiornare il file ed evitare che possano risultare bloccate risorse o sezioni del sito che invece devono essere aperte.

Altra criticità frequente è l’uso della direttiva disallow nel robots.txt su cartelle che contengono i file CSS e Javascript che sono necessari ai browser per disegnare correttamente la pagina e agli spider come Googlebot per scansionare e indicizzare correttamente gli elementi contenuti.

  1. Non controllare i backlink

L’ultimo errore che aggiungiamo a questo veloce elenco di problemi legati alla migrazione di un sito riguarda un argomento delicato per la SEO, ovvero i backlink che, come ripetiamo di frequente, sono tra i più importanti segnali di ranking su Google.

Pertanto, per evitare scossoni al posizionamento raggiunto dopo tanto lavoro e fatica, bisogna procedere con particolare criterio e attenzione in ogni fase della migrazione e verificare rigorosamente le impostazioni dei redirect sulle pagine che nel tempo avevano ricevuto backlink.

Verificare i backlink anche dopo i redirect

Oltre ai cambiamenti standard, come le modifiche ai link dei profili social in caso di trasferimento del dominio o rebranding, il consiglio generale è di procedere all’aggiornamento degli URL di riferimento dei collegamenti in ingresso verso il sito migrato, contattando eventualmente i singoli webmaster di questi siti (a cominciare da chi gestisce i domini più importanti e dal trust maggiore) per segnalare la migrazione e dunque richiedere la conseguente modifica ai link.

Il modo più efficace di procedere in questa operazione inizia nelle fasi preventive del processo di migrazione, quando si può scaricare l’elenco delle risorse che puntano verso il sito in dismissione grazie ai classici strumenti di analisi backlink, verificando poi a trasferimento completato che i redirect funzionano e se c’è la possibilità di linkare direttamente alle nuove risorse, semplificando così anche il percorso che deve seguire Google per raggiungere la destinazione corretta.

Migrazioni e cali di traffico del sito, 11 possibili cause

Nonostante le accortezze, però, possiamo comunque incappare in qualche errore, dimenticanza o leggerezza che rischia di compromettere il risultato e provoca un calo di traffico organico del sito: se, infatti, è naturale riscontrare delle fluttuazioni dei volumi delle visite e nei ranking nelle prime fasi successive al processo, la situazione può diventare critica in presenza di errori quali redirect sbagliati, collegamenti interni interrotti, blocchi nei file robots.txt o nella sitemap che possono far crollare le prestazioni del sito.

Scoprire i problemi presenti con un’analisi tecnica

Il primo passo per risolvere la questione è disporre di “un elenco completo dei problemi che affliggono il tuo sito, in modo da poter verificare e correggere eventuali problemi che potrebbero sorgere”, ci dice Ludwig Makhyan su Search Engine Journal.

Possiamo usare uno strumento come ScreamingFrog o lo spider di SEOZoom per scansionare il sito e trovare tutti i problemi specifici della pagina, come ad esempio

  • Redirect
  • Collegamenti interrotti / broken links
  • Contenuti duplicati
  • Problemi di metadati
  • txt URL bloccati.

Un altro consiglio è di lanciare una scansione principale ed eseguire il backup dei dati prima di qualsiasi migrazione o riprogettazione di un sito Web importante, così da avere dati per il confronto successivo e vedere cosa è cambiato. Allo stesso tempo, è necessario salvare una copia dell’HTML e del layout del sito prima di riprogettarlo, in modo da poterlo rivedere e rivisitare se necessario.

Errori con la migrazione del sito

Le 11 cause più comuni di cali di traffico dopo una migrazione

In base alla sua esperienza, Makhyan elenca quindi quali sono gli 11 motivi più comuni per cui si possono verificare cali di traffico dopo una migrazione, legati alla complessità del processo, che possono portare al fallimento dell’operazione in termini di redditività del sito.

Vale comunque il consiglio dato da Google: meglio non tornare indietro, ma tentare di risolvere tutti i problemi e insistere con il sito nuovo, a meno di ritrovarsi senza altre soluzioni, perché tutti i controlli eseguiti sul nuovo dominio non hanno dato esito né si identificano spiegazioni al crollo.

  1. Modifiche ai tag canonical

Cerchiamo le pagine del sito che hanno perso traffico o ranking, analizzando i tag canonical per vedere se sono stati modificati in un modo che possa aver influito sul traffico.

Alcuni dei problemi comuni con questi tag sono:

  • Indicazione di pagine non pertinenti.
  • Problemi di programmazione (esempio: barra finale mancante).
  • Indicazione di vecchi URL che non esistono più.
  1. Robots.txt e/o Contenuti non indicizzabili

Il secondo step è verificare il file robots.txt o le pagine che hanno perso traffico per vedere se sono ancora indicizzabili, perché il calo potrebbe derivare da un problema con l’indicizzazione. Google mette a disposizione uno strumento di verifica dei file robots.txt (Tester dei file robots.txt) che può aiutarci a identificare e correggere eventuali problemi che potremmo riscontrare con il file.

  1. Perdita di metadati

La migrazione potrebbe causare la scomparsa dei metadati del sito web durante il processo, perché nel trasferimento del database si possono perdere colonne relative ai title tag o alle meta description.

La scansione con gli strumenti di crawling e spider ci permette di verificare che i titoli e la descrizione siano ancora accurati e intatti; in caso contrario, sarà necessario reinserire questi importanti metadati, ritrovando quelli precedenti grazie al backup creato prima della migrazione oppure facendo una rapida ricerca su Google del sito utilizzando il comando “site: URL.com” per rileggere quelli nella memoria del motore.

  1. Perdita di velocità della pagina

In caso di migrazione completa del sito web o cambio di server, nel processo si può rischiare di perdere un po’ di velocità della pagina, e quindi è utile verificare le performance tecniche delle pagine con traffico in calo per monitorare la situazione.

In casi di effettiva perdita di velocità, potrebbe essere necessario:

  • Verificare che il CDN sia compreso nella migrazione e funzioni correttamente.
  • Verificare che il sistema di memorizzazione nella cache sia installato e funzioni correttamente.
  • Controllare PageSpeed Insights per trovare soluzioni facili che possono aumentare la velocità del sito.

Non bisogna poi dimenticare che anche i problemi del server potrebbero affliggere il sito e non consentirgli di caricarsi abbastanza velocemente.

  1. Link interni

I link interni sono un ottimo modo naturale per mantenere le persone sul sito e aiutano anche i motori di ricerca a passare da una pagina all’altra del sito. Dopo una migrazione è fondamentale controllare che i collegamenti interni nei blog post e nelle pagine riportino al nuovo sito corrente e non facciano riferimento a quello vecchio.

  1. Problemi di accessibilità dei contenuti

Google Search Console elenca tutte le pagine indicizzate del sito nel Rapporto sullo stato della Copertura, che segnala le pagine con errore, valide con avviso, valide o escluse. A conclusione del processo di trasferimento, quindi, è consigliabile monitorare questo report per scoprire se sono sorti eventuali problemi di accessibilità.

  1. Redirect interrotti

I reindirizzamenti del sito sono parte integrante di qualsiasi migrazione, sottolinea Makhyan, e “se non disponi di un piano di redirect 301 durante la migrazione del sito, avrai molti problemi dopo”, spiega l’esperto.

Il rischio è di perdere traffico perché “ai motori di ricerca non viene comunicato dove è stato migrato il tuo sito”, ma anche i visitatori potrebbero essere disorientati nel processo.

Dobbiamo andare alla ricerca di eventuali loop o catene di redirect che presentano problemi, provando a:

  • Pulire tutti i loop di reindirizzamento.
  • Seguire le catene di redirect per verificare che il reindirizzamento sia accurato.
  • Controllare che i vecchi URL siano reindirizzati correttamente ai nuovi URL, aggiornando i link alle pagine con 301 collegandoci invece alla nuova pagina.
  • Verificare che l’URL di inizio e l’URL di destinazione siano accurati.
  • Verifica anche lo stato finale e lo status code

Un altro consiglio è utilizzare reindirizzamenti dalle vecchie pagine con il redirect 301 e non con redirect 302, che non sono permanenti.

  1. Link esterni persi

I link esterni restano un potente segnale per i motori di ricerca, e si può semplicisticamente dire che un ottimo sito con molti link organici avrà spesso un posizionamento elevato.

Dopo una migrazione, potrebbe essere utile contattare i proprietari di siti che ospitavano backlink al nostro vecchio dominio per chiedere loro di aggiornare i loro collegamenti al nuovo sito o di reindizzare i link a pagine simili sul nuovo progetto.

In caso contrario, la presenza di link interrotti o che puntano a pagine del vecchio sito non reindirizzate al nuovo può causare problemi con le classifiche di ricerca.

  1. Problemi di piattaforma / hosting

In caso di spostamento di piattaforma o server bisogna fare attenzione ad alcuni piccoli problemi che potrebbero far diminuire il traffico del sito:

  • Firewall che bloccano i bot dei motori di ricerca.
  • Piattaforme che utilizzano JavaScript, che è più difficile da eseguire per i bot.
  • Velocità basse e prestazioni scadenti.
  • Restrizioni del Paese.

In questi casi, è utile esaminare attentamente tutte le pagine che hanno avuto calo di traffico, provando prima a fare un test drive della piattaforma o del server nuovo “prima di andare all in e migrare il tuo sito”, che potrà dare le informazioni necessarie ad evitare problemi successivi.

  1. Immagini

Un’altra possibile causa di diminuzione di traffico organico sono gli errori con gli URL delle immagini, frequente quando il sito riceve molto traffico da queste risorse. Per evitare brutte sorprese, dobbiamo essere certi di linkare alle immagini giuste e al nuovo dominio corretto.

In caso di utilizzo di una rete CDN, dovrebbe essere semplice apportare una rapida modifica per trasferire tutte le immagini sul nuovo sito. Se usiamo un CNAME per creare gli URL di immagine, è fondamentale verificare che il CNAME stia puntando al nuovo sito e/o server.

  1. Update di Google

Se nei casi precedenti la responsabilità dei problemi era a carico nostro (o comunque di chi ha curato la migrazione), a volte anche la sorte può metterci lo zampino: è il caso di trasferimenti che arrivano in coincidenza di un aggiornamento dell’algoritmo di Google, che può quindi cambiare completamente le SERP.

In tale situazione, quindi, la perdita di ranking e traffico non è correlata strettamente alla migrazione, ma dipende appunto dagli update del motore di ricerca.

Come risolvere i problemi e recuperare il traffico

La raccolta e il benchmarking dei dati prima che avvenga la migrazione del sito web è fondamentale, dice Ludwig Makhyan, che quindi consiglia come elemento prioritario tenere traccia di tutte le modifiche prima e dopo questo delicato processo.

La correzione di tutti i problemi del sito richiede tempo e pazienza, “ma la SEO richiede sempre un approccio a lungo termine”: in concreto, bisogna esamina il sito, verificare l’eventuale presenza di questi problemi e apportare le correzioni necessarie. Quando siamo soddisfatti delle modifiche, poi, bisogna comunque attendere alcuni giorni o settimane per vedere se il traffico torna ai livelli precedenti alla migrazione.

Se, trascorso questo periodo, il traffico sarà ancora drasticamente inferiore rispetto a quello precedente alla migrazione, potrebbe essere necessario chiedere supporto specializzato per trovare eventuali problemi fastidiosi che non riusciamo a identificare.

 

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