Emoji e marketing, dati contrastanti sull’utilità e sull’engagement
Amate o odiate, di sicuro utilizzate e impossibili da non notare: il numero di emoji è in costante crescita – ne sono attese 217 per il 2021, come vedremo! – e ormai queste faccine sostituiscono praticamente del tutto stati d’animo, concetti ed espressioni, tanto da diventare un mezzo a cui fanno riferimento sempre più i brand per aumentare visualizzazioni ed engagement del pubblico con le loro campagne di marketing. Ma le emoji funzionano davvero? Ecco cosa ci rivelano alcuni studi in materia.
Le caratteristiche delle emoji per la comunicazione e il marketing
Un linguaggio universale, globalmente riconoscibile a ogni latitudine, veloce, semplice e informale: l’iconografia delle emoji è in continua evoluzione e si sta imponendo come metodo di comunicazione pratico e a disposizione di tutti.
Basta leggere alcuni numeri: stando alle ultime statistiche, sono usate dal 92 per cento di tutti gli utenti di internet e soltanto su Facebook Messenger gli utenti inviano quasi un miliardo di emoji senza l’aggiunta di testo. Per la cronaca, la faccina che riscuote più successo è Face with Tears of Joy, presente nel 10 per cento di tutti i messaggi online (come da stime Unicode), nonché la più utilizzata in assoluto su Twitter e scelta anche come parola dell’anno dall’Oxford Dictionary nel 2015.
I vantaggi delle faccine
Se le motivazioni d’uso delle faccine all’interno delle conversazioni informali sono facili da comprendere, forse sono meno immediati i vantaggi di questo mezzo di comunicazione per il marketing. In realtà, sono molti gli studi teorici che segnalano come le emoji possano dare benefici al brand, generando innanzitutto empatia ed engagement.
In particolare, secondo un team di neuro-scienziati australiani il linguaggio simbolico degli emoji genera più empatia rispetto alla parola nuda, e può servire per raggiungere obiettivi comunicativi e persuasivi. In termini pratici, l’uso di faccine può rendere più amichevole e veloce la comunicazione, soprattutto nel customer care: un operatore che parla con le emoji appare più amichevole e competente, e spesso è capace di riassumere un concetto con una sola immagine in modo efficace e rapido.
Le emoji quindi possono umanizzare il brand, e – se ben usate – migliorare l’engagement, specialmente sui social: inserire faccine in un post di Facebook può aumentare del 57 per cento il numero di mi piace e del 33 per cento il numero di commenti e condivisioni.
Emoji e email marketing, un rapporto complicato
Non sempre però inserire le emoji nel marketing dà buoni frutti, come rivela un recente studio presentato da Shelley Walsh su Search Engine Journal, eseguito testando quasi 4 milioni di e-mail che avevano un oggetto con emoji e senza, da cui emergono indicazioni sorprendenti su tassi di apertura, percentuali di clic e annullamenti dell’iscrizione.
Il successo dell’email marketing si misura in primo luogo valutando il tasso di apertura e, in secondo luogo, la percentuale di clic, e la riga dell’oggetto ha un ruolo centrale in questo perché – come il titolo di annuncio – deve attirare immediatamente l’attenzione e stimolare il lettore ad agire, prima ancora che il contenuto della mail inizi a trasmettere il suo messaggio.
In sintesi, l’analisi di Walsh ha rivelato che le comunicazioni con emoji nelle righe dell’oggetto mostrano un tasso di apertura leggermente inferiore rispetto a quelli in cui le faccine non sono presenti; indipendentemente dal tasso di apertura, le e-mail con emoji hanno però una percentuale di clic più elevata, ma gli utenti sono più propensi ad annullare l’iscrizione e a segnalare abusi per le e-mail che contengono emoji nell’oggetto.
Non basta attirare l’attenzione
Secondo l’autrice, gli emoji nel marketing godono di un preconcetto: attirano l’attenzione catturando lo sguardo del lettore sulla riga dell’oggetto e lo predispongono positivamente all’apertura.
Questo non è del tutto vero, perché ci sono poche prove a sostegno di tali affermazioni, ma anche il solo fatto che un messaggio si distingua e attiri l’attenzione non si traduce automaticamente in un clic. Anzi, un’emoji potrebbe attirare l’attenzione per il motivo sbagliato e, anche se il lettore apre la mail, questo non significa che voglia connettersi con il contenuto, perché potrebbe cercare semplicemente il pulsante per annullare l’iscrizione o segnalare un abuso.
Bisogna quindi studiare il sentimento prodotto dalla comunicazione e delle faccine.
Capire il contesto e il sentimento
A questo proposito, l’articolo riporta i risultati di un’altra indagine, eseguita dagli esperti di ricerca Nielsen su una varietà di messaggi di posta elettronica sottoposti a un campione di lettori, cui veniva chiesto di selezionare da un elenco di parole di reazione che descrivevano al meglio l’e-mail.
Curiosamente, gli aggettivi noioso e monotono (in inglese, boring e dull) sono stati selezionati molto di più per descrivere le e-mail che includevano un’emoji nella riga dell’oggetto, un risultato che sembra andare contro quel preconcetto di cui dicevamo.
Inoltre – e ancora più rilevante – le e-mail senza emoji erano considerate avere più valore.
Quindi, non conta solo attirare l’attenzione, perché in questo ambito e in generale nella brand communication ha un peso cruciale anche la percezione della autorevolezza, e l’uso di emoji potrebbe far diminuire la percezione della competenza e minare quindi la condivisione delle informazioni.
I risultati dello studio sulle emoji nell’email marketing
In conclusione, il test di Shelley Walsh non ha dato risposte definitive, perché ci sono solo differenze percentuali minime sui tassi di apertura nelle singole campagne, ma ci offre comunque alcune indicazioni utili.
- Le e-mail con emoji nel campo dell’oggetto mostrano un tasso di apertura leggermente inferiore e sono preferibili messaggi privi di emoji.
- Indipendentemente dal tasso di apertura, le e-mail con emoji hanno una percentuale di clic più elevata.
- Gli utenti annullano di più l’iscrizione e segnalano più abusi per le e-mail che contengono emoji nella riga dell’oggetto.
- La posizione più favorevole per usare le emoji è alla fine della riga dell’oggetto.
- Le emoji potrebbero creare sentimenti negativi verso un brand.
Non sbagliare comunicazione e target
Quanto scritto è un invito a ricordare un aspetto fondamentale: essendo divenute un vero e proprio linguaggio, ci sono precise regole di utilizzo anche per le emoji e, quindi, anche possibili errori che derivano da valutazioni sbagliate.
Ciò che conta, innanzitutto, è analizzare nel miglior modo possibile il target di riferimento e la personalità del brand che comunica, per evitare uscite percepite come fuori-tono.
Inoltre, sarebbe sempre meglio non eccedere nell’uso, e magari selezionare solo alcune faccine che possano essere rappresentative del marchio, da utilizzare frequentemente (e con cura) nella comunicazione aziendale. In termini pratici, per le e-mail le emoji andrebbero posizionate alla fine della riga dell’oggetto, la posizione che ha dato i risultati migliori nei test.
Ancora più importante è scegliere l’emoji giusta per il contesto e il messaggio, senza rendere i messaggi criptici e praticamente impossibili da comprendere per l’utente, così come bisogna fare attenzione al significato delle emoji utilizzate, evitando quindi messaggi ambigui o veri e propri fail.
Nuove emoji nel 2021
La scelta della giusta emoji è sicuramente resa più difficile dalla vastità del catalogo: attualmente ci sono oltre 2000 faccine ufficialmente riconosciute, e il consorzio Unicode ha già approvato 217 nuove emoji che saranno disponibili nel 2021 a livello globale, sia su piattaforme mobile come Android e iPhone che su software per computer e altri dispositivi.
Per la precisione, ci saranno cinque nuove emoji vere e proprie, più due nuove varietà di cuori e, per completare, tantissime variazioni di tipo cromatico per rendere più universali faccine già in elenco – ad esempio, nuove tonalità di incarnato o sfumature più inclusive per i vari gender.
Le faccine di tipo smiley introdotte sono tre: la face exhaling – un volto che emette una nuvoletta di sospiro, che può indicare sollievo, stanchezza o esasperazione; face in clouds – una faccia che fa capolino tra le nuvole (o fumo), che rappresenta uno stato d’animo nebuloso o confuso, ma anche una calma beatitudine; face with spiral eyes – faccina con occhi a spirale che esprime confusione, disorientamento o uno stato di ipnosi.
Arrivano poi altre due emoji di tipo antropomorfo, l’uomo barbuto e la donna barbuta (con relative varianti di incarnato e gender), e come dicevamo altri due simboli di cuore: quello bendato – per chi è in ripresa da una delusione amorosa – e quello in fiamme – per manifestare un intenso stato d’animo emotivo. Le rimanenti novità riguardano interamente combinazioni di gender e tonalità di incarnato fisico per simboleggiare le coppie con il cuore e quelle che mandano i baci, ora molto più inclusive.